Dal 16 al 26 Novembre scorso si è svolta la quindicesima edizione del CynetArt Festival di Dresda, una delle rassegne Europee più longeve e conosciute nell’ambito dell’arte digitale e delle sue possibili contaminazioni con l’audiovisivo contemporaneo.
In un periodo storico, questo che stiamo vivendo, caratterizzato da tagli economici all’arte e alla cultura sempre più drastici e radicali che stanno colpendo anche i paesi del Nord Europa (Germania e Olanda su tutti), il CynetArt Festival è uno dei soggetti promotori dell’ European Cities of Advanced Sound (ECAS), network di festival europei (Cimatics Brussels | Todaysart The Hague | CTM (Club Transmediale) Berlin | Musikprotokoll Graz | Unsound Krakow | Insomina Tromsø | FutureEverything Manchester| Skanu Mezs Riga | Dis-Patch Belgrade | Festival Pomladi / MOTA Ljubljana | Full Pull Mälmo | Les Siestes Electroniques Toulouse | NuMusic / NuArt Stavanger | RIAM Marseille | Bucharest Sperm Prague) che dimostrano in modo concreto come le dinamiche di network, di condivisione di contatti, conoscenze, produzioni, nonché di spese per logistica e trasporto di opere e artisti, siano una possibile ed efficace modalità di cooperazione tra soggetti operanti nel mondo dell’a cultura e dell’arte
Un approccio produttivo condiviso che, lontano dalle ormai continue lamentele sulla situazione economica di “crisi” e dalle dinamiche di “chiusura” appartenenti tipicamente al mondo accademico, per non parlare dagli atteggiamenti a volte anacronistici di rifiuto delle logiche di mercato da parte di certi circuiti dell’arte, spinge verso una maggiore cooperazione a livello intercomunitario e un costante confronto con le logiche economiche che sottendono la produzione culturale contemporanea. E che, guarda caso, viene percepito in modo estremamente positivo a livello di fondi Europei, per poter accedere, ad esempio, al Programma alla Cultura della Commissione Europea di cui il circuito ECAS sta beneficiano nel periodo 2007-2013.
Nato 15 anni fa all’interno della Trans-Media-Akademie Hellerau, con la direzione artistica di Thomas Dumke e il supporto, tra gli altri di Joanna Szlauderbach, CynetArt Festival ha sfruttato per più di 10 giorni le sale della Festspielhaus Hellerau nella zona Nord dell’area urbana di Dresda.
Un’occasione unica, questa, per celebrare al meglio il centenario della realizzazione di questa struttura per le arti realizzata dall’architetto e urbanista Heinrich Tessenow, parte del complesso residenziale di Hellerau e primo tangibile risultato dell’influenza del movimento inglese delle “città giardino” in Germania, nonchè simbolo del movimento conosciuto come “Body Liberation Movement”.
Seguendo quanto più fedelmente possibile questo approccio e adattandosi piuttosto bene agli spazi architettonici a disposizione, CyneArt Festival è stato realmente in grado di offrire ai suoi visitatori un’esperienza percettiva ricca e mai banale.
Opere in mostra ben allestite selezionate dal curatore Thomas Dumke, una dimensione di “scoperta” sempre presente muovendosi attraverso le varie sale espositive che ho avuto modo di visitare nella giornata del sabato alla presenza degli artisti, ambienti spesso coinvolgenti a cavallo tra la dimensione del sogno e quella del gioco per spingere il visitatore ad addentrarsi curioso nella pancia della Festspielhaus.
Un ventre buio ed immersivo, piuttosto ampio nella sua volumetria ma al contempo capace di creare quel giusto equilibrio tra inquietudine e fascinazione, concentrata in modo verticistico sul perno centrale di tutta la rassegna: il CineChamber del Recombinant Media Lab, prodotto e curato da Naut Hauman.
Se la disseminazione delle opere ha forse penalizzato la percezione della mostra come evento espositivo organico, l’allestimento degli spazi dedicati a ciascun artista, progettato da Endre Ketzel, è riuscito in maniera ottimale a valorizzare e collocare adeguatamente opere molto diverse. Tra le quali: Experiment Using Movement And Light To Define Space, light installation di Markus Mai & Moritz Arnold, che, lavorando su soli due elementi, luce e movimento, disegna strutture di ombre in divenire, destabilizza le linee architettoniche e la relazione tra corpo e spazio
Vibrator, di Prokop Bartonícek, un oggetto dal design fallico la cui vibrazione è legata al traffico di YouPorn, per creare un cortocicuito tra la dimensione individuale e quella collettiva nella ricerca del piacere in rete; Paradise Creatures, di Michael Hoepfel, usa i codici della scienza, mostra resti anatomici e tomografie per mascherare di realtà la bellezza di creature impossibili e immaginarie, esseri traslucidi ed evanescenti, tracce di habitat mai esistiti.
Infine, l’installazione Between | You | And | Me, di Anke Eckardt, senza dubbio il lavoro più interrante in mostra: un’ampia sala buia attraversata da un muro di luce e fumo invita lo spettatore ad avvicinarsi, a scoprire che in questo caso il muro non è limite o barriera ma ridefinizione di uno spazio da attraversare, all’interno del quale scoprire suoni e interagire con il corpo dell’altro.
