Non si vede ma c’è. È dappertutto e ha un ruolo attivo nelle nostre vite. Continuamente lo utilizziamo, manipoliamo, alimentiamo. È un veicolo per le nostre comunicazioni, un mezzo per approfondire le nostre conoscenze scientifiche. E dato che supera i nostri limiti percettivi, non ci preoccupiamo di scoprirlo, ignoriamo le dispute per la sua proprietà, gli usi che se ne fanno, le possibilità che ci offrirebbe.

È lo spazio hertziano, il mondo delle onde radio e dello spettro elettromagnetico. Un’infrastruttura che influenza profondamente il nostro quotidiano e la nostra comprensione dello spazio fisico, dell’architettura e dell’urbanistica. Una dimensione di cui, in una realtà dall’incerto futuro, dove sempre probabilmente sarà necessario trovare e inventare spazi di autogestione e di libertà, vale la pena fare la conoscenza.

E proprio l’esplorazione di questo paesaggio è la proposta della mostra “Campi Invisibili – Geografie delle onde radio“, inaugurata lo scorso 15 ottobre del 2011 all’Arts Santa Mònica di Barcellona e aperta fino al 4 marzo del 2012. Curata da José Luis de Vicente e da Honor Harger dell’agenzia di cultura digitale Lighthouse (Brighton, UK), è stata realizzata con la collaborazione del British Council, del Bureau du Québec à Barcelone / Conseil des Arts et des Lettres du Québec, del LABoral Centro de Arte y Creación Industrial di Gijón e del Bòlit-Centre d’Art Contemporani di Girona.

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Come tutti i progetti dello Spazio Laboratorio del Santa Mònica, si tratta di una mostra (diretta dal giovane e lungimirante Josep Perelló), dedicata a esplorare i punti di intersezione tra arte e scienza, che non si limita a invitare lo spettatore a una contemplazione passiva di una selezione di opere, ma lo coinvolge attivamente in progetti pulsanti di vita ed in laboratori che lo immergono nella sperimentazione e nell’approfondimento ottenuto tramite la partecipazione diretta. “Campi Invisibili” si propone come una sorta di “osservatorio” che permette di percepire lo spettro radioelettrico come uno spazio fisico, ” un territorio che”, come affermano gli stessi curatori, “si può studiare, rappresentare, sorvegliare ed esplorare”.

Lo spetto radioelettrico, oltre a impegnare ricercatori e scienziati, è oggetto di interesse, e materia di lavoro, di artisti, designer, attivisti e pirati informatici, che si occupano di rendere visibili questi spazi – da quelli pubblici (come la tecnologia WiFi e la radio) a quelli più misteriosi (come i segnali clandestini e le comunicazioni militari) – e li rappresentano, li sonorizzano, li traducono in visioni utopiche, li occupano. “Campi Invisibili” articola le opere proposte nella sua parte espositiva in cinque capitoli.

Il primo, “Circondati dalle onde“, contiene nuove interpretazioni estetiche, concettuali e percettive dei paesaggi elettromagnetici terrestri e celesti. Qui troviamo due video di Semiconductor,20 HzeMagnetic Movie. Il primo video traduce in forme scultoree i dati del radio array CARISMA interpretati come dati audio, mentre il secondo illustra la vita segreta dei campi magnetici dei Laboratori di Scienze Spaziali della Nasa (UC Berkeley).

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Proseguendo nell’itinerario si trova l’installazione interattiva Invisible Forces di Antony de Vincenzi (http://www.thinkwithdesign.com/#830306/INVISIBLE-FORCES), uno strumento che misura i campi di dispersione elettromagnetica emessi da oggetti elettrici di uso quotidiano e li rappresenta in uno schermo che si comporta come uno specchio aumentato. Possiamo così entrare in una Gabbia di Faraday, per godere un momento di “silenzio hertziano”: le sottili maglie metalliche che formano le pareti sono in grado di filtrare la maggior parte delle emissioni radioelettriche riportandoci a quando, prima della fine del XIX secolo, gli unici segnali radioelettrici erano quelli prodotti dai fenomeni naturali.

Dopo questa pausa in uno spazio irraggiungibile da Internet e dalla telefonia cellulare, si entra nel laboratorio virtuale di Thomas Ashcraft (http://www.heliotown.com/), collegato con il suo laboratorio reale in New Mexico (USA), dove si assiste all’attività di questo scienziato: uno sperimentatore che si dedica ad osservare ogni notte i corpi celesti, seguendo le onde radioelettriche che emettono. Il capitolo si conclude così con Loops and Fields: Induction Drawing Series 4, di Joyce Hinterding (http://www.sunvalleyresearch.net/), una serie di disegni che si comportano come antenne grafiche e rispondono all’energia che li circonda convertendola in segnali sonori.

La cosiddetta Città hertziana rappresenta poi l’architettura invisibile dello spettro radioelettrico che ha colonizzato il paesaggio urbano, riempiendolo di infrastrutture fisiche e digitali. Observatorio (http://www.lalalab.org/observatorio.htm), un’installazione interattiva di Clara Boj e Diego Diaz, ci permette di visualizzare le reti senza fili presenti intorno al luogo in cui si trova. Utilizzando una telecamera di sorveglianza, una potente antenna Wi-Fi unidirezionale e un visore che permette di distinguere le reti protette da quelle aperte, l’installazione invita a riflettere sulla necessità della rete globale e pubblica rivendicata da molti collettivi.

