Nell’ultimo decennio il settore del design ha dimostrato un interesse sempre maggiore verso la possibilità di implementare la ricerca scientifica nei propri prodotti, asservendosi di strumenti e metodi basati sull’integrazione multidisciplinare, nonchè su criteri caratterizzati da un rigore di matrice sempre più scientifica. Il design contemporaneo mira a promuovere processi di innovazione e sperimentazione, in cui design e scienza si avvicinano, si intersecano e si fertilizzano.
Il design incontra la matematica nelle sperimentazioni in cui le tecnologie digitali vengono interpretate come forme espressive, dove l’intervento progettuale coinvolge la dimensione degli algoritmi attraverso percorsi che vengono definiti algorithmic design, generative design, computational design sempre più connessi al digital manufacturing. Esempi di algorithmic design sono, ad esempio, i gioielli e gli accessori per la casa realizzati da Nervous System, che interpretano il “computational”, come strumento creativo in grado di aiutare a realizzare le elaborazioni dei designer, riducendo enormemente i tempi che interconnettono il concept alla realizzazione.
La codifica e la costruzione dell’algoritmo diventano atti creativi, come il disegnare, con risultati che, in termini di qualità del design, dipendono ovviamente dalle capacità progettuali del designer, più che da ogni altro elemento materico o digitale. Nel sito di Nervous System, nella sezione di e-commerce, viene offerta anche la possibilità di personalizzare alcuni gioielli proposti attraverso uno strumento di digital customization in cui l’utente può modificare alcuni parametri dimensionali del gioiello, per poi acquistare e ricevere il prodotto co-progettato e realizzato con sistemi efficienti come quelli di rapid prototyping. Osservando i loro prodotti si deduce anche l’intenzione di usare le tecnologie digitali per tradurre più agevolmente in design la complessità di fenomeni, processi e patterns naturali, come quelli che caratterizzano la crescita delle strutture naturali.
Le collaborazioni tra design e biologia sono particolarmente frequenti, dalla bionica, al design biomimetico, che trasferisce ai prodotti strategie, strumenti e metodi tratti dalla biologia, fino a esperienze di elaborazione grafica di processi biologici.
Nel progetto di ricerca e formazione Design4Science, il design per la comunicazione interpreta il campo della Biologia Molecolare, facendo riferimento ad una gran varietà di risorse come l’archivio di dati e ricerche dell’MRC Laboratory of Molecular Biology di Cambridge; il Geis Archives dell’Howard Hughes Institute and David Goodsell, e lo Scripps Research Institute. In questo caso il design, più che trarre ispirazione dalle scienze biologiche supporta la scienza mediante lavori visivi, fotografie, animazioni, immagini digitali che svolgono il ruolo di disvelare concetti e processi in modo che gli scienziati stessi riescano a “leggerli” più semplicemente e da diversi punti di vista.
Il progetto Diatom Design nato dalla collaborazione tra l’Hybrid Design Lab [1] e il gruppo di ricerca, specializzato in microscopia elettronica e biologia marina, coordinato da Mario De Stefano, entrambi della Seconda Università degli Studi di Napoli, si propone di affrontare il tema del rapporto tra design e scienze biologiche mediante due diversi approcci: l’approccio della bioispirazione, che porta al design di prodotti innovativi e sostenibili che trasferiscono strategie progettuali innovative dalle Diatomee e l’approccio che prevede che il design svolga un ruolo di supporto alla biologia, mediante i suoi strumenti di modellizzazione e interpretazione di caratteri biologici, come le strutture e i pattern, per meglio comprendere le motivazioni e i fenomeni fisici e biologici che tali caratteri sotto-intendono.
Il rapporto del design con la chimica e con la scienza dei materiali e sicuramente quello, tra le scienze, più consolidato. Con l’evolvere delle conoscenze scientifiche e delle tecnologie di produzione, però, tale relazione si apre a sempre più interessanti e complessi scenari collaborativi in cui l’interazione tra i due ambiti non è più casuale o saltuaria, ma più consapevole e costruttiva. Nascono nuove dimensioni metodologiche caratterizzate dall’obiettivo di individuare protocolli comuni di attività sulle quali fondare un processo di progettazione, interdisciplinare e condiviso, volto allo sviluppo di nuovi concept e nuovi prodotti di design, in un’ottica di innovazione sempre più compatibile con gli equilibri ambientali e con le esigenze del mercato.
