Tra i numerosi spazi in cui Barcellona offre la sua proposta culturale spicca il Teatre Grec, che ospita e dà il nome a un importante festival estivo. Progettato dall’architetto Ramon Raventós intorno al 1929, il teatro all’aperto riflette la tipica struttura dei teatri greci antichi e vi si accede attraverso uno stupendo giardino arredato con illuminazione di design. Grazie alla sua ubicazione sulla collina del Montjuïc, in attesa dell’inizio dello spettacolo qui si può godere di una meravigliosa vista della città al tramonto, sorseggiando Cava o birra fresca.

Proprio questo spazio magico ha avuto l’onere e l’onore di ospitare il 13 luglio del 2007 uno dei registi cinematografici più audaci e creativi della scena internazionale: Peter Greenaway. Conosciuto e amato o odiato per i suoi film quali “Giochi nell’acqua”, “Il ventre dell’architetto”, “Il cuoco il ladro, sua moglie e l’amante”, “I racconti del cuscino”, dal 2003 l’artista è impegnato nello sviluppo di un progetto multimediale dal titolo “Le valigie di Tulse Luper”.

Questo progetto, attualmente in progress e finora articolato in 3 film assolutamente innovativi dal punto di vista visuale, una serie televisiva, libri, 92 DVD e CD-Rom, interventi collaborativi sul Web e così via, racconta la storia di uno scrittore, che raccoglie caratteristiche di diversi personaggi illustri, come John Cage, Marcel Duchamp, Marshall McLuhan, Italio Calvino, Jorge Luis Borges, il padre di Greenaway e molti altri. La sua storia, raccontata attraverso 92 valigie, diversi oggetti e personaggi (il tutto rigorosamente catalogato e umerato) è strettamente intrecciata con quella dell’uranio, il cui numero atomico è appunto il 92.

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Quella di Tulse Luper è una storia di prigionia, dove tutto è espediente a servizio dell’estetica visuale, della celebrazione dell’architettura, dei dettagli, dei colori, dei chiaroscuri. I fotogrammi si invadono gli uni gli altri, si sovrappongono, si intrappolano, si disturbano, si moltiplicano, si sfasano; i caratteri alfanumerici perdono il loro ruolo di veicolo di messaggi e diventano essi stessi elementi estetici, coprotagonisti di questa danza visuale.

Alcuni brevissimi loop tratti da questi film (e altri dell’artista) sono la materia prima del “Tulse Luper VJ Tour”, un esperimento coerente con il tentativo di Greenaway di dimostrare che il filo conduttore di un prodotto cinematografico non deve essere necessariamente un testo. E dato che è materia già plasmata, per via della sua natura già fortemente sperimentale, Greenaway non ha avuto bisogno di un sistema particolarmente complesso per proporsi come VJ, ruolo nel quale egli stesso ha dichiarato di vedersi con ironia.

Dopo aver proclamato ufficialmente al pubblico di Barcellona la morte del cinema, il bisogno di reinventare continuamente l’arte, l’evidenza della rivoluzione sociale e culturale provocata dall’onnipresenza nelle nostra vite di computer e telefoni cellulari, Greenaway, in duetto con l’attore catalano Jordi Boixaderas, ha presentato 92 citazioni sulla democrazia, nel corso del prologo dello spettacolo dal titolo “The Democracy Speech”. Probabilmente troppe, ma la simbologia numerica in questo caso era tanto significativa da far perdonare l’eccesso e la lungaggine.

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Quindi si è finalmente esibito nella nuova tappa del tuo VJ Tour, anche se forse il progetto ha più la natura di un vero e proprio esempio di live cinema, piuttosto che un accompagnamento sincrono grafico/visuale alla musica di un dj. In questa performance comunque, Peter Greenaway era accompagnato dall’olandese DJ Radar, al secolo Serge Dodwell, e supportato dal sistema di VJing sviluppato da Beamsystems Holanda.

Il sistema è costituito da un grande touch screen (un sogno francamente proibito per qualsiasi vjing del mondo, considerando i cachet, la considerazione spesso misera di cui godono nei club e la natura “smanettona” che caratterizza la maggior parte di loro), dove il regista sceglie clip video tratte dai suoi film, in piedi in mezzo alla scena come un direttore d’orchestra, e le dirige sui tre maxischermi. Probabilmente optare per una maggiore asimmetria o più gioco con i tre schermi avrebbe conferito più dinamicità alla scena e avrebbe reso gli effetti sonori più interessanti.

Ma Greenaway stesso al momento di presentare la performance ha dichiarato di non essere un VJ. Non si è trattato di proiettare immagini che accompagnassero la musica nel corso di un concerto o in una discoteca, ma di presentare un nuovo modo di raccontare una storia, scomponendola e ricomponendola, in una forma aleatoria e irripetibile, lasciando allo spettatore un’estrema libertà interpretativa ed emozionale.

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A conferma di questo concetto, la fonte sonora era rappresentata dalle tracce audio delle stesse clip video, che DJ Radar elaborava in tempo reale e accompagnava con sottofondi sonori avvolgenti e ben armonizzati con l’audio in primo piano. Purtroppo in alcuni passaggi il musicista ha preso troppo il sopravvento, obbligando lo spettatore a subire ritmi e suoni un po’ troppo manipolatori, interrompendo il proprio flusso fruitivo personale (fino a quel momento favorito dall’astrazione delle immagini, dei suoni e della storia) e caratterizzando in modo troppo obbligato il messaggio emotivo delle scene proiettate.

Nel complesso comunque si è trattato di una performance molto interessante, specie se si inverte il processo: la sua forza è il fatto che le fonti originali sono performance già di per sé e che il loro uso in tempo reale non ne è che una naturale continuazione. Insomma, il risultato non è quini frutto della manipolazione di immagini in tempo reale, ma semplicemente della ricomposizione di elementi già presenti nelle incredibili creazioni di un regista che, nel suo sforzo di contribuire all’evoluzione del cinema, occupa già un posto d’onore nelle pagine della sua storia.


www.barcelonafestival.com

http://petergreenaway.co.uk/

www.tulseluper.net

www.tulselupernetwork.com

www.djradar.com/music.html

www.beamsystems.nl/