In questi giorni in cui tutti stiamo riflettendo sul sentimento della comunità intellettuale,
della socialità, della condivisione, della appartenenza, che sembrano appartenere ad un
passato remoto, il solo ed unico Andrea Benedetti ha scritto un articolo sull’apocalisse
cognitiva e su come la controcultura in particolare si sia trasformata in abitudine percettiva.
Sono tempi difficili per la collettività, ma soprattutto per chi come me ha vissuto la grande
rivoluzione dello stare assieme, “stare a contatto, anche fisico con persone diverse mentre
il tuo corpo si lascia andare seguendo ritmi e suoni ed interagendo in tempo reale con le
emozioni che ne scaturivano”. (A. Benedetti, Frequencies) Questo assunto è importante,
forse, per comprendere la mancanza di senso dell’overload di dirette streaming – che ha
caratterizzato la programmazione on line di questi ultimi mesi a causa della pandemia.
Progetti spettacolari, televisivi, che hanno perso sovente la connotazione culturale ed
artistica, e in cui è venuta a mancare sostanzialmente quella relazione corporea ed
emotiva, peculiare dell’esperienza artistica e musicale, dagli anni Ottanta-Novanta fino a
marzo 2020.

In questo momento di forte perplessità intorno alla capacità di artisti e curatori di creare
nuovi eventi che possano funzionare sulle piattaforme virtuali, coinvolgendo in modo attivo
e diretto il pubblico, sono stata invitata a partecipare a …mai i propri … nell’ambito di
BRUMA MMXX, una performance di Fabio Perletta – straordinario artista sonoro, curatore
e docente di sound design – che è stata trasmessa in diretta streaming sulla piattaforma
del progetto Aequusol. “La parola Aequusol descrive l’emergere dell’alba e il suo
allontanamento dalla notte nell’asse di equilibrio che separa il riposo dall’azione, un attimo
di stasi energetica. Aequusol si rivela nei quattro periodi di transizione dell’anno per
mettere a fuoco le attività che a Pollinaria avvengono e si trasformano in flusso costante.
Ogni evento celeste è rappresentato in modo totemico da un’entità mitologica che sfuma
nella realtà e nella storia, come una presenza spettrale da individuare e far risorgere
attraverso i campi e la terra d’Abruzzo”. ( http://aequusol.it/about )

La live performance …mai i propri … – che si è tenuta presso una masseria derelitta e
solitaria – è stata una sorta di incursione ribelle, svoltasi nell’ambito di un ciclo di incontri e
rituali dedicati al solstizio d’inverno, cioè al giorno più corto dell’anno che segna l’inizio
dell’inverno, ma rappresenta anche la rinascita del sole, dunque un passaggio magico nel
pianeta, che viene festeggiato in tutto il mondo. Tra i diversi appuntamenti digitali e fisici,
che intendevano sondare i temi dell’appartenenza, della rinascita e dell’interdipendenza, il
19 dicembre 2020, un posto abbandonato è stato trasformato in un luogo di incontro e di
socialità aumentata, concepito in modo inaspettato per gli affetti e per l’unione, dove una
comunità intangibile ha potuto prendere forma per un momento, virtualmente infinito. Un
lavoro inteso come “un sistema di intelligenza decentralizzato, definibile come l’abilità di
condividere e rapportarsi a sentimenti, pensieri e decisioni mentre ci si trovi
contestualmente in luoghi diversi. Nel seguire le trame di tessitura di scambi remoti,
l’artista convoca a sé un’entità organica, composta di voci e suoni distanti, perché
fluiscano e si accumulino all’interno delle mura affidate alle sue cure”.