Nell’ambito delle sperimentazioni progettuali condotte nell’Hybrid Design Lab il dialogo e la cooperazione tra design e nuovi materiali [2] è costante e si fonda sul definire e sperimentare nuovi linguaggi condivisi e modalità di interazione e condivisione tra designer, scienziati dei materiali e aziende orientate a implementare un’innovazione integrata design-materiali nelle loro produzioni.
A tale scopo è stata definita e sperimentata una metodologia “ibrida” e collaborativa fondata sull’integrazione delle competenze e orientata a favorire la nascita di fertilizzazioni incrociate e l’innescarsi di corto-circuiti creativi. Il design, impiegando i propri strumenti progettuali di prefigurazione di scenario e di lettura delle dinamiche evolutive ed esigenziali del mercato e della società, interpreta in forma di nuovi concept e nuovi prodotti i materiali messi a punto dai ricercatori di scienza dei materiali. Contemporaneamente, la scienza dei materiali, attraverso la collaborazione interdisciplinare, individua nuovi e inediti percorsi di applicazione per le proprie ricerche e propone stimoli e sollecitazioni alla ricerca di design, indicandole alcune delle direzioni più avanzate dello sviluppo della scienza e della tecnologia.
La metodologia definisce due modalità di approccio possibili: la prima muove dai materiali verso il design (Materiali → Design) e prevede che i chimici e gli scienziati dei materiali propongano al design innovazioni da tradurre in prodotti e applicazioni; mentre nella seconda il design richiede agli scienziati dei materiali le soluzioni materiche più appropriate a specifici brief progettuali (Design → Materiali). Per ognuno dei due approcci è stata definita e verificata una struttura procedurale suddivisa in fasi.
L’approccio M → D propone di “interpretare”, attraverso gli strumenti del design, le opportunità tecniche ed espressive offerte dall’innovazione dei materiali e delle tecnologie. Una interpretazione che si traduce in nuovi concept, prodotti e sistemi di prodotti e servizi, in grado di valorizzare le loro specifiche proprietà e identità. Per identità di un materiale si intende il complesso di opportunità, ma anche di limiti e debolezze, che lo caratterizzano e che devono essere elaborate per concepire nuove applicazioni nelle quali il materiale si “esprima” nella maniera più efficace possibile. I “caratteri di identità” contemplano aspetti ambientali; prestazioni tecniche come la durabilità, la processabilità, le proprietà meccaniche e quelle di barriera; caratteri percettivi come l’aspetto, la capacità di trasmettere e riflettere la luce, il colore e le proprietà tattili.
Le fasi più significative che caratterizzano questo approccio sono:
1. Selezione del materiale: Il gruppo di ricerca di scienza dei materiali seleziona e propone un sistema materico sviluppato o in fase di sviluppo rispetto al quale ritiene possa essere utile individuare possibili nuovi ambiti di applicazione.
2. Analisi conoscitiva: In questa fase i ricercatori del gruppo di design affiancano nelle attività di laboratorio i chimici e gli scienziati dei materiali per acquisire informazioni su fattori come il ciclo sperimentale, le fasi e i processi di realizzazione, i requisiti tecnici, ambientali e percettivi. La differenza di approccio e punti di vista che caratterizzano i due gruppi di ricercatori consente a entrambi di cogliere stimoli e individuare potenzialità che difficilmente avrebbero apprezzato a pieno lavorando singolarmente e secondo le metodiche consuete.
3. Definizione dell’identità del materiale. I due gruppi lavorano congiuntamente per redigere una scheda che raccoglie i caratteri di identità del nuovo materiale, secondo le categorie: caratteri tecnico-funzionali, caratteri estetici, caratteri tecnologici e di processo, caratteri ambientali, e caratteri percettivi.
4. Individuazione delle aree di opportunità e dei limiti da interpretare attraverso nuovi concept.
5. Prefigurazione di possibili scenari applicativi e di nuovi modelli di consumo in funzione delle tendenze evolutive del mercato e della società.
