Ho incontrato per la prima volta Tim Pritlove, del Chaos Computer Club, durante la prima edizione di Dorkbot Berlin a febbraio. Un’amica ci ha presentati ed ho subito esclamato: “Cool, Chaos Computer Club! Sei uno dei ragazzi che hanno fatto quell’allucinante istallazione Project Blinkenlights? Complimenti!”
Ed in testa mia, CCC era solo quello, un pugno di artisti che fanno una follia come solo ne vedi a Berlino: permettere alla gente di usare i loro cellulari per giocare a Tetris sulla facciate di un’edificio. Però sbagliavo. Alla grande. Perchè, come mi hanno racontato Fiedel Klein e Tim il mese scorso, non sono nemmeno artisti.
Tim: Non siamo un gruppo di artisti, siamo principalmente degli hackers e con questa cosa di Blinkenlights ci siamo ritrovati “artisti per caso.” Non avevamo nessuna intenzione di fare un’opera artistica, un’ “installazione.” Un giorno abbiamo avuto quest’opportunità di avere a disposizione un’edificio, tutto è successo molto velocemente: ci danno il permesso di utilizzare il building, ed in una settimana Project Blinkenlights era partito. Noi pensavamo solo a quello che stavamo faccendo. Tecnicamente. Non all’eventuale impatto della nostra idea. All’inizio volevamo solo scrivere CCC sulla facciata. Tutto lì. Ma poi qualcuno ha detto “Ma se riuscite a fare questo allora potete anche gioccare a Pong. E cosi via. E’ il classico sogno di un hacker, sai? Avere un edificio tutto per noi, tranformarlo in una gigantesca piattaforma di gioco. Molta gente ci diceva “Fantastico. Ma dove le trovate queste idee meravigliose?” Ma per noi era totalmente ovvio…
Régine: Ovvio? Pensate davvero che avete fatto qualcosa di ovvio, di banale?
Fiedel: Ma certo, se guardo dalla finestra della mia cucina e vedo tutte queste luci che si accendono, si spengono… per me la cosa da fare era Blinkenlights. E logico, no?
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Régine: Guarda che avete una logica tutta vostra allora – ridono.
Fiedel: OK, è la nostra logica, noi siamo cresciuti con i computer, e per noi è normale.
Tim: Ma poi non siamo stati i primi a fare una cosa simile. Prima di noi l’hanno fatto a Boston ed a Bruxelles. Però il nostro aveva un’ elemento di più. Anzi, due elementi. Prima, c’era questa interfaccia con il cellulare e quindi la gente poteva giocare, essere partecipe del processo. Secondo, il sistema permetteva alla gente di mandare le proprie animazioni e di “proiettarle” sulla facciata. Poi siamo a Berlino e qui se fai qualcosa nel pubblico interesse, la gente lo apprezza davvero. E se alla fine Blinkenlights è rimasto lì per sei mesi, è stato grazie al contributo della gente. Hanno portato le loro idee. Un terzo delle animazioni erano dichiarazioni d’amore. E stato Super Romantik. Una notte mi ha svegliato un tizio “Hey, non mi conosci ma sei la mia unica speranza. La mia ragazza mi vuole lasciare, come si fa a proiettare un’animazione d’amore?” La gente ha cominciato a vedere Blinkenlights come una cosa che faceva parte integrale della città. Dopo sei mesi, però abbiamo dovuto “dare indietro” l’edificio che doveva essere rinnovato.
Régine: Ma poi c’è stato un secondo Blinkenlights a Parigi, no?
Tim: Sì, è stata un’altra esperienza allucinate. Siamo stati molto fortunati: ci hanno prestato la Bibliothèque Nationale de France. L’esperienza è stata più breve perchè faceva parte del festival Nuits Blanches. Ma poi i Francesi ci hanno detto che Blinkenlights aveva cambiato l’immagine che la gente aveva della Bibliothèque. L’hanno costruita in mezzo alle polemiche. Era un “regalo” di François Mitterand, era costosa ed insomma non piaceva. Ma dopo l’istallazione la gente ha cominciato ad accettare l’edificio, a vederlo con altri occhi. E stato uno spasso.
