Una caramella senza gusto, una fiction senza immagini, la registrazione di un assolo di chitarra senza chitarra, lo schermo di un cinema che si spegne appena lo si guarda. Le opere di Loris Gréaud sono un affascinante viaggio a tappe in un mondo di percezioni capovolte, dove si può sentire un colore, vedere un suono, realizzare uno spartito come un’architettura.
Questo poliedrico e prolificissimo artista utilizza ogni tipo di media con una agevolezza affascinante, riuscendo a mantenere al contempo una traiettoria estetica sempre lineare e coerente. Il suo progetto “polimediale” Cellar Door, una fiction che vede come protagonista il suo stesso studio comprendente una serie di performance, installazioni, un concerto e un libretto, é stato presentato al Palais de Tokio nel 2008 e da allora le sue produzioni hanno imboccato strade sempre più incredibili e complesse.
Nel 2004 Loris fonda lo studio di ricerca DGZ (Dölger, Greaud, Ziakovic), una partnership con un architetto e un designer che ha come scopo dichiarato di “cancellare i confini tra discipline”. Ed é proprio questa interdisciplinarietà che nasce da un innato interesse a superare confini esterni ed interni, a dare lo sfogo ad un’estetica personale che trae inspirazione dal mondo scientifico. Ad esempio uno degli ultimi progetti di DGZ presentato al Frieze Art Fair nel 2006 Why is a Raven Like a Writing Desk? (“Perche’ un corvo e’ come una scrivania?” citando un famoso passaggio da Alice nel Pease delle Meraviglie) é una vera e propria nano-scultura prodotta con l’aiuto del CNRS ( Centro Nazionale di Ricerca Scientifica Francese), una sorta di micro-museo nello stand di Frieze Art Fair che utilizzava lo stesso aspetto commerciale della fiera per vendere forme invisibile all’occhio nudo.
Proprio in questi giorni stavo leggendo le conversazioni di Sharon Weshler con Robert Irwin (“Seeing is Forgetting the Name of the Thing One Sees”), nel quale Irwin parla delle differenze tra arte e scienza: gli scienziati tendono ad operare attraverso un processo logico nel mondo materiale, mentre “l’artista ha a che fare con la complessità totale della quale tutti i sotto-sistemi logici sono solo dei segmenti, e lavora su essi col lato intuitivo del suo potenziale umano, dove le inconsistenze sono altrettanto significative quanto le consistenze” . Poco dopo Irwin, sottolineando le similitudini tra i due, usa il termine indagine, che definisce come “Il progetto aperto dell’appassionato curioso”. Ed é proprio la forza e coerenza di tale indagine a risaltare in ogni opera di Gréaud, un’indagine che lui stesso definisce come vera ossessione e della quale urgenza si fa carico con tutta l’incisività della sua estetica.
Mattia Casalegno: Con il tuo background in composizione musicale di occupi da sempre all’idea di sinestesia e interazione tra linguaggi visivi e sonori. Ciò che mi colpisce di più della tua personale visione di sinestesia é il tuo approccio per sottrazione, un metodo sostanzialmente opposto a quello comune. Penso ad esempio al tuoi progetto Silence Goes More Quickly When Played Backwards (“Il silenzio e’ più veloce quando suonato al contrario” ) e quello con Lee Ranaldo esposto a Miami Basel nel 2008. Qual’é la genesi di questi progetti?
Loris Gréaud: Penso che quest’idea di lavorare per sottrazione sia in qualche modo legata all’aspetto concettuale dei miei lavori e dalla necessità di rispondere a certe ossessioni. Ho una formazione in cinema sperimentale e iniziai a produrre film dopo alcune esperienze in musica sperimentale e sound design. Già allora, in post-produzione e montaggio ero capace di mettere insieme idee e visioni di sinergie e interazioni tra immagini e suono o tra suono e immagini.
