Nato in Argentina di padre Norvegese, oggi l’artista Leonardo Solaas vive a Buenos Aires e tra i suoi lavori troviamo progetti a livello commerciale e personale che esplorano sistemi complessi tramite l’utilizzo dell’informatica, dell’interattività e dei processi generativi. Solaas lavora prevalentemente come programmatore e designer web, ma è la sua attività creativa e artistica mediante l’utilizzo di Processing che lo rende conosciuto e riespettato in quei territori di confine sempre più sottili e indefiniti tra arte e design generativo.
Migrations, ad esempio, consiste in una selezione di frammenti testuali del Don Chisciotte che si combinano con le notizie del giorno della BBC andando a creare un disegno generativo in costante evoluzione. E ancora, Dreamlines è un generatore di sogni automatizzato che utilizza ogni possibile soggetto fornito dall’utente per creare tavole grafiche bellissime totalmente imprevedibili e in costante mutazione, mentre Void è una classica applicazione generativa che mette in evidenza sullo schermo le scie lasciate da una serie di particelle che si muovono nello spazio interattivamente con il movimento del mouse dell’utente, con lo scopo di riempire gli spazi vuoti dello schermo stesso.
La predisposizione di Solaas verso quei concetti chiave dell’arte generativa (randomness, ripetitività, serialità, classificazione, forma, tassonomia), non si esprime solo in termini di pura estetica grafica ma anche di ricerca verso le potenzialità estetiche dei materiali, come ampiamente dimostrato dal lavoro Cabinet in cui su una griglia 16 x 16 vengono riportate 256 forme di poliuterano espanso, ciascuna delle dimensioni di 8 x 8 cm, deformate in modo random dall’azione del calore: l’ordine e la classificazione delle forme è fatta sulla base di una eventuale similarità formale allo scopo di individuare una sorta di ordine all’interno del caos e dell’imprevedibilità delle forme organiche.
Gli ultimi due progetti di Leonardo Solaas, suggeriscono invece un’ulteriore evoluzione della sua ricerca, aprendo nuovi scenari e nuove possibilità alle applicazioni generative. Wish Cafe è, ad esempio, un social network interattivo che si basa sulla condivisione di desideri da parte dei membri; un network aperto a tutti, dove chiunque può inserire i propri desideri e contribuire a modificarlo.
Mentre Bola de Nieve è un database e una mostra online che raccoglie i lavori di alcuni interessanti artisti Argentini, messi in relazione tra loro sulla base delle preferenze e dei suggerimenti degli artisti stessi: queste relazioni sono quindi evidenziate su base grafica mediante un’applicazione customizzata di Drupal.
Quando si utilizza Force Knot ad esempio, si ha quasi la sensazione di condurre un esperimento di fisica in cui si cerca di afferrare delle regole invisibili (l’equivalente delle leggi della natura) mediante l’osservazione del comportamento delle particelle visibili. Era questo il suo intento?Jeremy Levine: Stando al fisico Richard Feynman, la fisica è un po’ come un alieno che osserva due umani che giocano a scacchi. L’alieno vede che le pedine vengono mosse secondo un determinato sistema di regole ma non riuscirà mai a carpirne l’esatta natura. E di tanto in tanto salta fuori una regola nuova, come l’arrocco, che va a sconvolgere quanto l’alieno ha capito fino a quel punto.
Leonardo Solaas: I sistemi generativi hanno sempre due aspetti: da un lato ci sono le regole, dall’altro le conseguenze visibili, o udibili, delle dinamiche che tali regole mettono in atto. Oserei dire che i risultati tangibili sono in qualche maniera “racchiusi” nelle regole astratte, regole che però sono altrettanto implicite in ciò che vediamo. Non sono di per sé evidenti, ma vengono in qualche modo rivelate.
Sotto questo punto di vista l’analogia da Lei avanzata è alquanto pertinente: il mondo stesso appare ai nostri sensi come un tutt’uno che non mostra un ordine evidente, ma che non è nemmeno totalmente caotico.
Questo genere di sistemi, che fanno parte di quell’area a volte chiamata “i confini del caos”, sono un invito a nozze per noi esseri umani dal bisogno compulsivo di trovare un ordine a tutto e, perché no, di inventarcelo nel caso non lo trovassimo. La scienza moderna è un insieme di metodi e consuetudini nate da quel nostro istinto primordiale di cogliere le regole del mondo in cui viviamo.Detto questo, in un sistema generativo è l’autore a dettare le regole. Il codice binario è una sorta d’interfaccia o di macchina che traduce queste entità astratte in azioni, così da produrre dei risultati tangibili.