Perletta si è preso cura, infatti, con grande generosità del suo pubblico – che ha potuto
trascendere le barriere dello spazio fisico per incontrarsi e ripopolare insieme la casa disabitata – condividendo empaticamente sentimenti, esperienze, sensazioni con altri
visitatori sconosciuti. L’artista ha interagito in tempo reale con i dati – una voce, una
parola, una lettera, anche mal pronunciata o inventata, un suono cacofonico di breve
durata o un rumore – mandati dagli spettatori al suo numero di telefono privato. Tali dati,
inviati digitalmente tramite messaggio vocale o testuale, sono stati mescolati in tempo
reale con i suoni e con i rumori degli atti, svolti dallo stesso artista, per ridare vita alla
casa: spazzare, ridistribuire, accendere il fuoco del grande camino nella sala centrale, ecc.
Il progetto – che è inedito ed è nato da una arricchente e formativa residenza artistica
presso Pollinaria – verte sulle conseguenze di tutto ciò che è perduto nei periodi di
cambiamento, ma soprattutto sulla nostra capacità di trasformazione, in momenti
particolari come questo, caratterizzato dalla distanza fisica coatta, che seppur
difficilissimo, può generare nuovi momenti di socialità e nuove interrelazioni.


“In un mondo regolato dal profitto, dai concetti di efficienza e di affermazione da esporre
al pubblico consenso, Fabio Perletta ha creato una situazione in cui primordiali esigenze
dell’essere umano, insieme ai suoi trascurati profili emotivi, possano esistere e coesistere,
vorticosamente e senza logica apparente. Processi cognitivi, esperienze soggettive,
comportamenti espressivi, tutti nella loro formula più pura, si riuniscono in un intreccio
composito dello spazio-tempo, dove la dimensione virtuale e quella corporea diventano
una sola essenza. Il corpo è dematerializzato, mentre le emozioni che diffonde sono
amplificate attraverso il suono fino ad incontrare e fondersi con altre presenze transitorie.
Questa effimera, alternativa messa in scena del mondo, si apre dinanzi allo sguardo
dell’artista, che crea un luogo archetipo avviato nel suo peculiare processo di redenzione”.

La performance partecipativa di Perletta è riuscita ad innescare infatti propulsioni e
meccanismi arcaici ed imprevisti, al punto da ribaltare perfino il rapporto tra autore e
fruitore, trasformando l’artista stesso in spettatore del suo pubblico. Perletta ha messo
sapientemente in opera il concetto di infinito: lo spazio e il tempo senza fine. Lo
“spaziotempo” da intendersi quale “insieme” ed “unità totale” – che nella cultura cinese
corrisponde tra l’altro al binomio Yin-Yang – cioè lì dove il Cielo incontra la Terra: tra cielo
e terra sono gli uomini e le loro esperienze, così come si legge nel classico T’ien-hsia.

Si tratta di un lavoro poetico, ispirato al solstizio d’inverno, che offre infinite possibilità di
esplorazione – oltre le delimitazioni nel Tempo (Cielo) e nello Spazio (Terra) – indagando i
temi universali dell’amore, della memoria, della rinascita, del rifugio, della paura, del
sogno, senza porre confini allo spettatore. I partecipanti alla performance hanno potuto
contribuire, inviando un numero di messaggi illimitato, prendendo parte attiva a questa
esperienza collettanea, immersiva e multisensoriale. Partendo dall’idea di restituire un
valore esperenziale alla pratica artistica, il predittivo Perletta ne ha recuperato la profonda
ritualità, attraverso la creazione di una dimensione aperta al pubblico, in quanto
esperienza condivisa e condivisibile con gli altri, e durante la quale è stato possibile
recuperare frammenti di perduta socialità.

La ritualità in sé è una operazione fortemente creativa, durante la quale ciascuno di noi
riesce a trovare grazie al sesto senso – che è l’immaginazione – uno stato di
comunicazione con le altre persone che ci sono accanto. Colui che innesta il processo
rituale, in questo caso l’artista-sciamano, deve creare una progettualità e una strategia
degli elementi che favoriscano l’esperienza degli altri: si tratta di una ritualità, in questo
caso, che non richiede iniziazione e in cui non vi sono immagini simboliche o allegoriche,
ma uno spazio vuoto, abitato solo da voci, suoni e rumori, affinché non ci sia nessuna
barriera percettiva tra l’opera-perfomance ed il pubblico, invitato ad interagire liberamente.