Al tempo produssi due progetti, Darkside e Outdated Film ( “Il Film Scaduto”): il primo é una installazione che comprende una sala da proiezioni con uno schermo da cinema con un’estetica da 2001 Odissea nello Spazio che mi venne in mente pensando all’idea di “forma intelligente”. Nella sala vi era proiettata una fiction che avevo scritto e realizzato in 16 mm e, entrando dalla parte posteriore della sala, si poteva sentire la colonna sonora e vedere il contorno di luce intorno allo schermo che proveniva dalla sala. Però se ci si avvicinava allo schermo per vedere il film lo schermo andava in nero, in maniera tale che era impossibile vedere effettivamente il film se non solo nella proiezione mentale che lo spettatore produce in sé. Non mi interessava tanto la frustrazione che ne derivava, ma piuttosto l’idea di come produrre il “più bel film”, che in effetti é quello che ci si proietta nella propria mente.
Outdated Film fu un altro esperimento: comprai un sacco di pellicole 16mm scadute e dopo un paio di test mi accertai che le pellicole fossero in effetti incapaci di produrre alcun immagine riconoscibile.
Misi sù un intera crew, feci un casting nel sud della Francia, trovai un talentuoso operatore, direttore della fotografia e un produttore per realizzare una fiction di 25 minuti. Durante le tre settimane in cui girammo non dissi a nessuno che la pellicola in effetti non avrebbe prodotto nessuna immagine e che il vero progetto era il realizzare una fiction il meglio che potevamo in un modo che sotto un livello completamente astratto non ci fosse nessuna storia e che le immagini astratte contenessero la fiction in sé.
Puoi immaginare le reazioni della crew quando sviluppai la pellicola e dovetti confessare a tutti il progetto! Alla fine rimase solo una persona con me ma almeno il film é bellissimo, e ancora oggisono affascinato da quest’idea di una storia nascosta nella materia della pellicola, come se fosse incastrata per sempre nel livello astratto.
Un altro progetto che in qualche modo pone le stesse domande é la mia collaborazione con Lee Ranaldo. Chiesi a Lee di venire a Parigi per una sessione di registrazione nella famosa stanza anecoica dell’ IRCAM immortalizzata da John Cage, dove registrammo prima la colonna sonora del film One Thousand Ways to Enter, la quale versione finale e’ ancora in produzione.
In quei giorni Lee non portò con se nessuna chitarra, e in seguito gli chiesi solo di pensare profondamente all’assolo più bello che potesse immaginare. Lo registrammo con dei microfoni ad alta definizione mentre pensava quest’assolo, in un silenzio totale pieno di pazzi riff mentali.
Mattia Casalegno: Qual’e la tua idea personale di sinestesia? Come credi sia cambiata con l’avvento del digitale?
Loris Gréaud: Mi affascina il concetto di sinestesia sotto un aspetto neurologico, specialmente in relazione al fenomeno del “grafema-colore”: persone che percepiscono lettere, parole, e numeri come colori. Se vediamo i lavori di grandi artisti che avevano questo tipo di sinestesia possiamo subito trasformare cose attraverso condizioni neurologiche; immagina Kandinsky, Nabakov, Tesla e Rimbeau crittografati sarebbe interessante ricodificare alcuni dipinti, scritti, e invenzioni in colori o viceversa…
Mattia Casalegno: Sei stato espulso dal Conservatorio di Musica parigino per aver messo su uno studio di registrazione per “fermare la musica”. Qual’era il tuo intento?
Loris Gréaud: L’idea mi venne in seguito allo choc culturale ed estetico che ebbi quando scoprii i primi lavori e il pensiero di Stockhausen e poi l’intera opera di John Cage (alcune sue idee mi rimarranno per sempre dentro e sono diventate un modello per molte delle mie produzioni, come delle note non suonate, in relazione al fatto che bisogna sentire anche le note non suonate in una partitura, ed essere sempre consapevoli di un spazio mancante tra due opere… essendo le cose non dette forse più importanti di quelle dette o urlate), una sorta di combinazione culturale simile ad una Diet Coke e Mentos (/www.youtube.com/watch?v=9vk4_2xboOE) o alla speedball. Al tempo ebbi quest’idea di mettere su uno studio per “disimparare”: ci vuole un sacco di lavoro per disimparare, ma é una strada importante da percorrere, compiere una grande ellisse e rendersi conto che non si può fermare qualcuno che non sa dove sta andando, per arrivare infine in questo luogo dove si é completamente persi… é come una superstrada alla Ballard che di colpo ti si apre davanti.