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Régine: Ho l’impressione che lo “spasso” è un’elemento cruciale da voi…
Tim: Si, in generale l’ hacking ha molto da fare con lo spasso, il divertimento. Facciamo quello che ci piace.
Régine: E a parte lo spasso?
Tim: E tutto uno stato d’anima. C’è gente che accetta le cose come sono e se un oggetto, programma, gadget non fa le cose che servono realmente a lui, si rassegna e si ferma lì. L’approccio dell’ hacker è “OK, se posso fare così, allora potrei anche fare qualcos’altro.” Apri, ispezioni, decostruisci… L’idea è di prendere la tecnologia e di usarla per fare qualcosa di totalmente inaspettato, inconsueto.
Régine: Ma ci si può definire hacker se non te ne intendi per niente di tecnologia, se hai soltanto questo “stato d’animo”?
Fiedel: Credo che dipenda del punto di vista. Un bambino di sette anni che apre il giocatolo per vedere com’è fatto e che prova a ricostruirlo in un’altro modo è un hacker. L’essenziale è essere qualcuno che non si accontenta di leggere il manuale d’istruzione ma va oltre.
Tim: Vero. Non si tratta soltanto di computer. Devi solo essere abbastanza aperto e non accettare i limiti che sembrano imposti.
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Régine: Cosa pensate di questa moda di “assumere” hackers per dare corsi sulla sicurezza?
Tim: Nei media, gli hackers sono spesso associati con la sicurezza dei computer. Sono visti come dei ragazzi molto furbi che leggono la tua mail e trafficano con il tuo conto bancario. Ma è solo una piccola parte della storia. La situazione qui in Germania è molto speciale. Ovviamente anche qui c”è gente che la pensa così ma in generale il pubblico ci vuole bene. CCC è nato nel 1981 in piena epoca di Guerra Fredda. I fondatori di CCC insegnavano cos’era realmente la tecnologia, i suoi pregi, i suoi pericoli. La tecnologia è come una mazza da baseball. L’uomo che la ha in mano la può usare in un modo positivo o pericoloso. La situazione dal punto di vista della diffusione della tecnologia era ben diversa da oggi, ma i primi membri del CCC avevano intuito che un giorno avremmo tutti avuto un computer a casa, che ci saremo scambiati emails, che Internet sarebbe diventato ubiquitous. Quindi la gente ci vede con un po’ di diffidenza, come ragazzi incontrollabili, ma anche come gente affidabile, che spiega gli strumenti, che lavora apertamente, che espone l’impatto potenziale delle tecnologie. Insomma siamo in grado di influenzare –almeno un po’–
l’opinione pubblica.
Régine: Avete degli esempi?
Fiedel: Ogni volta che sorge qualche novità nel settore tecnologia ci chiedono la nostra opinione. Ad esempio, un po’ di tempo fa, si poteva leggere sui giornali che era assolutamente impossibile clonare le SIM cards dei cellulari. Questo era la versione ufficiale. Abbiamo dimostrato che non era vero. Abbiamo filmato l’esperimento con un materiale video da professionisti e l’abbiamo passato al pubblico e la nostra dimostrazione è stata la notizia numero uno dei telegiornali tedeschi. Non dico che oramai siamo considerati come degli oracoli, ma ci ascoltano.
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Tim: I giornalisti vengono da noi ogni giorno a chiedere il nostro parere sull’attualità tecnologica.
Régine: Ogni giorno?
Tim: Si, abbiamo due persone che si occupano soltanto delle relazioni con i giornalisti. E credimi sono impegnatissimi. I media chiedono la nostra opinione su qualsiasi cosa: le carte bancomat, le nuove leggi, etc.
Régine: Direi che siete dei privilegiati. E’ tutt’altro la situazione degli hackers in molti paesi.
Tim: Si, in alcuni paesi rendono loro la vita dura, li guardano come terroristi, come criminali. Noi siamo molto fortunati, siamo i Robin Hood digitali!.
http://weblogs.digital.udk-berlin.de/tim/