Questo processo di rottura e di dissacrazione è stato avviato dalle Avanguardie storiche
prima e dalle correnti artistiche della metà del Novecento poi, segnando la fine di un ciclo
vitale, che pur nelle macroscopiche alterità, aveva comunque confermato la propria
accezione contemplativa dell’arte. È solo a partire dalla seconda metà del Novecento,
infatti, che le Neoavanguardie hanno rotto il tabù secondo cui l’arte non doveva essere
solo guardata a rispettosa distanza, ma poteva essere vissuta, privilegiando al contrario
una dimensione ludica, magica e sensoriale, dai tratti chiaramente tribali. Dagli anni
Novanta, grazie all’avvento del digitale, gli artisti si sono assunti la responsabilità di
coinvolgere attivamente lo spettatore, attraverso nuove pratiche che potessero riavvicinare
il pubblico all’arte, recuperandone in particolare il valore sociale e collettivo. Il pubblico è
diventato sempre più, per volontà dell’artista, sacerdote del rito e al tempo stesso
comunità di adepti. Si contrappone all’arte una sorta di visione tribale dell’attività artistica,
in cui essenziale è l’esperienza della caduta delle distanze fra autore e spettatore che
trasformi tutti in partecipanti. L’esperienza artistica assume quindi un carattere
processuale nel quale non si solidificano verità, ma dentro cui molteplici e diverse realtà
prendono forma.

FABIO PERLETTA esplora i concetti di presenza, silenzio e impermanenza,
incoraggiando diversi livelli di esperienza, coinvolgimento e contemplazione. La sua
ricerca si muove sull’ambiguità tra materiale ed immateriale, lasciando coesistere i
paradossi e rivelando una disciplina interiore che va al di là delle coordinate razionali, pur
rivolgendosi alla realtà delle piccole cose. Il suo lavoro comprende composizioni
elettroacustiche, performance, interventi site-specific e installazioni presentate in tutto il
mondo in festival, gallerie d’arte e residenze quali A×S Festival (Pasadena), Human
Resources (Los Angeles), VOLUME (Los Angeles), EMS Elektronmusikstudion
(Stoccolma), Pollinaria (Civitella Casanova), BlueProject Foundation (Barcellona), Arts
Santa Mònica (Barcellona), Museo De Arte Moderno (Medellín), Musee National des Arts
Asiatiques Guimet (Parigi), Tempio Ryosoku-in (Kyoto), MoMA (Wakayama), Café OTO
(Londra), Standards (Milano), Saturnalia Festival (Milano), TOdays Festival (Torino),
Eufònic Festival (Barcellona), roBOt Festival (Bologna), Auditorium Parco della Musica
(Roma) e altri.Le sue composizioni sono state pubblicate principalmente dalle etichette
discografiche LINE, Dragon’s Eye e dalla sua 901 Editions, con cui continua a curare
edizioni di pionieri della sound art come Akio Suzuki, Steve Roden, Richard Chartier,
Nicolas Bernier, Asmus Tietchens e altri. Nel 2014 fonda lo studio interdisciplinare Mote
con l’artista multimediale Davide Luciani, dando vita nel 2019 a Son.AR Collective, un
progetto in collaborazione con Art Republic e Screen City Biennial che esplora la realtà
virtuale in relazione al suono e all'arte pubblica. È membro del duo di improvvisazione
elettroacustica Cygni e collaboratore del progetto Lux, con cui ha co-curato mostre di
William Basinski & James Elaine, Thomas Köner, Arnold Dreyblatt e altri. Attualmente è
professore di sound design e design degli allestimenti all'Università ISIA di Pescara.