Si potrebbe pensare al sistema generativo come a un mondo in miniatura, in genere semplice, ma intrigante quel tanto che basta per impegnare l’utente in un’esplorazione che non è poi così diversa dal lavoro svolto in laboratorio da uno scienziato. Come funziona? Cosa succede se faccio questo e quest’altro? Ogni sistema è un punto di domanda, un enigma, una sfida.
Oltre a questo, l’arte generativa prende in prestito dalla ricerca scientifica alcuni dei suoi metodi: procede in modo empirico (più o meno sistematicamente), le conoscenze vengono condivise con l’intera comunità artistica fino a diventarne patrimonio, e ricorre costantemente agli strumenti di programmazione e matematici del mestiere. E questo diventa il paradiso per tipi ibridi come me, apparentemente incapaci di decidere quale tra i loro due emisferi cerebrali preferiscono.
Jeremy Levine: Sulla tua pagina web hai scritto: “Ho una teoria sull’unità della mia persona. E ve la svelerò, se non vi spiace. Credo che in mezzo a tutta questa schizofrenia di cose che ho amato e con cui ho lavorato per tutta la mia vita ci sia un filo conduttore a legare il tutto (un’illusione alquanto banale, no?).
Mi sa che quell’enigmatico punto invisibile si trova appena al di là dell’orizzonte visivo, ma ha pur sempre qualcosa a che vedere con sistemi a regole, mondi autonomi, universi in miniatura, o robe del genere, come nel caso dei giochi pressoché inutili a cui assistiamo affascinati mentre dispiegano in maniera fatale la loro logica interna”.Sono affascinato da quest’ultima frase sul fatale dispiegamento della loro logica interna.
Suona quasi deterministica, se non fosse che in alcuni suoi lavori (ad esempio Biots e Void) l’osservatore è parte attiva e funge da elemento d’incertezza all’interno del sistema. Ciò che mi chiedo è: secondo Lei, nelle sue opere, quanto gioca l’incertezza e quanto la casualità?
Leonardo Solaas: C’è un saggio sull’arte generativa di Philip Galanter, Complexity Theory as a context for Art Theory, che propone una classificazione dei sistemi generativi a seconda del loro grado di complessità, da quello più ordinato a quello completamente casuale. Credo che a volte i sistemi altamente ordinati, come le strutture cristalline o gli schemi regolari, siano affascinanti.
Una regola tanto semplice come la ripetizione è in grado di affascinarci grazie alle pure e semplici iterazioni oppure attraverso i ritmi e gli echi prodotti.Tuttavia, è più probabile che la nostra attenzione venga catturata da sistemi non altrettanto semplici, a volte persino imprevedibili, casuali o disordinati: sistemi che, come ho detto pocanzi, si trovano ai confini del caos. Le regole che li governano non sono evidenti, bensì misteriose, seminascoste: insomma, bisogna andarsele a cercare.
L’elemento della casualità può dipendere da diversi fattori. A volte non è altro che lo spiegamento di formule matematiche non lineari, come nel caso dei frattali. Spesso la fonte di sorpresa è il generatore pseudo casuale che ogni computer mette a nostra disposizione. In altri casi il sistema verrà aperto ed utilizzerà delle banche dati esterne le quali immetteranno un input sconosciuto che verrà poi elaborato seguendo le regole di sistema.
È questo il caso della visualizzazione dei dati in generale e di alcune applicazioni generative come il mio Dreamlines. Infine, può essere l’utente a fornire l’input dall’esterno. Ecco perché preferisco pensare che i sistemi interattivi non siano un mondo a parte, ma un’opzione tra tante che introduce un elemento di imprevedibilità in un sistema altrimenti deterministico.
In ogni caso le regole del sistema non cambiano. Non ci troviamo mai di fronte ad una casualità tout-court: non può accadere di tutto. Spesso, durante i miei esperimenti, ottengo risultati del tutto inattesi e persino inimmaginabili, ma ciò non toglie che siano un prodotto delle regole del sistema. È a questo che mi riferisco nella frase che hai citato: a giochi che, per quanto soggetti all’interazione con l’ambiente esterno, rimangono autonomi nel vero senso della parola, ovvero governati da regole proprie.
