Chris O’Shea è uno di più conosciuti interaction e graphic designer a livello internationale, di base a Londra, il cui lavoro si focalizza innnanzitutto sui possibili meccanisimi di interazione tra uomo e macchina, nonchè sull’ideazione di contesti artistici che, spesso attraverso la dimensione del gioco e dell’ironia, mettono in discussione le nostre percezioni sensoriali e le comuni esperienze del mondo esterno.

Oltre a perseguire la sua carriera di artista, Chris O ‘Shea è stato anche curatore della mostra Cybersonica nel 2006 ed è il fondatore e creatore del progetto Pixelsumo, blog dedicato alla cultura digitale, alla grafica generativa, alle installazioni e all’arte interattiva. Da molti anni, uno dei punti di riferimenti nel settore sul Web nonchè uno degli osservatori privilegati sulla creatività artistica e progettuale mediante l’uso di tecnologie software e hardware interattive.

Fra i suoi lavori più importanti non possiamo dimenticare Beacon (2009) un’installazione luminosa cinetica e interattiva che O’Shea ha creato insieme al Cinimod Studio. Beacon utilizza una griglia di luci di emergenza che si illuminano in relazione al movimento degli spettatori che camminano all’interno dello spazio creato. Questo progetto utilizza delle luci industriali standard appositamente modificate per essere controllate in maniera indipendente. Le luci utilizzano input provenienti da diverse videocamere termali che sono state adattate alla registrazione del movimento delle persone nello spazio. Vediamo come già emerga il fattore interattivo come nucleo centrale dell’opera, inteso come coinvolgimento dinamico e ludico dell’audience all’interno dello spazio artistico stesso. Vengono inoltre utilizzate tecnologie standard di uso industriale, messe pero’ in relazione al comportamento umano e al suo dinamismo, in una dimensione ludica e di coinvolgimento attivo.

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O’Shea è stato inoltre co-fondatore, questa volta insieme a J. Gethin Lewis e A.Muller, di un altro progetto nel 2007, This Happened lanciato a Londra e attualmente ancora attivo insieme ad un proprio sito web dedicato http://www.thishappened.org/. Questo progetto raccoglie una serie di eventi intorno a tutto cio’ che accade “dietro le quinte” del design. L’interaction design è l’ambito su cui si concentra This Happened, per cercare di aprire e varcare i confini di un mondo, quello delle imprese e delle società di design, a volte troppo chiuso verso l’esterno. Quello che si tenta di fare attraverso eventi animati da presentazioni, dibattiti e discussioni è esplorare il background di un prodotto e il suo processo creativo.


“Avere idee è più facile che realizzarle”, scrivono gli autori sul sito. L’esplorazione del concetto che sta alla base di un prodotto e del suo processo di produzione rappresenta un contributo essenziale per la futura concezione di nuovi oggetti. Per questo diventa importante approfondire metodi e idee produttive. Questa l’idea alla base di “This Happened” che ancora una volta vede la partecipazione di ogni persona che voglia contribuire ad uno degli eventi nei diversi paesi del mondo, seguendo l’impostazione 2.0 di un blog. Tutti possono partecipare, dagli operatori del settore agli studenti.
In questo caso l’interazione diventa coinvolgimento vero e proprio.

Ritornando invece alle opere più artistiche e alle installazioni, altri progetti di Chris O’Shea sono stati Cybrid Landscape (2004) in cui si crea un paesaggio tridimensionale a partire da uno spazio fisico attraverso l’interazione e Out of Bonds (2007).


La sua performance più recente ha avuto luogo a Bruxelles, all’interno del Media Facade Festival Europe 2010. E’ stata presentata infatti
Hands from Above, opera interattiva e ludica, presentata per mezzo di uno urban screen, uno schermo cioè posto all’interno di uno spazio pubblico cittadino. Durante la performance, i passanti si sono visti proiettati sullo schermo e su di esso afferrati, schiacciati e spostati in tempo reale da una grande mano rossa. Le “manipolazioni ludiche” a loro volta influenzate dallo spostamento fisico delle persone e dalle condizioni meteorologiche esterne. I passanti sono stati così giocosamente disturbati durante le loro attività quotidiane e posti in una dimensione artistica, presente all’interno della loro stessa quotidianità.

E proprio di questo suo ultimo progetto abbiamo parlato con Chris O’Shea, incontrandolo a Bruxxel in occasione della grande rassegna urbana itinerante per varie città Europee dal 27 Agosto scorso fino al prossimo 3 Ottobre.


Silvia Bertolotti:
Ci puoi parlare della realizzazione tecnica di Hand From Above, e di come l’hai sviluppata a partire dal concept iniziale?