Appoggiato in modo sacrale alla cima di una struttura alla quale solo un numero limitato di spettatori ha avuto accesso, volta per volta, ai vari programmi preparati nell’arco del weekend, il CineChamber non ha deluso le mie personalissime attese per questo ambiente audiovisivo completamente immersivo che avevo imparato a conoscere al tempo della sua presenza in quel di San Diego (andarsi a tal proposito a rileggere l’intervista scritta da Domenico Sciajno su questo vecchio numero di Digimag20 del Dicembre 2006/Gennaio 2007: http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=665 ) e che al contempo avevo avuto la sfortuna di perdere lo scorso anno a Club Transmediale.
CineChamber è un sistema audiovisivo per screening e performance che tiene sicuramente fede al suo nome: una camera costruita come uno spazio elastico e immersivo di 8 x 12 metri fatto di 10 schermi disposti a 360° (due lati lunghi da tre schermi, due lati più corti da due), arricchito dalla presenza di 8 punti di emissione sonora ai vertici della camera stessa a formare un cosiddetto 8.8.2 multi channel sound system, in cui il pubblico è invitato a entrare e a sedersi per godere dei programmi e dei concerti appositamente prodotti per il sistema stesso.
In questa edizione 2011 del CynetArt Festival, CineChamberr ha presentato programmi che includevano, tra gli altri, ri-adattamenti di lavori di Ryoichi Kurokawa, Semiconductor, Herman Kolgen, Edwin van der Heide, Signal (Cartsen Nicolai, Frank Bretschneider, Olaf Bender), Robert Henke & Tarik Barri, Scott Arford, Fennesz & Lillevan, Biosphere & Egbert Mittelstädt, Jochem Paap & Scott Pagano e 2 performance site specific: quella solo audio di Andrey Kiritchenko & v4w.enko (Eugen Vashchenko) e quella “laboratoriale” di 120 minuti di Ulf Langheinrich.
Difficile descrive l’impatto emotivo e percettivo del sistema audiovisivo nel suo pieno funzionamento, che sicuramente richiede un esperienza diretta per poter essere compreso ed apprezzato a pieno. Se infatti, da un lato, la tensione estetizzante di Ryoichi Kurokawa, ormai il suo marchio di fabbrica da alcuni anni, le sue immagini pittoriche nonchè i suoi suoni glitch ben si sposano con la struttura immersiva del Recombinant Media Lab, il riadattamento di Inject di Herman Kolgen non sembra sposarsi particolarmente bene con la struttura multimedimensionale che richiede all’artista un lavoro (di re-editing di una sua opera già esistente o di creazione site-specific) di spazializzazione del flusso audiovisivo, che in questo caso non è stato fatto preferendo la soluzione della ripetizione del segnale su più canali (schermi e speaker).
Bellissimo il lavoro site-specific di Edwin Van Der Heide, che lavora sulla consueta tensione verso una visualizzazione semplice ed efficace delle soundwaves create nelle sue opere (e che in questo caso sfrutta benissimo la circolarità dell’impianto e la sua possibilità di lavorare con gradienti di colore da poter far muovere e oscillare gradualmente nello spazio) e molto efficace anche il riaddattamento multischermo e multicanale di Brilliant Noise dei Semiconductor, arricchito da materiale inedito sicuramente interessante.
Il rischio di utilizzare la CineChamber come un grosso giocattolone c’è sempre, come testimoniano alcuni programmi in screening che non sembrano andare oltre la più semplice filosofia del graphic animation; ma quando questo giocattolone si trasforma in un potenziale dancefloor immersivo, come nel caso del riadattamento del live set di Signal (Cartsen Nicolai, Frank Bretschneider, Olaf Bender), allora se ne comprende a pieno la reale dinamicità (come sala cinematografica immersiva ed esperienziale, come sistema per l’elaborazione audiovisiva da club) nel poter offrire esperienze diverse e soddisfare pubblici differenti.
In una parte adiacente del salone centrale, la nottata del sabato è stata inoltre testimone dell’Automatique Clubbing, progetto di dancefloor interattivo sviluppato sulla base di uno strumento software (realizzato in vvvv) per la creazione di ambienti reattivi alla presenza di corpi umani denominato CHET – Collective Hedonistic Environments Toolkit e sviluppato da Intolight, agenzia creativa vincitrice della commissione dell’ECAS Network per il 2011 (che con i suoi 24.000 Euro è una delle più ricche al momento nel panorama europeo e mondiale).
Precedentemente, 16 al 20 Novembre il CynetArt re:::vision Symposium ha affrontato i temi della percezione corporea nell’educazione, nella terapia e negli ambienti virtuali, mentre ancor prima dal 31 Ottobre al 4 Novembre, Marc Sauter e il Team MotionComposer presso la Bauhaus University di Weimar, avevano presentato al CynetArt Festival il MotionComposer Workshop: un laboratorio di “Inclusive Motion Tracking” per consentire alle persone disabili (e non) di creare musica tramite il proprio corpo (http://www.motioncomposer.com/).
Il Network ECAS sta evolvendo ancora oggi: da circuiti di festival Europei, si sta allargando per includere rassegne di musica elettronica ed audiovisivi di tutto il mondo, dal Nord America (Mutek di Montreal) al Sud America (SOCO di Montevideo e Mutek di Santiago del Cile) fino all’Australia per piantare le radici di un futuro network mondiale di festival denominato ICAS (International Cities of Advanced Sound). Good Luck