Il 25 febbraio 2012 la Galleria Boccanera di Trento in collaborazione con VisualContainer ha presentato l’evento “ON VIDEOS for hours and hours”, una giornata per vedere e parlare della video arte italiana degli ultimi vent’anni.
La rassegna, fino al 3 marzo negli spazi espositivi, con diciassette video di altrettanti artisti – Alfred Dong, Alessandra Arnò, Luca Christian Mander, Albert Merino, Barbara Agreste, Rita Casdia, Riccardo Arena, Cristobal Catalan, Jacopo Jenna, Barbara Brugola, Natalia Saurin, Valentina Ferrandes, Pascal Caparros, Sabrina Muzi, Maria Korporal, Marzia Moretti, Enrico Bressan – è nata da un’idea di Giancarlo Sciascia, community manager in Fondazione Ahref a Trento.
Giancarlo Sciascia mi ha spiegato che questa iniziativa viene dalla volontà di introdurre un’abitudine nuova rispetto a quello che viviamo ogni giorno: “Siamo costantemente sommersi, o in simbiosi, con le immagini; perché non imparare a leggere quello che vediamo, perché non allenare lo sguardo a riconoscere i codici?”.
L’evento, nei desideri di chi l’ha pensato, è un primo passo verso la “costruzione di un percorso di media literacy a Trento, al confine fra l’educazione informale e la manifestazione culturale; edutainment come modalità per iniziare a risolvere alcuni dei mali del frastagliato ecosistema della cultura in Italia. Una iniziativa per render consapevoli le comunità sui nuovi linguaggi della contemporaneità e contemporaneamente la valorizzazione di chi attraversa quei linguaggi”, cioè gli artisti.
Questo articolo prende spunto dall’iniziativa di Trento, e dagli obiettivi che si è posta in relazione alla produzione contemporanea di video in Italia, e si presta ad un’aperta riflessione sulle modalità di presentazione del video oggi in Italia e sulle valutazioni necessarie, forse urgenti, per arrivare ad forme di supporto della produzione e della promozione migliori, per il tempo in cui viviamo.
Ho parlato con Alessandra Arnò e Giorgio Fedeli di VisualContainer, che hanno curato l’evento portando a Trento una panoramica di quella video arte che selezionano e promuovono con l’associazione milanese. VisualContainer è nata a Milano con l’obiettivo di colmare l’assenza nel panorama artistico italiano di un qualificato distributore di video arte e new media art, proponendosi come polo di raccolta, studio, promozione e distribuzione a livello nazionale ed internazionale di opere di artisti ad ogni livello di carriera.
La proposta di “ON VIDEOS” si concentra in realtà maggiormente su artisti emergenti o mid-career, i nomi più acclamati e storicizzati del video in Italia mancano, attestati in altri ambiti nazionali, come la rassegna di video arte italiana “Corpo Elettronico”, proposta dalla Fondazione Rocco Guglielmo al Complesso Monumentale del San Giovanni di Catanzaro fino a fine marzo. Come è normale che sia per un’associazione impegnata a sostenere gli artisti che le si sono proposti e che ha selezionato, tutti gli artisti presentati a Trento provengono dall’archivio di VisualContainer.
Giorgio Fedeli mi spiega che i linguaggi si evolvono in maniera molto veloce e che la proposta di “ON VIDEOS” si muove attorno ai linguaggi possibili; egli ha individuato nove diversi percorsi probabili, tra i quali emergono le tendenze narrative del video e l’attenzione all’ambiente e al tema dell’ecologia.
Come sempre diffido di classificazioni non storicamente definibili, ma mi rendo conto che questa conversazione lambisce alcuni degli argomenti chiave sullo stato del video d’arte oggi in Italia che ritengo dovrebbero stare a cuore agli artisti, ai curatori e ai professionisti che a vario titolo si muovono in questo settore e attorno ad esso.