Chris O’Shea: Una volta commissionato il progetto, ho dovuto pensare a come il software avrebbe potuto lavorare. L’ho programmato in C++, utilizzando un toolkit open source che sicuramente conosci che è openFrameworks. Per processare le immagini ho invece utilizzato una delle sue library, cioè openCV. Avendo usato spesso videocamere per i miei lavori, ho anche creato un set di code libraries per diverse funzioni. Il primo test del software era solamente un video feed, un’immagine statica della mano che io potevo muovere e posizionare con il mouse. Era interessante vedere come le persone reagivano ad essa, mentre ovviamente si divertivano a guardarsi sullo schermo.
Il primo vero test dell’opera davanti ad un pubblico è stato il giorno prima del lancio, perché i tempi sono stati strettissimi.


Silvia Bertolotti: Da dove é nata l’idea ispiratrice per quest’opera? Qual è il tema principale, oltre a quello di mettere in discussione la nostra (scontata) routine quotidiana?


Chris O’Shea: Innanzitutto volevo che le persone si sentissero piccole, in particolare davanti a questo altro essere che poteva prenderli o schiacciarli. Il fatto di interrompere la routine quotidiana era dovuto semplicemente alla posizione degli schermi all’interno di spazi pubblici, il che portava la gente a fermarsi e a guardare qualcosa di nuovo mentre si recava nei vari negozi.

Silvia Bertolotti: Hand from Above é stata presentata in molte città nel mondo fra cui Tokyo, Londra, la Corea in occasione dell’INDAF Festival e da ultima Bruxelles, per il Media Facade Festival. Qual’é stato, a tuo parere, il luogo più ricco di interesse? Potresti descrivere diversi tipi di reazione da parte degli spettatori nei vari luoghi in cui il progetto è stato esposto?

Chris O’Shea: In realtà non ho una città o un luogo preferito. Ogni performance ha un contesto particolare in cui svolgersi, dal centro commerciale al festival artistico. La gente ha nel complesso reagito nella stessa maniera in ogni luogo, come se non ci fossero barriere culturali.

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Silvia Bertolotti: In generale in tutto il tuo lavoro, ma forse ancora di più in quest’ultima opera, il focus è l’interazione. Ad oggi, dopo un certo numero di anni di lavori e progetti da parte di molti designer in tutto il mondo, secondo te, quale è il ruolo della tecnologia nell’ambito dell’arte interattiva? Credi in una sorta di “digital art 2.0”?


Chris O’Shea: Nelle mie opere la tecnologia non ha troppa importanza e non é il nucleo del mio lavoro. Tuttavia è ovvio che la tecnologia venga utilizzata, pur se nascosta e spesso non spiegata al pubblico. Il focus per me é l’aspetto umano, il modo in cui la gente reagisce e si comporta.  In questo momento quindi non ho alcuna opinione riguardo al futuro dell’arte digitale, poiché ogni artista ha la propria attività e i propri obiettivi. Molte tecnologie e trend vanno e vengono e spesso si ripetono. La combinazione dell’elemento “gioco” e del “movimento”, inizialmente introdotta con la Wii e in seguito sviluppata da Microsoft Kinect & Sony Move, fa sì in un certo senso che lo stesso principio delle installazioni artistiche sia riprodotto e sia disponibile, in forma di gioco, nelle case.


Silvia Bertolotti: L’enfasi in alcune tue opera é posta infatti anche sul gioco. Qual’è la sua dimensione artistica?

Chris O’Shea: Il gioco é importante, per tutte le età, poiché rappresenta la modalità attraverso cui impariamo come il mondo circostante funziona. Come l’arte, può anche indurci a riflettere in maniera diversa su noi stessi. Nei miei lavori spero di trarre le persone fuori dalla loro quotidianità e di riempirle di gioia e meraviglia. Cerco di stimolarne la curiosità, permettendo alla gente di fare, credere, esplorare e scoprire la propria immaginazione. E soprattutto, sorridere.


Silvia Bertolotti: Tornando a Hand from above, perché hai deciso di lavorare con un performance all’interno di spazi urbani?

Chris O’Shea: Quello che mi piace degli spazi pubblici é il fatto che si possa raggiungere un’audience che probabilmente non entrerebbe mai in una galleria o in un museo. Lo spazio pubblico rende l’arte più accessibile.

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Silvia Bertolotti: Quali sono al momento i tuoi piani per il futuro? Stai lavorando attualmente a qualche progetto in particolare?

Chris O’Shea: Sì, ma di solito non dico nulla finché il lavoro non é terminato! Potete comunque visitare il mio sito web e Twitter @chrisoshea per vedere quando nuovi progetti sono annunciati.

http://www.chrisoshea.org/