Davide Mastropaolo e Leandro Sorrentino sono i Frame, binomio artistico audiovisivo nato nel 2001 e cresciuto in quella fucina apparentemente inesauribile che è Napoli e i suoi dintorni culturali. Insieme alla regista Nina di Majo hanno allestito e prodotto Afo4 per la label partenopea Mousikelab, opera audio-video piuttosto particolare nel panorama internazionale di settore, che a nostro avviso è stata ingiustamente valutata (e apprezzata) più per il suo aspetto musicale perdendo di vista la progettualità audiovisiva del lavoro.

Incontratisi e formatisi in occasione della realizzazione della colonna sonora dei due precedenti lungometraggi di Nina di Majo, L’inverno e ancora prima Autunno, i Frame e Nina con Afo4, hanno voluto sperimentare non tanto nelle tecniche utilizzate o nelle estetiche adottate, quanto più nel linguaggio narrativo ed emotivo impiegato, il qualetrova nella sapienza tecnica ed espressiva dei tre il giusto stimolo per una narrazione transgenetica mai così efficace. Appoggiandosi su solide basi tecniche e teoriche, nonchè da anni di esperienza in ambito cinematografico e di soundtrack dei suoi autori, Afo4 stupisce proprio per questa sua matuirtà artistica e per la non celata velleità di costituire un primo cardine portante di quella sperimentazione elettronica di là a venire nei prossimi anni. Quella cioè in grado di dialogare con il mondo del cinema e delle grandi narrazioni per immagini, quella in grado di comprendere come la musica sia accompagnamento emotivo delle immagini ma anche il suo giusto compendio sonoro, quella in grado di guidare attraverso scenari dichiarati ma nello stesso tempo consentire un naturale allargamento dello spazio percettivo.

E se le immagini di Nina di Majo sono state costruite partendo dalle emozioni suscitate dalle musiche dei due Frame, registrando una storia d’amore post-umana nei pressi di Afo4 appunto, una delle torri del suggestivo cimitero industriale di Bagnoli alle porte di Napoli, sono le musiche di Leandro e Davide, con il loro passato di musicisti jazz (sassofonista il primo, pianista il secondo), a colmare il vuoto espressivo spesso lasciato da molti lavori audiovisivi di cui è possibile fruire sia dal vivo che su DVD. Dai momenti più d’ambiente come “Nekih Problema” e “From Y to Z” a quelli più sporchi come “Music for a merged bubble”, “Pon” e “Return to Afo4”, Afo4 si maniente un lavoro fortemente audiovisivo e sinestetico nel momento in cui grandi professionisti della musica elettronica e della video arte si sono messi insieme con la giusta inteligenza e sensibilità reciproca. Nessuna sovrapposizione di messagi, una completa e totale fludità operativa, un viaggio omogeneo e dolce all’interno di due mondi mai in contrapposizione, quella dei Frame e quello di Nina, che si rispettano e si compenetrano, a dimostrare che in fondo, dopo qualsiasi velleità tecnico-stilistica, quello che ancora conta sono le nostre emozioni e il modo in cui si riesce a “trasmetterle” a quante più persone possibili. E in questo i Frame con Afo4 ci sono riusciti benissimo.

Ho avuto la fortuna e il piacere di conoscere Leandro al Sintesi di Napoli e abbiamo iniziato a parlare; dopo un’ora di chiacchiere parlavamo ancora, e abbiamo così deciso di mettere per iscritto la nostra conversazione e di allargarla agli altri due membri del progetto. Questo ciò che ne è venuto fuori.

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Mk: Parlatemi del concept che sta dietro Afo 4. La storia che viene raccontata e la musica che la accompagna…

Leandro: Afo 4 nasce come una serie di brani di musica elettronica intesa come ambiente omnicomprensivo di vari livelli materici del suono. Vuole essere musica del livello iperreale (cioè che inaugura mondi sospesi) che abbiamo affidato a Nina di Majo perché permeasse la sua visione e la aiutasse a selezionare emozionalmente cosa riprendere e montare. La musica diventa sceneggiatura; ci troviamo così con suono e visione che tentano di inaugurare una realtà dietro le parole (cioé dietro i lobi frontali), di accedere ad un livello pre-verbale della comprensione. Questo, forse, é il territorio del sogno e di tutto ciò che ne consegue: condensazione, spostamento, elusione delle regole logiche.

Nina: Per quel che riguarda la storia si può dire che si tratta, piuttosto che di una vera e propria storia, di frammenti, di scie di una vita perduta. Una mummia aliena in forma di crisalide (Gabriella Gasparri) cade sulla terra con un’ astronave bianca (AFO 4) e, a seguito di una dolorosa “rinascita”, assume corpo e sembianze femminili. Durante una sorta di erranza nell’ iper-mondo incontra, o meglio, potremmo dire sfiora un uomo, una figura guerriera (Duccio Giordano), forse un samurai. I due inizieranno insieme un viaggio attraverso varie “stanze” dell’immaginario: la valle dell’inferno, un teatro di posa, un’area post industriale . Il “corpo” degli attori , sia quello della donna –mummia-crisalide, sia quello del samurai, non è mai al presente, è un corpo che contiene in sé il prima e il dopo, la stanchezza e l’attesa, trasmette quel che resta di esperienze passate.

