Il 16 febbraio, Curtis Brainard, editorialista per la Columbia Journalism Review, ha pubblicato un importante contributo sul futuro della copertura giornalistica dei temi scientifici. Questo articolo è stato inserito in un numero speciale della CJR che aveva come tema “il giornalismo della scienza”.

“Science Journalism’s Hope and Despair” è il frutto di un anno e mezzo di attività di monitoraggio del mondo dell’informazione e ha visto la luce durante un periodo particolarmente importante per il giornalismo della scienza: è apparso infatti (www.cjr.org/the_observatory/science_journalisms_hope_and_d.php), in concomitanza di due importanti conferenze che si sono svolte a breve distanza di tempo nel mese di febbraio: la prima organizzata dal Woodrow Wilson Center sul tema delle pubblicazioni di nicchia (“niche” publications) che si stanno moltiplicando online e che sembra erodano le tradizionali newsroom; la seconda organizzata dall’American Museum of Natural History sul tema delle norme che si impongono come standard giornalistico nella misurazione del cambiamento climatico.

Il tema di partenza dell’incontro al Woodrow Wilson Center for International Scholars a Washington, è stato l’attuale stato di crisi dello “science journalism”, ovvero del giornalismo che ha per tema gli argomenti scientifici. Un convegno dimidiato come prevedibile tra pessimisti, rappresentati esemplarmente da protagonisti del mondo broadcasting ed ottimisti autori di contenuti web come ad esempio Jan Schaffer, direttore esecutivo di J-Lab (http://www.j-lab.org), successore del Pew Center for Civic Journalism.

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Da una parte uno scenario nostalgico di declino dei mainstream media (newspapers, magazines, and broadcasts.) e dall’altra il florido e multiforme orizzonte di crescita delle  “nicchie” di pubblicazione scientifica, diffuse principalmente attraverso il Web. Come spesso accade in contesti di discussione allargati, gli stimoli più proficui sono giunti da professionisti liminari che hanno vissuto sulla propria pelle entrambre le esperienze e che hanno riportato personalmente il passaggio dal mondo del giornalismo professionale broadcasting a quello delle pubblicazioni online.  Il riferimento d’obbligo è all’ex produttore esecutivo della CNN, Peter Dykstra, dimessosi dopo che il suo intero team è stato licenziato a dicembre e che da quando ha abbandonato il network gestisce tre colonne settimanali del Mother Natur Network, (http://www.mnn.com/), un magazine di news ambientali che aumenta di giorno in giorno il numero dei propri lettori.

E’ stato proprio Dykstra a suggerire una interpretazione del mutamento che stanno subendo il giornalismo della scienza. Innanzitutto i mainstream media soffrirebbero di “factionalism”, un sensazionalismo dei fatti che spinge sempre più le grandi testate a trattare temi complessi come il riscaldamento globale o l’evoluzionismo in termini tuttavia polarizzati e stereotipati. Un secondo fattore da prendere in considerazione secondo Dykstra è che i new media, pur nella personalizzazione a volte estrema dei contenuti, offrono una misurabilità dell’interesse di gran lunga maggiore e molto più capillare delle coperture dei temi scientifici dei mass media, caratterizzati da strumenti di misurazione di audience
imprecisi e costosi.

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Tuttavia emerge un argomento mai risolto collegato alla personalizzazione dei new media ed è quello legato all’attrattività dei siti o delle testate online di nicchia: quale grado di eterogeneità può fornire l’informazione online tanto da attrarre anche un pubblico non particolarmente interessato? Dinamica da non sottovalutare o da non classificare come meramente economica poiché parliamo di temi scientifici che riguardano una buona parte dell’umanità, talvolta inconsapevole di essere la diretta interessata. Forse si rischia sempre di cadere nello sterile confronto tra vecchi e
nuovi media se non si analizzano invece le nuove esperienze di successo di testate online. J-Lab è un esempio di questa categoria: la testata rappresenta infatti una forma inedita di “giornalismo partecipativo” di matrice scientifica, vale a dire che le nuove tecnologie di comunicazione digitale vengono utilizzate per sviluppare una critica dei temi scientifici: non si tratta solamente, secondo Jan Schaffer, di traghettare dell’informazione vecchio-stampo verso un
nuovo mondo, ma di riempire un vuoto informativo, di costruire nuove forme di dialogo attraverso atti di giornalismo ” random”, come foto, video, e di testimonianze di network civici.

