Ballroom Marfa ha presentato Hyperobjects, una mostra collettiva co-curata dal filosofo e professore della Rice University Timothy Morton e dalla direttrice e curatrice del Ballroom Marfa Laura Copelin, sviluppando alcuni punti della teoria di Morton per confrontarsi con la portata travolgente della crisi ecologica odierna.
La mostra presenta installazioni del Center for Land Use Interpretation, di Megan May Daalder, Tara Donovan, Nance Klehm, Postcommodity, Emilija Škarnulyte e Sissel Marie Tonn, oltre ad oggetti e prestiti di David Brooks, del Center for Big Bend Studies, di Rafa Esparza, Raviv Ganchrow, Paul Johnson, Candice Lin, Long Now Foundation, Iván Navarro, Rio Grande Research Center, Oscar Santillán, e A. Michael Powell Herbarium .
Morton si chiede: dove ci troviamo? Marfa, Texas, Stati Uniti, Terra …? Quando? Questa settimana? Quest’anno? La nostra vita? L’era del capitalismo? L’era dell’uomo sulla Terra? E poi, chi siamo? Esseri umani? Cos’è l’umanità? Possiamo dire di trovarci in un modo non misogino o razzista o specista? Come possiamo discutere la nostra azione sulla biosfera?
Nel suo saggio del 2013, “Hyperobjects: Philosophy and Ecology After the End of the World”, Morton definisce gli hyperobjects (iperoggetti) come entità incredibilmente vaste e apparentemente incomprensibili: riscaldamento globale, residui plastici nell’oceano, rifiuti nucleari. Morton sostiene che gli iperoggetti creino una consapevolezza ecologica che va ben oltre la normale comprensione umana.
Per capire un iperoggetto dobbiamo trasformare il modo in cui vediamo e sperimentiamo l’universo. In linea con questa idea, la mostra cerca di dare vita ad incontri con opere d’arte e oggetti non artistici che decentrino ed espandano la scala della percezione umana. Attraverso l’estetica, l’esperienza sensoriale diretta, indagini speculative e drammatiche fluttuazioni di scala, gli artisti in Hyperobjects riflettono sulle varie sfaccettature di questa teoria monumentale.
A tal scopo, Tara Donovan realizza un’iterazione site-specific dell’opera Untitled (Plastic Cups), dove applica il processo scultoreo alle proprietà fondamentali di un oggetto, in questo caso un bicchiere di plastica, su una scala che trasforma il bicchiere in qualcosa di completamente altro.
L’installazione video immersiva di Emilija Škarnulyte rappresenta rilevatori di neutrini e sottomarini nucleari dal punto di vista di un antropologo di un futuro lontano. Mirrorbox di Megan May Daalder è un doppio casco da indossare, inventato dall’artista che riflette e combina le caratteristiche facciali dei partecipanti, abbattendo i confini percepiti tra sé e gli altri.
Sissel Marie Tonn installa una nuova configurazione del suo Intimate Earthquake Archive, che consente ai visitatori di indossare giubbotti che trasmettono i dati sismici dai terremoti causati dalle estrazioni di gas. Nance Klehm scava buche nel giardino del Ballroom: scavando, creando cumuli, analizzando il terreno, catalogando i detriti, offre ai visitatori l’opportunità di essere fisicamente immersi nella terra.
Il collettivo di artisti Postcommodity prende in esame il confine tra Stati Uniti e Messico con un’installazione sonora che drammatizza la cooptazione del mito, della lingua e della voce messa in atto dal governo per trattenere i migranti che si spostano nel territorio. Per comprendere le interazioni umane con il territorio degli Stati Uniti, il Center for Land Use Interpretation (CLUI) studia e mappa questi fenomeni all’interno della giurisdizione del Texas occidentale.
Copelin e Morton hanno anche inserito oggetti provenienti dai reperti botanici, geologi e antropologici locali di Marfa e della regione di Trans-Pecos, concesse in prestito dai partner accademici della Sul Ross State University: Center for Big Bend Studies, Rio Grande Research Center e A. Michael Powell Herbarium.
Distribuite tra prototipi e manufatti vi sono opere d’arte e oggetti di David Brooks, Rafa Esparza, Raviv Ganchrow, Paul Johnson, Candice Lin, della Fondazione Long Now, Iván Navarro e Oscar Santillán. Ballroom Marfa collabora con organizzazioni di ricerca locali, regionali e nazionali in una serie di programmi supplementari correlati alla mostra che avvicinano i partecipanti alla singolare ecologia del Trans-Pecos.
Tra i partner del progetto si possono citare il Borderlands Research Institute e il Rice University’s Center for Energy & Environmental Research in the Human Sciences andT he Nature Conservancy. Il catalogo, prodotto in concomitanza con la mostra, comprenderà i contributi di Olafur Eliasson, Kathelin Gray, Morton, Ben Rivers, Kim Stanley Robinson, Mark von Schlegell, degli artisti presenti nella mostra e di altri che presto saranno annunciati.