Da giovedì 6 Novembre a sabato 8 Novembre, lo spazio O’ in Via Pastrengo 5, Milano – http://www.on-o.org/ – ospiterà Radiofonica, momento di incontro sulla creazione radiofonica e sonora curato da Anna Raimondo e Alessandro Bosetti, in collaborazione con Goethe-Institut Mailand e con la partecipazione di Marcus Gammel, direttore di Klangkunst a Deutschlandradio Kultur.
Radiofonica – http://radiofonica.org/ – evento totalmente gratuito e accessibile per i 3 giorni dalle 14.30 alle 22 – nasce dal desiderio di fare incontrare artisti, critici, curatori, produttori italiani che si dedicano alla creazione radiofonica (dal documentario d’autore al paesaggio sonoro, dalla sperimentazione musicale o vocale per radio alla fiction, eccetera) e presentare ricerche, discutere riguardo approcci estetici, desideri, proiezioni, criticità e possibili soluzioni strutturali, aprendo uno spazio di riflessione comune anche al pubblico, invitato a partecipare agli appuntamenti di approfondimento e ascolto pomeridiani e serali.
Ho avuto modo di intervistare i curatori Anna Raimondo e Alessandro Bosetti. Quando ho chiesto ad Anna di raccontarmi come si svolgerà l’evento, di darmi qualche anteprima, queste sono state le sue parole: “Radiofonica si articola lungo tre giorni, su tre diversi momenti del giorno: in mattinata una serie di tavole rotonde consentiranno riflessioni d’ordine estetico, tecnico e produttivo. Nel pomeriggo, inviteremo orecchie curiose a partecipare a delle sessioni che si nutrono dei contributi di ciascuno degli ospiti. In serata Marcus Gammel proporrà un viaggio sonoro, con una serie di ascolti radiofonici che pensano la radio tra installazione, informazione e illusione..”
E ancora, Anna ci ha tenuto ad aggiungere che “Davide Tidoni, Attila Favarelli, Isabella Bordoni, Zimmerfrei, Laura Malacart, Riccardo Fazi presenteranno delle listening sessions dei loro lavori; Radio Papesse, Audiodoc, Daria Corrias, Irene Revell, Lorenzo Pavolini, Blauer Hase presenteranno dei curate by; Leandro Pisano, Elena Biserna, Tiziano Bonini, Lucia Farinati, Rodolfo Sacchettini presenteranno le loro ricerche; Alessandro Bosetti, Stefano Giannotti, Stefano Perna e io stessa proporremo una serie di performance”.
Sarà presente inoltre Pinotto Fava (autore del programma d’arte radiofonica Audiobox) come voce e testimonianza di una parte importante dell’arte radiofonica made in Italy. Il pubblico si troverà immerso in diversi contesti d’ascolto, per rintracciare le diverse potenzialità che offre oggi la radio, in dialogo con in passato e nel confronto con il panorama internazionale. Ci saranno infatti anche Irene Revell, direttore artistico di Electra e curatrice del programma d’arte sonora e femminismo Hernoise Archive e il produttore radiofonico nonché artista sonoro Marcus Gammel, che presenterà ogni sera una listening session inspirata dal suo programma d’arte sonora Klangkunst presso la Deutschlandradio Kultur di Berlino.
Marco Mancuso: Parlatemi del progetto Radiofonica. Come è nato, sulla base di quali pratiche curatoriali, come si è sposato con gli interessi e il lavoro espositivo di O’?
Anna Raimondo: La mia pratica curatoriale è sempre un’estensione della mia ricerca artistica. E credo che per Alessandro sia lo stesso. Lavoravo già da un po’ all’estero dedicandomi alla creazione radiofonica e sonora, attraverso la realizzazione di paesaggi sonori elettroacustici piuttosto che performance radiofoniche partecipative, etc. Avevo però voglia di riconnettermi con l’Italia, anche professionalmente. Incontrando Alessandro circa 2 anni fa, abbiamo constatato come molti artisti italiani che lavoravano con la radio producevano all’estero, tra cui noi (all’epoca io vivevo a Marsiglia ed Alessandro viveva a Berlino).