Mattia Casalegno: Hai avuto il grande onore, ma anche l’onere, di una personale al Palais de Tokio di Parigi, così presto nella tua carriera. Mi chiedevo come hai fatto ad ottenere un tale spazio, ma soprattutto come ti sei approcciato all’intero progetto e come hai potuto trovare un equilibrio tra le singolarità dei tuoi lavori e una narrativa totale?
Loris Gréaud: In effetti ebbi la prima importante personale nel 2005 a Le Plateau a Parigi, curata da Caroline Bourgeois: “Silence goes more quickly when played backwards” (“Il Silenzio é più veloce se suonato al contrario”). In essa già c’erano molti elementi che sono diventati ora totali ossessioni per me.
Riguardo al Palais de Tokio e al progetto Cellar Door che iniziai nel 2006, penso che siano state l’ambizione e la grandezza stesse del progetto ad esigere un tale spazio, non il contrario. Quando giochi con i codici e formati della Gesamkunstwerke – “opera d’arte totale”, hai bisogno di essere il meno complesso possibile, ciò non ha niente a vedere con l’ego o con l’essere megalomani. Lo storico francese Pascal Rousseau ha ragione quando descrive Cellar Door come un “Wagnerismo concettuale”, e dietro non c’é nessuna strategia o particolare tipo di economia.
L’opera d’arte totale in genere é letta come un suicidio artistico; e in effetti va vista proprio cosi, come una combustione totale. Il progetto e’ stato in seguito portato avanti all’ICA a Londra, al Kunsthalle Sankt Gallen e al Conservera Museum della Murcia in Spagna. Stiamo lavorando ora alla parte finale del ciclo e ad un importante libro che sarà l’unico oggetto a dare davvero un’idea dell’intensità e dello portata estetica del progetto.
Per rispondere alla tua domanda, non sono troppo interessato a costruire una carriera, né a cercare strategie di lunga durata. Sono in constante combustione, senza economie, e sono sicuro che questo metodo e il tipo di scelte mi porterà ad azioni ancora più potenti.
Mattia Casalegno: Edgar Allan Poe, C.S. Lewis, Tolkien, in un modo o nell’altro hanno avuto a che fare con la parola Cellar Door, che é considerata la più bella parola della lingua inglese in termini di fono-estetica, senza riguardo per la semantica. L’aspetto più intrigante secondo me é che nessuno sa da dove viene questo riconoscimento. Cellar Door é anche il titolo di un libretto con uno spartito che accompagna la mostra al Palais de Tokio. Perché hai scelto questo nome e perché la forma dello spartito?
Loris Gréaud: Il titolo del progetto riverbera con l’idea iniziale, il mito intorno a Cellar Door. Molti linguisti hanno constatato che e’ la combinazione di parole più bella, soprattutto se la si astrae dal significato e ci si concentra sulla sonorità. E poi non si può non vedere come Cellar Door porti con se tutta una serie di immagini mentali e folclore associato a se… crea quasi automaticamente un punto di partenza per una narrazione. L’asserzione principale di tutto il progetto é l’essere capaci di creare una serie di strane equivalenze, una sorta di riflessione orizzontale, innescare una specie di “fascia di Moebius”, una modo per rispondere ad una serie di domande e ossessioni che mi sono rimaste irrisolte fino ad ora.