La visualizzazione delle reti Wi-Fi e, oltre a quella delle relazioni elettromagnetiche, è argomento anche dei video Nearness, Wireless in the World, Light Painting Wifi di Timo Arnall (http://www.elasticspace.org), l’ultimo dei quali recentemente si è rivelato un vero e proprio fenomeno virale su Internet.

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Il secondo, “Politica delle onde” riflette invece sulle tensioni e sui conflitti generati, da una parte, dalla trasformazione da parte della società dell’informazione dello spettro in un bene immobile e, dall’altra, dall’utilizzo della radiofrequenza da parte di attivisti, intellettuali e filosofi come un’estensione dello spazio pubblico.

Qui troviamo l’installazione interattiva di Rafael Lozano-Hemmer Frequency and Volume (http://www.lozano-hemmer.com/frequency_and_volume.php), che permette ai visitatori di utilizzare le loro ombre per sintonizzare e ascoltare varie frequenze radio utilizzando il loro corpo come antenna. Essa fu concepita in un momento in cui il governo messicano stava chiudendo diverse stazioni radio informali gestite dalle comunità indigene negli stati del Chiapas e di Guerrero.

In Office of Spectral Ecology (http://www.mbiederman.com/#98536/Office-of-Spectral-Ecology), di Matthew Biederman, si può vedere in un lungo grafico come l’Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (ITU) abbia assegnato le licenze per l’uso dello spettro elettromagnetico: in uno schermo appare infatti una visualizzazione delle emissioni del campo elettrico, magnetico e di radiofrequenze di Barcellona ottenuta utilizzando Google Earth. Una cronologia delle utopie dello spettro, di Irma Vilà, presenta una storia alternativa dello spettro, che, alle tappe relative all’evoluzione delle comunicazioni e agli interessi commerciali, affianca progetti artistici che hanno aperto la strada a nuove visioni e iniziative comunitarie e partecipative tra le quali radio libere come l’italiana Radio Alice.

Il lato oscuro dello spettro è il capitolo più affascinante e allo stesso tempo inquietante della mostra. Come il titolo stesso suggerisce, è dedicato a progetti che tentano di mettere in luce gli usi clandestini e misteriosi che fanno dello spettro l’esercito e i servizi segreti. Qui non poteva mancare il “geografo sperimentale” Trevor Paglen (http://www.paglen.com), conosciuto per la sua capacità di trovare luoghi tanto fisici quanto nella infrastruttura hertziana. Nel suo video Drone Vision, mostra le trasmissioni di un drone (aereo pilotato a distanza) americano intercettate da un “hacker di satelliti”.

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The Conet Project (http://www.irdial.com/conet.htm), di Irdial Discs, è una raccolta di registrazioni di number stations, stazioni radio in onde corte di origine sconosciuta che trasmettono sequenze di numeri, parole o lettere, codice morse o apparente rumore. Inizialmente furono associate alla guerra fredda, ma la prosecuzione della loro attività, sommata al fatto che nessun ente o governo abbia mai ammesso di utilizzarle, lascia irrisolto il mistero.

Skrunda Signal, un video di Raitis Smits, Rasa Smite, Martins Ratniks e Linda Vebere / RIXC (http://www.rixc.lv/projects/skrunda_signal/), si basa su una ricerca articolata intorno alla stazione di radiolocalizzazione di Skunda, in Lettonia, con interviste a esperti e storie degli abitanti della zona, che furono vittime di problemi di salute, allucinazioni ed eventi inspiegabili.

Infine, il Twilight Immunity Museum di Job Ramos (http://www.jobramos.net/) narra, attraverso una serie di oggetti simbolici, gli effetti, più o meno metafisici, provocati nel suo ambiente dalla sede di Radio Liberty, una stazione radio di proprietà del governo americano installata a circa 150 Km da Barcellona che si occupava di emettere informazioni propagandistiche dirette al blocco sovietico. La radio cessò le sue attività nel 2001, per poi essere distrutta nel 2006 anziché, come era stato proposto, essere trasformata in un museo.

Durante tutta la durata della mostra, nell’area “Creiamo onde”, si sono tenuti laboratori che hanno permesso ai partecipanti di approfondire i temi trattati nella parte espositiva e di sperimentare la possibilità di costruire facilmente e con materiali casalinghi apparecchi radiofonici, reti cittadine e antenne capaci di intercettare segnali di ogni tipo, non ultimi quelli emessi dalla folta schiera di satelliti che orbitano intorno alla terra.

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Tra i protagonisti di questi laboratori, si sono distinti Guifi.net, una piattaforma collaborativa di innovazione, ricerca e sviluppo che promuove la creazione di reti ed infrastrutture aperte di comunicazione e che è una delle infrastrutture senza fili più grandi del mondo; i Luthiers Drapaires (http://luthiersdrapaires.wordpress.com/), un interessante gruppo di riciclaggio creativo di rifiuti tecnologici che costruisce strumenti musicali originalissimi seguendo la filosofia del DIY;

Plataforma Cero, un progetto di produzione e ricerca del LABoral Centro de Arte y Creación di Gijón (http://www.laboralcentrodearte.org/en/exposiciones/orbitando-satelites); il Centro di Astrobiologia (CSIC-INTA) (http://cab.inta-csic.es/index.php?lng=en), una delle tre stazioni di controllo dei satelliti della NASA nel mondo, che dispone di un radiotelescopio del diametro di 34 metri nei pressi di Madrid.


http://www.artssantamonica.cat/