Kenneth Goldsmith è artista e poeta, ben conosciuto a livello internazionale per essere l’editor di UbuWeb – il più ampio archivio digitale di arte contemporanea – nonchè senior editor di PennSound presso la University of Pennsylvania, dove insegna. E’ autore della collezione di saggi, Uncreative Writing: Managing Language in the Digital Age (Columbia University Press, 2011) e lo scorso Agosto ha pubblicato il suo ultimo libro Wasting time on the internet (HarperCollins Publisher Inc, 2016), un manifesto che mostra “come il tempo che passiamo su internet non è realmente perso, ma è piuttosto produttivo e creativo se l’esperienza viene vista nel contesto teorico e filosofico appropriato”.
Un libro che nasce da un’esperienza: un corso tenuto alla Pennsylvania University in cui Kenneth Goldsmith si è cimentato con i propri alunni a mettere in pratica un esperimento di gruppo: spendere tempo sul web, esplorandone tutte le sue possibilità relazionali, comunicative e creative.
Wasting time on the internet nasce da un’esperienza. Un corso tenuto alla Pennsylvania University in cui Kenneth Goldsmith si è cimentato con i propri studenti a mettere in pratica un esperimento di gruppo: spendere del tempo sul web, esplorandone tutte le sue possibilità relazionali, comunicative e creative.
Ne è nato così un libro importante, che analizza il web nella sua attualità ma senza dimenticare la cornice culturale da cui è emerso. Goldsmith traccia un percorso fatto di rimandi continui tra pratiche sociali, culturali, artistiche e storiche, passando dai surrealisti a Benjamin, dalla teoria dell’immagine a quelle sulla memoria, che nel web, e nel nostro modo di navigarlo e utilizzarlo, vedono una propria virtuosa evoluzione. Perché, al fondo, l’analisi di Goldsmith porta con sé una tesi profondamente ottimista sul web e sui social, che vengono visti, vissuti e spiegati come un fenomeno di rinascita creativa. Una fiducia che Goldsmith mette in campo da anni, non solo teoricamente ma anche nella prassi con il suo Ubuweb.
Un libro che, uscito quasi in contemporanea con la provocazione di Scott E. Bartner che ha postato sulla sua pagina Facebook The Hirschsprung Family del pittore danese Peder Severin Kroyer con la frase “How people ignored each other before smartphones”, stimola a ridiscutere, qualora fosse necessario avere stimoli, la questione del web, le sue derive e soprattutto le sue possibilità.
Simone Broglia: Wasting time on the internet era il nome del tuo corso alla Pennsylvania University nel 2015. Un anno dopo ne è nato questo libro. Com’è cambiato, se è cambiato, il web e il nostro approccio dal 2015 a oggi?
Kenneth Goldsmith: Siamo solo diventati più dipendenti dal web, come avevo previsto. Non è un male, è una cosa inevitabile, anche se ancora c’è una resistenza: si lamenta il fatto che dovremmo mettere giù i nostri telefoni. Nonostante questo, la gente rifiuta di farlo. Il telefono è diventato come l’aria per noi: non chiederesti mai a qualcuno di smettere di respirare. Ciò che negli anni è diventato più chiaro è invece la quantità di dati carpiti tramite i dispositivi. Come molti, anch’io, allarmato da questo, ho disabilitato tutti i sistemi di tracciamento attivi sul mio telefono. Risultato? Il telefono ha smesso di funzionare. Così, lentamente li ho attivati tutti di nuovo. Ora accetto che in cambio dell’”aria” devo fornire i miei dati. Per me è uno scambio equo. Lo accetto.
Simone Broglia: Perché ritieni sia importante analizzare lo “stare sul web” e inscrivendolo all’interno di una griglia o schema concettuale?
Kenneth Goldsmith: Siamo molto competenti in fatto di tecnologia e nonostante ciò abbiamo una teorizzazione molto povera dell’argomento. Dobbiamo essere più consapevoli rispetto al “come” e al “perché” facciamo determinate cose, per divenire più consapevoli.
Simone Broglia: Era questo lo scopo iniziale del corso alla Pennsylvania University oppure hai iniziato a pensare di concettualizzare lo “stare sul web” durante lo sviluppo delle lezioni con gli studenti? Potresti raccontare l’idea e la dinamica delle lezione?
Kenneth Goldsmith: Quando “perdiamo tempo” su Internet siamo soli, di conseguenza riteniamo sia qualcosa di alienante. Ma quando questo viene fatto in gruppo, può diventare coinvolgente e “iper-sociale”. Il perdere del tempo su Internet, se lo guardiamo da un certo punto di vista, non è sinonimo di solitudine, il più delle volte, infatti, stiamo parlando con altre persone. Quindi, quando si dice che stiamo diventando meno sociali, io dico di no, anzi stiamo diventando più sociali ed è ciò che accade in classe, dove si crea un’esperienza emotiva e connessa con gli altri all’interno della stanza, qualcosa di similare a una lezione di yoga o un incontro di un gruppo new age.