Leonardo Solaas: Citerò nuovamente l’articolo di Galanter. Egli afferma che l’arte generativa è una tecnica artistica, non uno stile. Sono perfettamente d’accordo. È un termine che si avvicina di più a “pittura a olio” o “collage” più che a “impressionismo” o “surrealismo”. Con il collage si possono fare una miriade di cose e seguire percorsi artistici differenti. Ma la stessa tecnica possiede un “marchio estetico” sotto cui raggruppa tutte queste opere differenti.Jeremy Levine: Come definiresti le arti generative in quanto mezzo di produzione? Una strategia informatica oppure una categoria estetica a sua volta composta da un’insieme di categorie compositive?
Credo che man mano che l’arte generativa maturerà, le differenze d’intenti e di stile da parte di chi la praticherà diventeranno sempre più evidenti. Finora ci siamo limitati a ‘giocare’ con i soliti programmini, e ad imbatterci nelle stesse possibilità e negli stessi limiti degli strumenti che utilizzavamo in precedenza. Forse era come portarsi dietro una sorta di ripetitività, come percepire un déjà vu ricorrente. Ma le abilità maturano e gli strumenti si moltiplicano, ecco perché mi aspetto di vedere un’eterogeneità sempre crescente negli anni a venire.
Ciò che accomuna tutti i nostri sforzi non sono certo lo stile o i programmi, ma qualcosa di tanto semplice quanto importante: l’utilizzo di sistemi a regole che sono una sorta di area di intermediazione tra il creatore e l’opera finale, un’entità semiautonoma messa in moto e in grado di svilupparsi entro un determinato grado di libertà.
Nulla di più. Non c’è nemmeno bisogno di utilizzare software o apparecchiature digitali di alcun tipo: il sistema può essere interamente fisico. Gli esempi sono molti. Giusto per citare alcuni classici, ricordiamo le macchine da disegno di Jean Tinguely, oppure uno strumento generativo semplicissimo come il “Cubo di condensazione” di Hans Haacke.
Leonardo Solaas: Beh, parlare dei confini dell’arte apre sempre la strada ad una discussione infinita e alla confusione più totale! Personalmente credo che se ci sia qualcosa di buono nell’arte è proprio il fatto che sia un costante punto di domanda.Jeremy Levine: Il fascino dei sistemi visuali complessi è diventato parte integrante dell’estetica tradizionale. Le immagini generative si trovano ovunque, dalle copertine delle riviste alle motion graphic dei video musicali. Questo potrebbe indurre a pensare che l’arte generativa si avvicini più al design che all’arte stessa. È una distinzione rilevante secondo Lei?
Ma se devo pensare nello specifico a cosa ci sia di “artistico” nell’arte generativa preferirei concentrarmi su un genere curioso, molto comune in campo generativo: gli “esperimenti”, quelle esplorazioni tecniche e formali che tutti facciamo e condividiamo e che non sono né arte né design, bensì una pratica influenzata forse più dai paradigmi scientifici e generalmente suscitata dalla pura e semplice curiosità e dal divertimento.
Potremmo considerare più “puri” i sistemi generativi ancora in fase di laboratorio, nel senso che non hanno ancora trovato il loro posto nel mondo in qualità di arte, design, architettura, visualizzazione dati o qualsiasi altra applicazione potrebbero trovare. Ma, prima o poi, questo avviene.
Viviamo nell’epoca dell’ibrido, perciò non mi preoccuperei più di tanto di tracciare dei confini tra le due discipline. Anzi, a dire il vero mi piace esplorarle tutte, e a volte nemmeno ne noto la differenza. Spesso tutto si riduce ad una considerazione pratica: in quale circuito economico o comunicativo prospereranno queste nuove esplorazioni? Da dove proviene la domanda? Il fatto che esistano ancora tali distinzioni nel mondo “reale” non è nient’altro che un residuo di un modello di modernità che sta, a parer mio, scomparendo lentamente.
Jeremy Levine: Missione compiuta.Leonardo Solaas: Le sue sono questioni molto provocanti, che vanno dritte ai punti focali riguardanti questa pratica emergente. È un argomento su cui si potrebbe discutere per ore ed ore, e a me è toccato il difficile compito di dover essere sintetico e chiaro al tempo stesso nel trattare gli argomenti di mio interesse. Spero più o meno di esserci riuscito.