Nel film sperimentale S*CKMYP del regista belga Kurt D’Haeseleer (Anderlecht, 1974), le immagini ridefiniscono il mondo come lo conosciamo, trasformandolo in una lunga carrellata di visioni digitali. In un flusso ininterrotto di pensieri e parole, ogni fotogramma subisce una manipolazione: il supposto naturalismo del cinema viene minato alla base, facendo attraversare allo spettatore un sogno lungo un film.
Partendo da un girato che talvolta ricorda l’impostazione freddamente naturalistica delle installazioni di Aernout Mik, S*CKMYP si dipana e si sgretola in una costante manomissione del reale, che va dal semplice ralenti alla trasfigurazione più profonda, dove i corpi subiscono mutazioni, si tendono e distorcono sotto l’effetto di “moti ondosi”, frazionamenti e moltiplicazioni, che riportano da una parte alla pittura di Vincent Van Gogh o di Francis Bacon e creano dall’altra un nuovo universo immaginifico. Il fattore sonoro amplifica il senso di straniamento: il testo del poeta belga Peter Verhelst, che fa da sottofondo a tutto il film, è scandito in maniera quasi ipnotica e sottolineato dal commento musicale di Köhn, che, alla stregua di un canale radio dalla sintonia disturbata, sottrae alle immagini qualsiasi riferimento naturale e le pone sul piano di uno stato di costante allucinazione.
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Il rapporto spazio-tempo-narrazione è dunque inesorabilmente alterato, in una poetica che parte da una base reale e nota allo spettatore (l’immagine filmata), per soffermarsi sulle infinite possibilità dell’elemento digitale, dove la “realtà” è solo un trampolino di lancio per le applicazioni più disparate. La mancanza di una linea narrativa forte permette inoltre la fruizione del filmato non solo come proiezione continua, ma anche come installazione: così è stata presentata infatti al World Wide Video Festival dell’anno scorso (prima che una miope gestione dei fondi pubblici in Olanda cancellasse la programmazione di quest’anno ), permettendo al pubblico di muoversi da uno spezzone all’altro e di costruire ognuno la propria “versione” sempre diversa.
D’Haeseleer ha prodotto il suo film con la casa di produzione indipendente belga Filmfabriek (che si definisce più come un colletivo che come un progetto commerciale), specializzata in multimedia, e ha continuato sulla linea dell'”estremismo digitale” con il suo ultimo cortometraggio Fossilization , presentato all’ International Film Festival di Rotterdam assieme a S*CKMYP.
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Con film sperimentali come questo sembra farsi strada, fra i molti sviluppi della videoarte, una tendenza solo apparentemente paradossale, data la sua natura fondamentalmente ibrida: da una parte le modalità ormai acquisite tipiche del digitale e della videoinstallazione, che frantumano qualsiasi pretesa di realismo attraverso l’alterazione visiva, lo straniamento sonoro, la mancanza di trama, la fruizione mobile in uno spazio tridimensionale; dall’altra un riavvicinamento alla cinematografia più canonica con un filmato di lungo respiro che mantiene una serie di suggestioni narrative e che può essere comunque visionato su un solo, unico schermo.
Kurt D’Haeseleer è infine parte attiva della label di musica sperimentale e DVD d’autore (K-RAA_K)3 di cui avevamo avuto modo di parlare sul numero 1 di Digimah di Febbraio, scritto da Simone Bertuzzi di Risonanza Magnetica. Il suo lavoro S*CKMYP è proprio edito dalla suddetta label, Kohn che ne ha curato la colonna sonora è artista dell’etichetta e lo stesso Kurt è coinvolto nelle attività e nei concerti live della (K_RAA_K)3 fornendo il proprio onirico contriuto visivo.