I progressi nel campo della medicina allungano la vita e le patologie legate all’età, come la demenza senile, stanno diventando un fenomeno sempre più frequente nella vita di molte famiglie, perciò abbiamo il dovere di esaminare possibili soluzioni per assistere singoli individui, famiglie e società. L’arte può aiutarci ad analizzare i nostri dilemmi etici attraverso lo Speculative Design, che impiega elementi tecnologici e idee di design per consentirci di esaminare le possibilità del domani.
Zoë Hough si è assunta questo impegno nella sua ultima mostra, The Microbial Verdict: You Live Until You Die, appena conclusa alla galleria Arebyte di Londra e curata da Nimrod Vardi. Nella sua installazione ha simulato una realtà ipotetica, nella quale una finta istituzione governativa, il “Dipartimento del Sé e della Sanità Mentale”, obbliga i cittadini in procinto di compiere 65 anni a ingerire una pasticca contenente una proteina in grado di controllare le attività cerebrali e di portare l’individuo alla morte non appena smette di “essere se stesso”.
The Microbial Verdict è un mélange di film, design e teatro, che dà la possibilità al pubblico di avvicinare e approfondire il concetto secondo il quale si muore quando le caratteristiche che ci rendono “noi stessi” non esistono più, o si sono ridotte in modo considerevole. I visitatori entrano a far parte dell’opera sottoponendosi a un colloquio con il “Consulente” per determinare le loro dieci caratteristiche personali più importanti, le quali sarebbero utilizzate per comporre la proteina della loro pasticca personalizzata. Ogni dettaglio della mostra è scrupolosamente realizzato con una serie di oggetti come documenti governativi, biglietti da visita e confezioni di prodotti.
Il viaggio si conclude con The Ceremony, un cortometraggio che mostra come sarà il giorno in cui finalmente qualcuno riceverà la propria pastiglia.
Con un Master in Design Interactions da poco conseguito al Royal College of Art e una mostra di successo all’Arebyte dal titolo Smile, the Fiction has Already Begun (Arebyte, 2014) nella quale s’interrogava sulla ricerca della felicità, Zoë Hough si prefigge di esplorare il vastissimo campo emotivo che coinvolge l’uomo in relazione al concetto di controllo. Il suo lavoro è permeato da una forte tensione che intercorre tra le scelte compiute dall’individuo e l’influenza e la manipolazione che questi subisce da parte dello Stato.
L’idea della Hough rappresenta un segnale di quanto possa risultare vantaggioso l’operato dello Speculative Design per la realizzazione di una piattaforma aperta ai pensieri, alle discussioni, alla filosofia, all’etica e persino al dibattito politico, conferendo all’arte un valore prettamente informativo nel nostro quotidiano e permettendole, quindi, di superare i limiti fisici delle pareti impersonali della galleria d’arte per potersi espandere a livello globale.
Kirsten Hawkins: La tua indagine si focalizza sul ruolo assunto dal “controllo” nella nostra vita di tutti i giorni e, specificamente in questo scenario, sul controllo parziale che i cittadini possono detenere sulla propria morte. Trovo singolare la facoltà di decidere e stabilire quali siano le proprie caratteristiche peculiari, senza che questo spetti a qualcun altro. Ma nella realtà dei fatti, siamo davvero in grado di controllare le nostre identità?
Zoë Hough: La questione dell’identità è talmente interessante che potremmo parlare a lungo dei differenti fattori che influenzano il criterio, relazionale e contestuale, attraverso i quali la classifichiamo. Ed è ovvio che le parole che scegliamo per definirla, compito tutt’altro che facile, sono costantemente in cambiamento. In tale scenario, ciascun cittadino ha tempo fino ai 65 anni per indicare dieci caratteristiche o tratti distintivi che, secondo lui, lo identificano come “se stesso”. Il compromesso risiede nel riconoscimento della propria individualità in quanto X, Y o Z e, fatto ciò, ognuno dovrà mantenere il suo stato di X, Y o Z, altrimenti la proteina che controlla le attività cerebrali non avrà più la percezione della persona come “se stessa” e rilascerà una tossina che provocherà una morte rapida e indolore. Perciò, inizialmente il cittadino ha pieno controllo nello stabilire le proprie caratteristiche, poi però, a seconda di come queste lo rappresentino o meno nella realtà, tale controllo viene ceduto a una proteina.