Da qui ci siamo posti la prima domanda: perché in Italia oggi la creazione radiofonica e sonora non ha un vero posto nel panorama delle radio pubbliche? Perché non ci sono fondi dedicati alla produzione di forme artistiche in radio? E ancora, perché l’Italia non partecipa più agli incontri “Ebu Ars Acustica” (http://www3.ebu.ch/home), quando il primo incontro fu organizzato proprio a Firenze?
Esplorando e mappando le realtà italiane di arte radiofonica ci siamo resi conto che si trattava di una realtà prolifica ma sparpagliata. Da qui il desiderio di creare uno spazio-tempo d’incontro, nel quale proporre scambi di sapere, un’ esperienza per tracciare il presente e le potenzialità dell’arte radiofonica made in Italy in maniera collettiva. Da qui anche l’idea di invitare personalità dagli approcci estetici molto vari e figure diverse (da artisti ad accademici, da produttori a curatori) il cui liet motiv fosse un interesse e una pratica legata alla radiofonia. Quando Sara Serighelli di O’ è venuta a conoscenza del progetto ha subito abbracciato con entusiasmo l’idea. Radiofonica ha un po`queste caratteristiche: è un progetto ibrido, che parte dalla radiofonia per aprirsi a forme d’ascolto inesplorate. Ed è prima di tutto un incontro di persone, una rete di relazioni.
Alessandro Bosetti: Mi viene da dire che l’idea di questo incontro non sarebbe stata possibile senza l’attività di O’, luogo dove si esplorano da anni a Milano le pratiche di ascolto creativo contemporaneo. Il secondo stimolo è venuto dal Goethe Institut che ha incoraggiato l’incontro con il paesaggio mediatico della Radio Art in Germania; nello specifico il lavoro svolto sulla radiofonia sperimentale, di creazione, utopica. Ci è balzato subito agli occhi la disparità di mezzi e di pratiche tra la scena tedesca – dove la radio di stato promuove e finanzia lavori di ricerca sonora anche molto radicali – e quella italiana dove una scena sempre più nutrita e significativa di artisti radiofonici ha sviluppato modi creativi per far vivere il proprio lavoro anche al di fuori degli spazi ufficiali. Per questo abbiamo voluto far incontrare le due realtà e allo stesso tempo creare un luogo d’incontro per la scena italiana.
Marco Mancuso: Radiofonica affronta con dinamicità alcune tematiche portanti che mettono in evidenza il ruolo della radio come possibile forma d’arte. Nonché il rapporto dell’arte con il medium radiofonico (Pinotto Fava). A tal proposito, mi sembra centrale il tema del suono espanso, della relazione tra uomo, fonte sonora e paesaggio (Faravelli, Farinati) sulla base di una dinamica di propagazione potenzialmente infinita in termini fisici (Perna). Il suono come guida, come vettore per l’apertura di nuovi spazi, modellatore di nuove geografie e di nuove esperienze del mondo circostante e delle storie che è in grado di raccontare (Pisano). Perché la scelta di questo tema?
Alessandro Bosetti: Quello che amo della radio e che mi ha regolamente spinto verso di essa è l’ambiguità di genere che il medium determina. La radio trasmette suoni ma non c’è scritto da nessuna parte a cosa questi suoni debbano assomigliare. Tanto una radio di parola quanto una radio puramente sonora sono possibili. E anche una radio che non è nessuna di queste cose e che rende possibili ibridazioni diverse. È per questo che la presenza di artisti come Attila Faravelli è particolamente importante. Si può mandare in onda lavori unicamenete sonori? Lavori che abbiano una complessità e una trasparenza acustica che incoraggia un ascolto molto più profondo ? Io penso assolutamente di sì anche se questa è un idea difficile da far passare, abituati come siamo ad ascoltare voci ipercompresse e spettri di frenquenze sempre più uniformati sullo standard delle radio commmerciali. In radio è possibile molto di più…
Anna Raimondo: Il suono espanso rinvia a forme di delocalizzazione possibili che si aprono attraverso la radio, a livello tanto esperenziale che percettivo, così come sul piano sia concettuale che politico. In effetti, come sostiene Salomé Voegelin, non possiamo mai essere sicuri della risorsa sonora. Questa consapevolezza apre infinite possibilità sia sul piano artistico che su quello accademico. Apre molteplici possibilità nell’esperienza di un paesaggio attraverso l’ascolto. Lo sa bene Leandro Pisano che nella sua ricerca sul terzo paesaggio sonoro, traccia la possibilità di declinare le teorie post-coloniali (per lo più applicate alle arti visive) al campo dell’arte sonora e radiofonica. Lo sa bene anche Attila Favarelli che nella sua pratica fonografica, supera l’intenzione stessa della fonografia focalizzandosi sulla soggettività dell’ascolto. Credo che quando si parla di suono espanso si rimanda alla contaminazione sonora e alle potenzialità relazionali dell’ascolto, all’ascolto inesplorato. Come si propone tutto questo in un ascolto radiofonico?