6. Proposta di nuovi concept che interpretano, esprimono e valorizzano l’identità del nuovo materiale.
7. Sviluppo delle proposte progettuali.
8. Selezione della proposta progettuale più adeguata e rispondente alle esigenze da soddisfare.
9. Sviluppo del progetto, studio di fattibilità, prototipazione e eventuale brevetto.
Nel secondo approccio (D→M) il design, utilizzando i nuovi strumenti metodologici e linguistici di cooperazione messi a punto nel corso delle collaborazioni multidisciplinari, sperimenta la possibilità di trasferire e tradurre in requisiti da proporre agli scienziati dei materiali nuovi concept di design aderente ai nuovi scenari esigenziali contemporanei.
In questo secondo approccio la metodologia si sviluppa secondo le seguenti fasi:
1. Redazione di un brief elaborato dal gruppo di design o da un’azienda, in funzione di un nuovo scenario esigenziale individuato e non soddisfatto sufficientemente da nessun prodotto esistente.
2. Definizione e analisi delle problematiche progettuali connesse alle esigenze individuate nel brief.
3. Analisi delle soluzioni analoghe esistenti sul mercato, nella quale vengono messi in luce limiti e vantaggi.
4. Prefigurazione di possibili scenari di prodotto attraverso i quali proporre nuove soluzioni alle problematiche irrisolte e nuovi modelli di consumo.
5. Definizione di un concept che proponga soluzioni innovative alle problematiche progettuali definite.
6. Traduzione del concept e dei principi progettuali definiti in un brief di materiali richiesti dal progetto.
7. Individuazione delle possibili soluzioni di materiali che possono essere esistenti; esistenti ma in parte da modificare; o da mettere a punto ex novo.
8. Sviluppo di un sistema integrato design-scienza di definizione dei nuovi sistemi materici aderenti alle esigenze espresse. In questa fase è importante che i ricercatori di design e di scienza dei materiali collaborino nella elaborazione di soluzioni condivise che costituiscano uno stato di avanzamento per le loro attività di ricerca in corso, ma che siano anche fattibili e realizzabili con tecnologie produttive esistenti e accessibili, anche da un punto di vista economico.
9. Sviluppo delle proposte progettuali condivise che coinvolgono sinergicamente materiali e prodotto.
10. Selezione della proposta progettuale più adeguata e rispondente alle esigenze da soddisfare.
11. Sviluppo del progetto, studio di fattibilità, prototipazione e eventuale brevetto.
L’intersezione del design con matematica, biologia, fisica, scienza dei materiali, chimica può, quindi, proporre nuovi e inediti scenari di collaborazione in cui i ruoli si invertono, si fondono e si rinnovano di continuo, allo scopo comune di guadagnare avanzamenti nei diversi ambiti, in modo sinergico e proattivo.
La collaborazione multidisciplinare si fonda sulla volontà di promuovere la confluenza di alcune delle più significative attività di ricerca condotte parallelamente da design e scienze in comuni risultati concettuali e progettuali che si traducano, alla fine del percorso di ricerca, in prodotti industrializzabili, tecnicamente fattibili che determinino un impatto degli avanzamenti della ricerca scientifica nella vita delle persone.
Saperi e specificità disciplinari differenti collaborano tra loro per poter approdare a esiti, concettuali o concreti, accomunati da un approccio volto all’innovazione e alla traduzione della ricerca in prodotti. Design e scienze si avvicinano esplorando tale relazione attraverso molteplici prospettive. I sistemi di ricerca generati sono molteplici e multiformi, ma si fondano sulla scelta di adottare paradigmi e metodologie di matrice tecno-scientifica in grado di gestire la complessità dello scenario della produzione industriale contemporanea e le sue relazioni con gli aspetti culturali come la storia produttiva di un contesto, il capitale umano e quello territoriale.
Note:
[1] – Il Laboratorio Hybrid Design Lab fa parte del Dipartimento IDEAS della Seconda Università di Napoli ed è coordinato da Carla Langella con la supervisione scientifica di Patrizia Ranzo.
[2] – Nell’Hybrid Design la competenza sui materiali, con un’attenzione particolare alla sostenibilità ambientale, è rappresentata prevalentemente dal gruppo di ricerca coordinato da Carlo Santulli e dai gruppi coordinati da Mario Malinconico e Maurizio Avella dell’ICTP, CNR.