Kirsten Hawkins: Pensi che una pratica come l’ingestione di una proteina che può causare la morte potrebbe contribuire a legalizzare l’eutanasia?
Zoë Hough: Se l’eutanasia serve a evitare a qualcuno di soffrire quando quella persona non vuole soffrire più, allora si possono fare dei paralleli, ma se il controllo è già deciso in precedenza, non si arriva a “soffrire” in alcun modo. La storia del progetto è ambientata in un contesto di vecchiaia e demenza, ma in tal modo ci si aspetta di sollevare anche altre questioni, per esempio sul nostro desiderio di controllo e sulle sue conseguenze e sul nostro concetto d’identità in questa società guidata dall’“Io”, e di arrivare a interrogarsi sulle motivazioni che stanno dietro alle politiche introdotte “nel nostro migliore interesse”.
Kirsten Hawkins: La mostra ha messo insieme elementi presi dal film, dal graphic design e dalla recitazione. Come mai hai deciso di usare un vero attore per interpretare il Consulente? Quali elementi di novità ha aggiunto all’installazione?
Zoë Hough: All’interno della mostra gli attori, che interpretano i consulenti del “Dipartimento di Sé e della Sanità Mentale”, chiedono ai visitatori quali caratteristiche sceglierebbero per descriversi; spero che queste conversazioni aiutino i visitatori a comprendere meglio lo scenario, rendendo l’esperienza più personale.
Kirsten Hawkins: Hai pensato a ogni dettaglio della tua esposizione, inclusi il design dei prodotti come il packaging delle proteine e perfino il copyright. Che cosa ti ha fatto arrivare a disegnare i biglietti da visita e addirittura le brochure del governo per creare un palcoscenico così plausibile?
Zoë Hough: Come già hai detto, i dettagli aiutano a creare uno scenario plausibile e, creandolo, è più facile considerare lo scenario stesso e i problemi intorno a esso. Anche se nell’opera ci sono elementi intenzionali che sottolineano che lo scenario è fittizio, mi piace questo equilibrio tra realtà e finzione.
Kirsten Hawkins: Hai iniziato a studiare Economia e Management, poi hai lavorato come economista e infine nella pubblicità. In che modo le esperienze lavorative in altre aree hanno alimentato il tuo processo creativo? È importante avere conoscenze al di fuori di questo mondo per una speculative designer?
Zoë Hough: È solo un caso che il mio percorso fin qui appaia ora piuttosto non lineare e, per me, il background lavorativo in altri campi alimenta inevitabilmente le mie opere attuali. Ma non penso ci sia una formula perfetta, per ognuno di noi funziona diversamente.
Kirsten Hawkins: Cosa ha ispirato un cambiamento di carriera così drastico?
Zoë Hough: Non è un cambiamento così drastico, a parte il calo del reddito. Oggi i miei progetti provengono da un interesse per la politica, per il tema del controllo, per le emozioni, per l’etica e per il comportamento umano, tutte cose alle quali sono sempre stata interessata e che anche le mie precedenti carriere trattavano, anche se in modo diverso.
Kirsten Hawkins: Fino a che punto credi che il tuo ruolo di designer e artista speculativa del mondo contemporaneo sia di educare e incoraggiare il pensiero critico?
Zoë Hough: Incoraggiare il pensiero critico, in me e negli altri, è certamente un obiettivo.
Kirsten Hawkins: Credi che The Microbial Verdict: You Live Until You Die possa un giorno diventare realtà?
Zoë Hough: Ovviamente non so dove ci porterà il futuro, ma penso sia un bene pensare alle varie possibilità, siano esse strane, ideali, non ideali, apparentemente bizzarre, intelligenti o ingenue, poiché si spera possano aiutarci a decidere in quale tipo di futuro desideriamo vivere.
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