Marco Mancuso: Sono felice che abbiate voluto porre l’accento anche sulla dimensione antropologica del suono, della sua dimensione corale, collettiva, nonché possibilmente partecipatoria nell’ambito della sfera pubblica (Bosetti, Corrias, Tidoni, BLAUER HASE/Giulia Morucchio, Malacart, tu stessa Anna). E’ questo un tema molto attuale, che caratterizza molte delle tecnologie contemporanee e in cui il suono può svolgere un ruolo chiave. Siete d’accordo?
Alessandro Bosetti: Le riflessioni di Brecht sul trascendere la radio come uno strumento che parla a tutti da un solo centro, per trasformarsi in un vero reticolo vociferante, si sono pienamente relizzate grazie ad un rapporto con i media molto meno complessato e subalterno. Da un lato la produzione audio è molto meno problematica anche solo rispetto ad una decina d’anni fa, dall’altro l’estetica relazionale, il lavoro antropologico sulle nuove comunità possibili, hanno un ruolo molto importante e si sposano molto bene con il dispositivo radiofonico. Personalmente, amo tenere il campo largo e immaginare quante più possibilità che vadano dal far esplodere il meccanismo della radio comunitaria in esperienze come Danger in Paradise di Christof Migone, fino a composizioni iperdettagliate e quasi indistiguibili dalla musica elettroacustica e concreta di Lionel Marchetti.
Anna Raimondo: Io andrei anche oltre a quanto suggerisci. Partendo dall’esperienze delle radio comunitarie (Radio Alice per fare un esempio su tutti), direi che la radio – almeno il modo in cui ne fruisco io e il modo in cui scrivo e compongo per essa – è uno spazio pubblico. A per lo meno, ha il potenziale per configurarsi come elemento della “sfera pubblica” (riprendendone l’accezione di Habermas), come “territorio relazionale”. Come è però possibile sopperire alla verticalità del linguaggio radiofonico, tema molto riflettuto da Walter Benjamin o Bertolt Brecht, che lo individuavano come il punto debole della comunicazione radiofonica? Qui si aprono infinite possibilità per per la radio-art…
Marco Mancuso: Alcuni degli autori e curatori invitati, affrontano il tema della memoria sonora (Fazi) come capacità di narrazione immaginifica, come condivisione di emozioni interiori ma al contempo potenzialmente condivise (Pavolini). Questo tema si muove – a mio avviso – in stretta correlazione con quello della metafora sonora (Giannotti) e della sua capacità archetipica di evocazione. Come avete pensato di mettere in relazione questi autori nel corso dell’evento, come pensate potranno condividere la loro esperienza con il pubblico?
Anna Raimondo: Credo che anche nel programma abbiamo voluto salvaguardare questo carattere di ecletticità che in qualche modo a mio avviso può restituire le infinite potenzialità dell’arte radiofonica oggi. L’idea è muoverci insieme, dalle possibilità performative del suono a quelle più antropologiche. L’idea è di esperire insieme un flusso sonoro, viverne la dimensione estetica per creare un momento che sia anche di riflessione concettuale e discorsiva.
Marco Mancuso: C’è infine, nel ricco immaginario proposto, una dimensione di analisi quasi filologica del medium radiofonico. Strumento che da un lato offre un possibile canale di narrazione dell’universo artistico e culturale, dall’altro consente la diffusione sonora e musicale in quanto tale. Spesso in relazione alle arti visive, come avete suggerito. Ma proprio per questo, conserva una dimensione socio-culturale che resiste al cambio di paradigma tecnologico e che anzi da questo sembra trovare linfa vitale (Biserna, Bonini, Radio Papesse, Revell, Sacchettini, Zimmefrei, Bordoni). Che tipo di contributo di apertura verso altri campi disciplinari vi aspettate da quegli autori e curatori che indagano questo tipo di relazioni?