Pur volendo tentare di ricostruire la trama , che per quanto mi riguarda immagino ” sia andata perduta” almeno in parte, mi accorgo che una descrizione della medesima rischia di “riempire” quei vuoti invero assolutamente necessari a consentire all’immaginazione di fluire liberamente. C’è il rischio, descrivendola, di eliminare tutto quel “fuori campo” che ancora apparterrebbe e appartiene all’immagine visiva, svuotando così AFO 4 dei suoi potenziali evocativi. Ho cercato, infatti, di elaborare un linguaggio visivo per lo più metaforico e sospeso, tentando di giocare con le suggestioni musicali e con le pieghe tra immagine visiva e sonora, raggiungendo un linguaggio che fosse fondato sulle interruzioni irrazionali tra i due piani del linguaggio (visivo-sonoro).

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Mk: Molti articoli e recensioni su di voi sono stati pubblicati su riviste di musica elettronica e sono fondamentalmente recensioni sul lato musicale del progetto, poco interessate alla commistione tra musica e immagini. Pensate che questa renda merito al vostro lavoro?

Davide: in realtà non so quante riviste in Italia siano interessate ad una commistione del genere. La vostra é un’isola felice da questo punto di vista. Inizialmente con Mousikélab c’era la possibilità di pubblicare il cd, ma pensammo che ciò non avrebbe reso merito al concept nella sua interezza. Grazie anche al supporto del Roma Europa Festival sì é poi arrivati alla pubblicazione in doppio formato, CD+DVD. In realtà secondo me la forma migliore per Afo 4 é quella del live.

Leandro: io penso ad Afo 4 come ad un Giano bifronte. Schopenauer usa questa efficacissima immagine nella sua ricerca delle origini del genio artistico; una faccia rivolta verso la “volontà”, cioè ciò che è dietro le cose , ciò che è ineffabile, l’altra rivolta verso la realtà, spazializzata e temporalizzata (come un’immagine). L’arte trasduce mondi sconosciuti a noi.

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Mk: Il vostro approccio all’audiovideo è peculiare e unico in Italia. E’ raro vedere progetti in cui l’elettronica, nata dalla’integrazione tra computer e strumenti organici, si cimenta con un immaginario cinematografico extradiegetico. Perchè a vostro avviso in pochi sperimentano in questi ambiti e cosa guida voi? Quanto è importante la vostra esperienza con le musiche per film e installazioni?

Davide: la nostra storia personale e musicale é fatta di tantissimi stimoli. Personalmente, una grande passione per il cinema mi ha presto fatto capire che la musica scritta e realizzata in relazione a immagini ha una propria magia, é in grado di modificare in modo sostanziale la fruizione di un film, viene come “assorbita” dal mezzo cinematografico, ne diventa insostituibile elemento. Inoltre la colonna sonora é uno dei rarissimi ambiti in cui c’é grande libertà e necessità di sperimentazione. Da sempre il cinema attinge alla musica contemporanea e a nuove sonorità. Penso ai grandi compositori di Hollywood come Miklos Ròsza, che facevano largo utilizzo di strumenti avveniristici come il Theremin già dagli anni quaranta….

Leandro: La nostra prima curiosità, lavorando nel cinema, era relativa alla peculiarità dei brani di tipo extradiegetico (musica di commento) che non partecipano alla vita reale (?!) del film ma provengono da un altrove. Ma da dove? Sicuramente i personaggi non l’ ascoltano, ma questi brani partecipano al film nella sua performance in sala. Forse essi inaugurano un livello appercettivo iperreale, un “altrove” dove le emozioni si sospendono e riprendono fiato, cosa che spesso ci viene anche richiesta funzionalmente dai registi. Ma lavorano anche a livelli più profondi, dilatano il tempo, oppure semplicemente lo spettatore è sotto l’egida di una struttura musicale ed il respiro energetico di quest’ultima ritocca le corde emozionali della visione.

Nina: Credo sia importante considerare per esempio che durante le riprese la musica era sempre presente sul set e ne costituiva la fonte principale di ispirazione. I personaggi presi in situazioni ottiche e sonore pure si sono trovati così condannati all’erranza . Sono diventati puri veggenti, sono esistiti solo nell’intervallo di movimento, e l’immagine ha acquisito una nuova consistenza, che è dipesa dal legame complesso tra immagine visiva e immagine sonora.

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Mk: Preferite lavorare sulle immagini, come per “Inverno”, o lasciare che qualcuno trovi una trama per immagini alla vostra musica?

Davide: Afo 4 é stato un esperimento di cui sono molto contento e soddisfatto, ma personalmente mi sento molto stimolato a lavorare partendo dall ‘immaginario di un regista. Mi sento parte di un’opera d’arte collettiva quale é il cinema, e ciò mi aiuta a pensare alla musica più adeguata.