Come può ad esempio una serie di mostre produrre una sufficiente forma nel mondo affinché possa cambiare la percezione e comportamento verso di esso? Sembra che se usiamo una mostra come punto di partenza per far scontrare varie realtà, usando la durata e l’energia di un progetto per cristallizzare ogni sorta di possibilità effettive e produrre, ad esempio, il palazzo del mio studio dove possa lavorare, sperimentare e vivere, allora ciò cambierà automaticamente le mie abitudini, le mie percezioni e attività.
Ma come possiamo allo stesso tempo progettare e costruire una tale architettura senza lasciarla congelare ed immobilizzare come una lapide? Se fossimo capaci di costruire un modello architettonico e progettare uno spartito che non siano una diretta risposta uno con l’altro ma piuttosto in uno stato di reale equilibrio, una sorta di originale che diventa quasi ridondante, allora l’architettura diverrebbe lo spartito stesso e viceversa. Se riuscissimo ad azzerare il più possibile i confini tra architetti e compositori si aprirebbero tutta una serie di incredibili potenzialità di disintegrazione, e un palazzo potrebbe essere suonato all’infinito, reinterpretato all’infinito.
Lo spartito é anche un formato che si presta a nuove letture e interpretazioni, e tali concatenamenti possono portare ad immagini efficaci e magnifiche. Se ascolti il CD di Cellar Door in macchina o sul tuo portatile, ciò che stai ascoltando in verità é lo studio stesso, é lo studio che sta entrando nel tuo spazio. Quest’idea ci ha portato a voler sviluppare un’opera che ci permetta di inserire un livello di finzione, dove lo scritto sarebbe l’unica porta d’accesso all’opera e diverrebbe quasi una didascalia, in maniera tale che si possa solo accedere l’opera attraverso parti del libretto. In questo modo si dà anche ampio spazio a polifonie, dove le persone possano parlare e discutere allo stesso tempo, riproducendo il processo stesso del progetto, per avere in seguito il punto di vista di una fiction da inserire nella realtà, diventando produttiva e pronta ad infiltrare il reale.
Ho poi applicato lo stesso processo alle varie parti della mostra, rappresentando i singoli caratteri della fiction. Essi provano a rispondere a tutte queste idee e ossessioni dello studio; é una dedizione totale totale senza alcun risultato né centro, un progetto di equivalenze progettato con linee e traiettorie, lo spartito é il palazzo, il palazzo é la mostra e cosi via…
Mattia Casalegno: Con gli architetti e designer Dolger e Ziakovic nel 2004 hai creato DGZ Research, uno studio multidisciplinare per la realizzazione di “progetti utopici”. Perché hai sentito l’esigenza di fondare uno tuo proprio studio di ricerca? Ci puoi dare qualche informazione in più sulle sue attività?
Loris Gréaud: DGZ (Dölger, Greaud, Ziakovic) fu creato sostanzialmente per rendere dinamica l’idea Foucaultiana di eterotopia. Decidemmo di fondare lo studio dopo una proficua serie di discussioni e collaborazioni, che furono rese possibili solo grazie allo spazio indefinito tra un architetto, un designer e un artista provenienti da background ed esperienze cosi diverse. Il lavoro principale di DGZ é incentrato sul cancellare confini. In genere iniziamo da un’immagine o idea precisa e dedichiamo tutto il tempo e le energie che ci vogliono affinché si possa realizzare con il minimo compromesso possibile in termini di estetica, forma e contenuto.
Alcuni progetti sono stati portati avanti per più di 7 anni. Non importa il tempo che ci vuole. Fino ad ora, i lavori che abbiamo prodotto sono The Residents (“Gli Inquilini”), una riproduzione di un reale appartamento parigino fatto solo di soffi d’aria e vento, una architettura d’aria. E la caramella Celador, pensata come teaser del progetto Cellar Door, una vera progettazione e commercializzazione di una caramella con assolutamente nessun sapore né gusto, cosi chi la mangia ci può proiettare il proprio sapore personale.
http://www.deezer.com/fr/#music/loris-greaud-thomas-roussel/cellar-door-69451