“Terre e cieli”: questo il titolo dell’ultima diciottesima – edizione della rassegna Invideo, divenuta ormai appuntamento immancabile per chi, in Italia, voglia saziare la sua fame di video e cinema sperimentale senza essere obbligato a prendere un aereo.
Tra denuncia sociale e poesia visionaria la selezione internazionale di quest’anno sembrava ricordare la necessità di muoversi tra spazio reale e mondo onirico nel tentativo di costruire, anche e soprattutto a partire dall’arte, un percorso di cambiamento possibile e quanto ormai indispensabile. Le personali dei grandi maestri (Rybczynski , Eshetu , Coulibeuf in questa edizione) oltre a darci la possibilità di apprezzare un corpus di opere a volte difficilmente rintracciabili (fanno eccezione alcune importanti pubblicazioni, come l’antologia su Zbig edita da RaroVideo) sono state l’occasione, anche quest’anno, per ripercorrere indagini artistiche rigorose quanto visionarie, in grado di trasmettere alle giovani generazioni di artisti e di spettatori l’impegno incondizionato, ma anche l’ironia, la leggerezza e il divertimento, nell’attraversare tutti i territori aperti dell’immagine in movimento.
Di questa edizione e del ruolo della rassegna tra passato e futuro abbiamo parlato con Sandra Lischi, docente di Teoria e Tecnica dei Mezzi di Comunicazione Audiovisiva dell’Università di Pisa e co-direttrice della rassegna, assieme a Romano Fattorossi, fin dalla sua prima edizione.
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Giulia Simi: Vorrei partire dal tema di questa edizione: “Terre e Cieli”, ovvero uno sguardo duplice sul reale che unisce la denuncia sociale, di stampo documentaristico, a vere e proprie utopie della visione e del pensiero. Un invito lanciato dall’arte alla politica? Perché non rinunci al sogno, all’immaginazione e all’utopia? Perché finalmente riesca a camminare, come si legge nel testo di presentazione dell’edizione di quest’anno, “con i piedi per terra e la testa tra le nuvole” ?
Sandra Lischi: Il titolo è nato dall’osservazione di centinaia di opere arrivate da tutto il mondo e la tendenza generale invita forse anche l’arte, non solo la politica, a non essere troppo autoreferenziale. Vi si nota la feconda compresenza di linguaggi e tematiche che a lungo hanno proceduto separatamente.
Giulia Simi: Tra i numerosi approfondimenti di quest’anno, spicca senz’altro la retrospettiva sul grande maestro polacco Zbigniew Rybczynski, uno dei pionieri della videoarte mondiale. Qual è la grande eredità che artisti come Zbig hanno lasciato alle giovani generazioni di videoartisti?
Sandra Lischi: Una grande visionarietà coniugata con una sapienza tecnologica portata ai limiti estremi. Zbig è emerso anche dai vari incontri di “Invideo” e dalla lunga lezione tenuta allo IED-Istituto Europeo di Design di Milano ha sviluppato poetica, stile, tematiche, costruendosi letteralmente le tecniche elettroniche adatte alla loro espressione, dai set, agli obbiettivi, agli effetti, al controllo computerizzato delle telecamere, ai binari-laser…e soprattutto lavora a un superamento della post-produzione a favore del “tempo reale”, dell’incessante metamorfosi in fase di ripresa. Ma, più in generale, la sua lezione è quella di imparare a gestire artisticamente (e conoscendole appieno) le nuove tecnologie di questa epoca.
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Giulia Simi: Il focus sul “Center for Contemporary Art di Tel Aviv” è stata l’occasione, in questa edizione, per continuare il dialogo già iniziato in passato tra video e arte contemporanea. Le rassegne video nei luoghi tradizionalmente deputati all’arte contemporanea sono ultimamente sempre più numerose, diffondendo un approccio ben diverso, spesso rizomatico e non lineare, alla fruizione dell’opera. E’ possibile che videoarte e cinema sperimentale abbandonino del tutto la sala cinematografica trasferendosi in musei, gallerie e centri d’arte contemporanea?
Sandra Lischi: Già sta succedendo, e nelle più diverse maniere; ma la fruizione cambia completamente, l’abbiamo sperimentato anche a “Invideo” passando dai suggestivi e scenografici spazi della Triennale a un vero e proprio cinema come lo Spazio Oberdan. Alla Triennale è stata esaltata una fruizione di passaggio, per frammenti, mista a socializzazione, incontri e commenti, “spettacolare” ma spesso frustrante per gli autori (inquinamento acustico e visivo, distrazione); all’Oberdan ci si concentra molto di più sulla singola opera, presentata con ogni attenzione alla qualità dell’immagine e del suono. Certo si perde una spazialità più mossa e variata. Tuttavia il problema è in via di superamento in alcuni spazi espositivi (vedi ” La Strozzina ” a Firenze con la recente mostra “Worlds on Video”) grazie a cuffie e modalità di presentazione delle opere che consentono, accanto alla flanerie e all’eleganza scenografica dell’insieme, anche di concentrarsi sui singoli lavori.
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Giulia Simi: Quella appena conclusa è stata la diciottesima edizione di Invideo. Come è cambiata in questi anni la rassegna, sia a livello di selezione delle opere che a livello di percezione e fruizione degli spettatori? Che ruolo ha avuto, o potrà avere, in questo, la progressiva diffusione dei nuovi media?
Sandra Lischi: La rassegna è cambiata per molti aspetti: il mutamento di spazio espositivo ha eliminato problemi di allestimento ma ha portato a nuovi investimenti nell’ospitalità agli artisti e agli autori, che presentano le opere al pubblico, e in genere si cura maggiormente la mediazione fra la programmazione e gli spettatori, con incontri, presentazioni, seminari. La rassegna ha inoltre abbandonato il termine “videoarte” , molto circoscritto, e ha aperto anche al cinema sperimentale e digitale; sono caduti insomma alcuni steccati. Ai grandi classici, che predominavano nei primi anni della mostra, si sono affiancate via via opere di giovani e di esordienti (o anche di scuole italiane e straniere), presentazioni di Festival e di Centri, le inaugurazioni in città europee e anche alcuni spettacoli dal vivo.
Forse abbiamo perso un po’ del pubblico dei grandi eventi che affollava gli spazi della Triennale, ma abbiamo conquistato un pubblico costante ed esigente, cui si affiancano nelle ultime edizioni gli studenti di Brera e dello IED di Milano. In questa edizione una intera mattinata è stata rivolta a circa 200 studenti di istituti superiori, con visione e commento di opere. Alla mostra si affianca inoltre, ogni due-tre anni, negli spazi al primo piano dell’Oberdan, “Techne” , grande mostra di video-installazioni.
Stiamo affrontando il nuovo panorama mediatico, sia dal punto di vista delle mutazoni del pubblico che teoricamente (si veda il saggio di Bellavita nel catalogo dell’ultima edizione) e includendo opere di tipo nuovo, e di ultima tecnologia, ad esempio i video girati col telefono cellulare. Ma ci piace mantenere lo sguardo aperto anche sul passato, sia invitando dei Maestri della videoarte e del cinema sperimentale, sia lasciandoci ancora affascinare da piccole opere di sapienza artigianale e di freschezza “primitiva”. .