Dove e quando la video arte italiana è presentata? Chi produce video d’arte in Italia oggi e in quale modo è supportata la produzione? Quali sono le modalità di presentazione e di fruizione del video proposte oggi in Italia e quali scelte culturali e curatoriali le sostengono? Esiste un mercato italiano del video d’arte oggi in Italia? Quali sono le istituzioni e i soggetti privati che lo sostengono?
Tutte queste domande, genericamente formulate, potrebbero essere porzioni di una ricerca ancora da mettere in agenda, e che certamente già si compie a vari livelli (penso ad esempio all’approfondimento di Giulia Simi su Invideo – http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=2229) e andrebbe ricomposta per darne un’evidenza sistematica. Qui non intendo provare a rispondere alle domande che sono nate a margine di “ON VIDEOS”, ma voglio citarle per proporre un dibattito, individuare una possibile reazione che porti ad una riflessione, incoraggi ad iniziare a fare il punto della situazione video in Italia oggi.
La rassegna di Trento riflette anche su questi temi, e su altri ancora, meno recenti ma altrettanto urgenti: la visione ed il suo tempo. La parte installativa della rassegna presenta separatamente i video, con un loro tempo ed una loro dimensione spaziale dedicati.
La fruizione delle opere cerca di riproporre, all’interno delle dinamiche da galleria, le modalità che VisualContainer sperimenta a Milano con [.BOX], uno spazio per l’arte video, una sala di proiezione di 20mq dove sedersi e vedere, senza distrazioni. Dedicare tempo alla visione è certamente una interpretazione della fruibilità dell’opera, ed è un punto focale di una scelta curatoriale, una direzione precisa verso cui indirizzare il proprio pubblico. Anche se, a Trento, – mi ha spiegato Giorgio Fedeli – il discorso va al di là della qualità del video, l’idea di lavorare sulle categorie è nata dalla volontà di far capire meglio ai visitatori quello che stanno vedendo, creare uno spazio di approfondimento per le persone che non conoscono il video.
Non sono totalmente d’accordo, il video non può prescindere dalla qualità dell’immagine. Ma i curatori sottolineano che in questo caso il lavoro è focalizzato sulla guida alla visione, sul proposito di coinvolgere una fascia più ampia di pubblico, andando oltre l’abituale frequentatore della galleria. L’importante è mostrare video arte in modo fruibile da tutti.
La questione è molto spinosa. Il video è strettamente connesso alla tecnologia, ma è altresì vero che si assiste alla presenza di trend visivi mutuati dal cinema mainstream o dalla pubblicità, e che la fascinazione di alcuni tool o del 3d non possono essere assunti a parametro di qualità per un’opera video. La produzione italiana subisce questi aspetti, nei discorsi e nelle modalità di presentazione del video – al di fuori di alcune rare e virtuose occasioni – il video italiano non sembra ancora essersi emancipato dal discorso sopra la tecnica.
Alessandra Arnò sottolinea la grande disponibilità di risorse messe in campo all’estero, a differenza di ciò che accade in Italia, dove gli artisti con difficoltà trovano supporto in questo settore. Da noi si comincia dal contenuto, poi ci si trova a lavorare con i mezzi che si hanno. Mi pare che il discorso su tecnica e contenuto sia ancora molto delicato.
L’iniziativa di VisualContainer vorrebbe contribuire a colmare questi gap, fornendo dei confronti, dei paragoni, dei luoghi dove parlare di video e fruirne, offrire più punti di vista e tendenze per creare un dibattito, capire l’umore delle persone, vedere la loro reazione, far sì che le persone si pongano delle domande.
L’impressione che ho è che, nonostante le ottime iniziative che si possano mettere in campo, il video in Italia oggi viva ancora una condizione di inadeguatezza. Nonostante tutto il suo potenziale, così bellamente sfruttato a fini commerciali. Il punto è capire perché. Per questo bisogna parlare di video, vedere video, e parlarne, ancora.