Anna Raimondo: Questa domanda rispecchia la definizione di arte radiofonica, nonchè l’immagine labile dell’artista radiofonico, la cui definizione ci divertiremo ad esplorare ed analizzare Guarda, l’ho vissuto sulla mia pelle. Per anni mi hanno definita artista radiofonica, fino a quando il passaggio al contesto più ampio dell’arte sonora è divenuto inevitabile. In altri termini, anche se ho una predilezione alla scrittura per la radio, per la diffusione radiofonica e per un certo tipo di relazione col pubblico, la mia pratica ha bisogno di operare fuori dalla radio. In altri termini, ho bisogno di nutrirmi di altre discipline, non solo artistiche. Questo per dire che l’interdisciplinarità è un fattore costituente del fare radio, essendo – come dici tu stesso – un medium socio-culturale che si nutre esi alimenta del fuori, dell’altro, di altre discipline.
Irene Revell e gli Zimmerfrei si focalizzeranno, la prima da una prospettiva curatoriale, i secondi attraverso la loro ricerca artistica sul suono, sulle possibilità tra immagine (cinema e video) e suono. Riflessione la loro, che rimanda alla ricerca più ampia di Radio Papesse sulla radio come linguaggio, piattaforma e metodo per esplorare i territori dell’arte contemporanea. Sacchettini aprirà invece uno spazio di riflessione che intreccia la storia del radiodramma italiano con le sue esperienze attuali che propongono un dialogo tra pratiche teatrali e radiofoniche; Elena Biserna e Tiziano Bonini, invece, investigano – sebbene con approcci diversi – la porosità tra radio e spazio urbano-partecipazione.
Marco Mancuso: Mi piacerebbe infine un vostro commento su uno statement di Marcus Gammel che trovo fantastico, quando dice: “La radio ha molti personaggi unici: reportes, animali, psicopatici, zombies. Nonostante ciò il personaggio principale nella maggior parte dei lavori di arte radiofonica sei TU. Ogni trasmissione si rivolge a te come ascoltatore, o meglio, come ascoltatore ti da vita creando una situazione specifica. Ti trasporta all’interno di un ruolo particolare. Sia che tu abbia voglia di giocare oppure no, dal momento in cui ti sei sintonizzato sei già in scena”. Alla fine mi sembra che abbiate voluto pensare la curatela di Radiofonica tenendo a mente queste parole, mi sbaglio?
Anna Raimondo: Andando oltre, direi che non esiste voce senza ascolto. In questa frase Gammel evidenzia non solo il fattore sine qua non della comunicazione e dell’arte radiofonica, ma rivela l’elemento centrale del dibattito: sembra cioè una moda quella di “dare voce a”, ma credo che sarebbe più importante chiedersi come rendere udibile e partecipata una proposta radiofonica, e la voce che sottintende. Ed è qui che la dimensione estetica gioca un ruolo fondamentale…
Alessandro Bosetti: L’avanguardia sonora oggi sta facendo un lavoro rivolto soprattutto alla percezione e all’ascolto. Un lavoro dove viene messa in luce la porosità tra soggetto e oggetto, tra orecchio e suono, tra realtà e percezione. Purposeful Listening In Complex States of Time è un lavoro di David Dunn del 1997, dove viene composto un ascolto, indirizzandolo verso luoghi e dimensioni diversi, vicini, lontani, immaginati e ricordati, seguendo una griglia temporale annotata in modo tradizionale e lineare. Questo pezzo apparso su “Site of Sound: of architecture and the ear”, libro curato da Brandon Labelle per Errant Bodies (http://www.errantbodies.org/siteofsound.html), è per me molto importante assieme agli scritti di Peter Szendi dello stesso periodo (Écoute, une histoire de nos oreilles, e Sur écoute. Esthétique de l’espionnage). In essi si discute la storia dell’ascolto nella prospettiva di “firmare” l’ascolto stesso, facendone una versione speculare di un oggetto sonoro.
La radio in questo senso è uno dei primi strumenti che ci hanno permesso di “suonare l’ascolto”. Un’azione compiuta inconsapevolemente da milioni di persone, che nell’arco di un secolo hanno continuato a girare i pomelli con una disinvoltura che non avrebbero avuto se gli si fosse stato chiesto di maneggiare un violino o un pianoforte.