Leandro: Sono una persona socievole e anche a me piace sentirmi parte di un’opera collettiva. Nel mio percorso personale ho mostrato fin dall’inizio un particolare interesse alla musica per immagini; anzi all’inizio, come jazzista, alla improvvisazione sulle immagini. In seguito, come compositore, mi è piaciuto esplorare la differenza tra struttura musicale e il tempo che essa inaugura e di come questa dialoghi con la struttura del montaggio. In definitiva non so risponderti, so che Miles Davis diceva che “la musica è molto gelosa”, un po’ è vero; ma l’arte é grande, noi siamo infiniti e il mondo è generoso.

Mk: Quanto possono musica e immagini fornire un livello di percezione pre-verbale. O meglio, come possono le tecnologie e l’integrazione tra i media e i supporti, favorire un livello di fruzione emotiva sine parola?

Davide, Leandro e Nina: da sempre la tecnologia offre la possibilità di una sintesi tra vari linguaggi; è attraverso la tecnologia che la dimensione pre-verbale può affiorare in maniera quasi naturale e precisa. Ogni elemento del montaggio, della scena, della musica, suggerisce un corpus immaginifico che stimola i mondi sospesi dello spettatore pur proponendo una dorsale energetica predefinita. La nostra concezione di sinestesia implica necessariamente la presenza di varie forme d’espressione quali video arte, cinema, teatro danza, utilizzo pittorico del colore digitale in relazione al suono. Abbiamo scoperto che questa curiosità per l’interazione simultanea tra diversi tipi di espressione artistica è molto più antica di quanto non si immagini: pensiamo alla Cromoestesia, cioè la correlazione tra suoni e colori di cui si servì Scriabin per il suo “Prometeo”, un’opera composta per orchestra, piano, organo, coro e colori, che implicava “l’esecuzione” dei colori su un’apposita tastiera e la loro proiezione su uno schermo ubicato dietro l’orchestra.

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Mk: Il vostro lavoro è etichettabile come un viaggio, un esperienza emotiva, una transgenesi. Era il vostro obbiettivo? Quello di portare i personaggi, la storia narrata e i fruitori in un universo parallelo capace di comunicare emozioni, rallentarle, sospenderle, dilatarle e preparare a uno sviluppo ulteriore della trama narrata?

Davide, Leandro e Nina: E’ proprio così; era quello che volevamo fare, e dalle tue parole sembra che ci siamo riusciti…

Mk: Come possono emozioni e musiche e immagini lavorare in sinergia emotiva se ingabbiate al’interno di una struttura di montaggio tendenzialmente ferrea, vincolata a una trama e una narrazione, soggetta a vincoli di regia e di inquadratura nonchè di composizione e armonia? Non sarebbe emotivamente più forte generare il caos sinestetico?

Nina: Credo vada considerato che non vi é una vera e propria trama né una drammaturgia compiuta. Si tratta di una non-storia, di suggestioni, sequenze di una storia interrotta, frammenti di una sequenza immaginaria. C’è però, è vero, ancora l’ombra di una narrazione. Questa sorta di struttura, che struttura non è più , a mio avviso può anche non essere vissuta esclusivamente come gabbia, come invece tu la definisci. Ovvero dialogare con la gabbia può diventare fonte creativa di percorsi narrativi “altri” e “alti”, generare forze centripete forse più stimolanti del caos, reinventarsi del tutto. La gabbia-struttura, una volta reinventata, si rivela così per lo più attraverso la propria assenza progressiva . Lo “scacco” concettuale alla struttura può consistere nel conservarla, nel conservare come strumento di lavoro ciò di cui si mette in discussione il valore di verità; quindi riutilizzandola ma con nuove sembianze, questa volta come “struttura assente”.

Questa concezione ancora parzialmente narrativa deriva sicuramente dalla matrice cinematografica della nostra esperienza di lavoro come gruppo e personalmente come autrice. Anche all’interno di un linguaggio assolutamente vincolato e strutturato come quello del cinema, abbiamo , però, con i Frame, cercato di sperimentare strade personali nei rapporti tra musica e immagini. Penso soprattutto all’ esperienza de “L’inverno “, cercando strade nuove e insieme antiche, attraverso le quali sintetizzare classicismo e anarchia, passato e futuro.

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Mk: Come portate Afo 4 dal vivo? E’ preparato o vige una componente di improvvisazione su suoni e immagini?

Davide: nel live la parte video é una vera e propria proiezione; anche i brani sono abbastanza strutturati, “eseguiti” in un certo senso, anche se ci sono ampi spazi dedicati all’improvvisazione. Ci piace pensare ad una performance più studiata nei suoi passaggi emozionali, nei crescendo e nei diminuendo. Personalmente ritengo che il nostro lavoro vada più nella direzione di opere come la Trilogia di Qatsi di Godfrey Reggio con musiche di Philip Glass che in quella del “live set + visuals”.


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