Un’ulteriore esperienza di successo,  stavolta anche economico, è quella di John Fialka, editor di ClimateWire
(http://www.eenews.net/cw),  una delle riviste di E&E (Environment & Energy Publishing) più recenti. Fialka è un navigato giornalista del vecchio mondo delle news – ha lavorato per The Wall Street Journal – e grazie al Web ora gode di una platea di abbonamenti di 40.000 persone. Un successo notevole per una rivista considerata comunque di nicchia. Fialka, durante il convegno del Woodrow Wilson Center ha stimolato la discussione, evidenziandone però alcune criticità di una testata come la sua che seppur con un discreto successo, riesce a coltivare quasi esclusivamente un pubblico ad elevata formazione scolastica e impegnato in temi scientifici, non raggiungendo quindi quel vasto pubblico che è a portata di mano della logica broadcasting per le news tradizionali.

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La conferenza che si è invece svolta invece a New York, presso l’American Museum of Natural History partiva da un assunto tanto semplice quanto profondo: “Se tralasciamo per un momento le implicazioni politiche ed energetiche, cosa abbiamo imparato dalla copertura di questi temi da parte del giornalismo scientifico? Quale apporto ha dato questo tipo di giornalismo all’elaborazione di soluzioni per i problemi climatici?” Per questa occasione l’American Museum of Natural History ha attivato il suo primo blog ufficiale (http://www.amnhblogs.org/), come strumento di comunicazione collaterale a una mostra in corso sul cambiamento climatico (www.amnh.org/exhibitions/climatechange/), che durerà fino al 16 agosto. Di particolare interesse si è rivelato l’intervento di Matthew Nisbet, professore dell’American University e autore del blog accademico Framing Science (http://scienceblogs.com/framing-science/) che al di là di una logica di contrapposizione tra newmaker, ha affermato che giornalisti, bloggers e mondo accademico hanno la possibilità di sviluppare nuovi tipi di narrazione e di frame di significato personale alla scienza del clima, un problema che Nisbet considera un imperativo morale, da portare avanti su tutti i livelli di istruzione e in tutte le aree geografiche, anche quelle microlocali.

Non è certo questa la sede per elaborare soluzioni al problema attuale del giornalismo – e fermiamoci per questa volta a quello che ha come branca la copertura di argomenti scientifici… Di fronte a tante manifestazioni di entusiasmo nei confronti di quelli che possono essere definiti con una felice espressione di Schaffer i “labors of love” scientifici, bisogna tener sempre presente che il problema del finanziamento al professionismo è sempre in agguato. Il dossier della CJR cita infatti come esempio la chiusura della prestigiosa rubrica scientifica Grand Unified Weekly di Slate V
(http://www.slatev.com/) una delle più innovative in quanto a linguaggi e contenuti che aveva per tema soprattutto la tecnologia.  Nata come esperimento il novembre scorso, non ha trovato i giusti mezzi finanziari per sostenere i contenuti divenuti via via sempre più costosi, nonostante abbia goduto di un favore sempre crescente di pubblico. Dean Baquet, capo bureau a Washington per il New York non è molto ottimista nei confronti di questo trend di chiusura delle grandi testate ed ha espresso la  sua preoccupazione in toni allarmistici per la democrazia, perché la scomparsa di testate indipendenti “It concentrates knowledge in the hands of those who want to influence votes. It means the
lobbyist knows more about Senator [Richard] Shelby than the people of Alabama”: forse potremmo sostenere lo stesso parere, cambiando i soggetti con personaggi nazionali.

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Chiamare in causa direttamente la democrazia è una posizione forse troppo generalista, ma non è possibile negare il mutamento nel mondo dell’informazion scientifica che stiamo vivendo. E’ un cambiamento di spazio – ampliamo le possibilità e i temi di discussione -, ma è anche un mutamento di attitudine, se non di mentalità: ai modelli di
accuratezza, indipendenza, oggettività del giornalismo professionale vengono integrate le testimonianze dirette di Media Makers e amatori e che questa trasformazione avvenga attraverso i nuovi media, dietro la spinta di una ampliata coscienza collettiva a temi scientifici, dimostra come la scienza e la tecnologia siano diventati una straordinaria leva politica di mutamento che non si può lasciare irriflessa a livello di opinione pubblica.