Simone Broglia: Solitamente abbiamo una visione delle nuove generazioni come costantemente incollate agli schermi dei loro devices, iperconnessi e iperstimolati. Perché tu invece tracci un parallelismo con l’esperienza surrealista dello “sleepwalking”.
Kenneth Goldsmith: Questa è la situazioni surrealista ideale. Siamo in equilibrio tra il sonno e il risveglio, in una incoscienza collettiva. Siamo costantemente qui e non qui. A me questo sembra surrealismo.
Simone Broglia: Questo genere di relazione l’hai ritrovata anche nell’atteggiamento dei tuoi studenti?
Kenneth Goldsmith: In classe, gli studenti ascoltano sempre solo a metà. Mentre io faccio lezione, loro stanno pensando a cosa mangeranno a pranzo o stanno fantasticano sull’appuntamento che avranno quella sera. L’idea della piena attenzione è falsa, i nostri dispositivi ora lo rendono evidente: dobbiamo accettare l’idea che nessuno, in nessuna situazione, sia mai in grado di darci la sua piena attenzione. Ammetterlo è solo un sollievo.
Simone Broglia: Pensi che questo “comportamento da smartphone” possa appiattire le caratteristiche e peculiarità di ciascuno?
Kenneth Goldsmith: No anzi, amplifica l’individualità di tutti. Se guardi Twitter, ad esempio, le persone diventano caricature, amplificando così tanto alcuni loro aspetti e caratteristiche da diventare i cartoni animati di se stessi. In un’economia dell’attenzione, l’inflazione di se stessi diventa necessaria.
Simone Broglia: “I shoot therefore I am”, è il titolo di un capitolo molto interessante del tuo libro. Come lo “stare sul web” ha cambiato la nostra auto-percezione secondo te? Quanto siamo lontani da René Descartes?
Kenneth Goldsmith: Se non siamo on line non esistiamo. I scatto dunque sono. Io tweetto dunque sono. Io posto dunque sono. Nel momento in cui smettiamo di seguire qualcuno o qualcuno se ne va, per esempio, da Facebook, egli non esiste più. Essere una parte dei social media implica esistere adesso ad un livello fondamentale.
Simone Broglia: Su social network e scrittura invece. È possibile secondo te scrivere un libro di poesia su Instagram?
Kenneth Goldsmith: Certo, molte persone come Rupi Kaur lo fanno ogni giorno. Ma, invece di pubblicare poesie su Instagram, preferisco concepire Instagram stesso – come apparato e meccanismo di diffusione – come il miglior poema mai scritto; una poesia che continua a scrivere se stessa. Instagram è il gioco finale della scrittura automatica dei surrealisti, più automatica di quanto qualsiasi surrealista avrebbe potuto immaginare.
Simone Broglia: Parliamo di social media. A volte penso che W. Benjamin sarebbe stato perfetto amante e utilizzatore di Instagram. Con libri come “Passages o Berlin Childwood”, abbia creato una collezione a-sistematica di immagini di vita, che lui chiamava “mosaic”, che richiama molto quelle che oggi sono le storie di Instagram. Sei d’accordo? Cosa ne pensi?
Kenneth Goldsmith: Certamente. Walter Benjamin non solo teorizza e predice i social media odierni ma ha ispirato diversi artisti che lavorano in questa direzione. La sua influenze non può essere assolutamente minimizzata.
Simone Broglia: Leggendo Wasting time on the internet possiamo trovare, oltre all’analisi antropologica delle persone oggi e della loro relazione con il web, continui parallelismi con altre e differenti epoche storiche e movimenti artistici. Perché pensi sia importante descrivere il web e il nostro approccio ad esso partendo da un’idea di continuità storica?
Kenneth Goldsmith: Il web non apparso dal nulla e non è stato inventato all’improvviso. Ha radici profonde nel pensiero che lo ha preceduto. La ragione per cui oggi lo odiamo è perché pensiamo che sia nuovo e senza storicità, una rottura netta con il passato. Al contrario c’è una forte continuità con i primi modi di pensiero e se lo analizziamo in questo modo smetteremo di temerlo e impareremo a capirlo.
Simone Broglia: Molte delle esperienze artistiche e culturali che tu descrivi, come il surrealismo, sono nate come un modo critico di vivere e creare arte. C’è un modo critico di usare il web?
Kenneth Goldsmith: Ognuno è critico. È semplice, scontato e noioso. Meglio sarebbe chiedersi “come amiamo il web”? E’ più difficile ma è più vera. Il web si nutre di odio. Io voglio immaginare che si nutra di amore. E’ impegnativo ma possibile.
Simone Broglia: Ho letto che ti definisci un “radicale ottimista” riguardo internet e il “rinascimento creativo” che esso può generare…
Kenneth Goldsmith: Sì, tutto il web è un esempio di rinascita creativa. Per esempio il modo in cui condividiamo manufatti, link, e argomenti d’interesse con gli altri, stando da soli, è meraviglioso. Sulla mia home page di Facebook imparo più cose sulla creatività del mondo che non su quanto sia pieno di odio. Alla fine l’amore “Trump” (in inglese “Triumph”) trionfa, sull’odio. E lo penso in ogni maniera immaginabile.
Traduzione: Veronica Pesce