Domani sabato 4 Ottobre inaugura la mostra “Zona di Innesco”, fino al 19 Ottobre nell’ambito della XII edizione di BergamoScienza – http://www.bergamoscienza.it, fase conclusiva del progetto “Artist-in-residence Km Rosso” a cura di Alessandra Pioselli e Agustin Sanchez, promosso da Accademia di Belle Arti G. Carrara di Bergamo e Kilometro Rosso.
La mostra, ideata come progetto culturale e programma di formazione tra l’Accademia (Scuola di “Nuove Tecnologie”, di cui Alessandra Pioselli è Direttrice) e industria assolutamente inedito per l’Italia, nasce con lo scopo di “creare condizioni d’integrazione tra la sperimentazione artistica e la ricerca tecnologica e scientifica avanzata”, come testimoniano i lavoro prodotti da un gruppo di 7 studenti-artisti in collaborazione con le società incubate nel polo industriale.
Il parco scientifico-tecnologico Kilometro Rosso, definito dal Rapporto Censis del 2009 come uno dei dieci luoghi d’eccellenza per l’innovazione in Italia – http://www.kilometrorosso.com/, è un luogo unico sul territorio nazionale che ospita centri di ricerca, industrie, laboratori e spazi per la manifattura hi-tech, fornendo al contempo servizi di consulenza e training tecnico, scientifico e IT ad aziende, istituzioni, università allo scopo di incentivare la ricerca, lo sviluppo, l’innovazione tecnologica e la produzione culturale.
Le aziende che compongono il gruppo e che hanno supportato il progetto “Artist-in-residence Km Rosso”, aprendo i loro laboratori e condividendo il loro know-how sono: Brembo (fornitore dei costruttori più prestigiosi a livello mondiale di sistemi frenanti ad alte prestazioni, nonché di altri componenti per il settore racing), Intellimech (consorzio di aziende finalizzato alla ricerca nell’ambito della meccatronica, progettazione elettronica avanzata e informatica), Istituto Mario Negri (centro di ricerca che opera a livello internazionale nel campo delle scienze biomediche), Umania (società che supporta le aziende nel generare idee e prodotti innovativi attraverso tecniche e modelli di sviluppo della creatività, studiando gli aspetti cognitivi e comportamentali degli individui e delle organizzazioni), Italcementi (centro ricerca e innovazione che promuove il concetto di sostenibilità, sviluppando innovazioni tecnologiche, funzionali ed estetiche dei nuovi materiali per le costruzioni),Caiazza & Partners (studio legale associato, che sostiene, in campo societario e contrattualistico, le iniziative imprenditoriali rivolte alla creazione di nuove tecnologie ed al loro sviluppo commerciale internazionale) e infine Petroceramics (società che sviluppa materiali ceramici avanzati ed è attiva in settori quali i materiali d’attrito per sistemi frenanti, antiproiettile, componenti ceramici per l’industria manifatturiera e per il settore aeronautico).
Il tema del rapporto tra arte e industria, soprattutto in ambiti tecnologici e scientifici soggetti a un costante e spesso distopico processo di innovazione, è soggetto ad analisi critica piuttosto approfondita ormai da qualche anno. Soprattutto a livello internazionale e quasi per niente sul nostro territorio. Si osserva un principale sentiero di riflessione: quello che parte dalle teorie e dalle esperienze delle Industrie Creative, per modellarle e adattarle al più dinamico e complesso sistema di produzione artistica, ricerca e sperimentazione tecnologica, analisi dei linguaggi espressivi tipici della Media Art e della cultura digitale contemporanea.
Il nucleo centrale della mia ricerca su quelle che ho definito “Art Industries”, recentemente pubblicata per la rivista di cultura digitale MCD/DigitalArti (qui il Pdf gratuito online http://goo.gl/y4vU07), è proprio questo: i modelli di sostentamento della produzione artistica e culturale del XX secolo stanno scomparendo. Nel corso dell’ultimo trentennio, le economie necessarie per attivare processi di produzione nel campo della Media Art, sono giunti da istituzioni in primis, ma anche da banche, mecenati, sponsorship nell’ambito di mercati apparentemente vergini ma ovviamente pronti a una contaminazione commerciale che garantisse la propria sopravvivenza. La sensazione comune è che questo grande meccanismo assistenzialista che, diciamolo, si credeva forse eterno, non sia più sostenibile e debba necessariamente dare spazio a processi di produzione e diffusione dell’arte maggiormente virtuosi.
In un periodo di crescente recessione economica e di diffusi tagli alla cultura,è difatti sempre più ampio il numero di esempi, su scala internazionale, di soggetti culturali, creativi (artisti, designer, programmatori, autori, hacker, maker, musicisti, cineasti, grafici…) e industrie – nell’ambito dell’ICT ovviamente, ma anche nella produzione di sistemi hardware e software, o che lavorano nei circuiti della ricerca scientifica, della meccatronica, dell’intelligenza artificiale, della biomedicina o ancora alla ricerca sui materiali – coinvolte nella standardizzazione di modelli di sviluppo sostenibili allo scopo di attivare processi produttivi funzionali alla realizzazione di un “oggetto culturale”.
Le nuove “classi creative”, di varia formazione ed estrazione, non necessariamente istituzionalizzate ma formanti “valore” su una scala di modelli socio-economici maggiormente legati alle reti, ai network, alla produzione di cultura bottom-up, sono in grado di mettere in relazione l’industria con un ecosistema fatto di centri di ricerca, laboratori, accademie, luoghi espositivi e istituti di eccellenza, tali da creare interessanti meccanismi di condivisione, scambio e produzione. La capacità delle “Art Industries”, è proprio quella di agire come catalizzatori e incubatori di una sempre più diffusa forma di produzione artistica, economica e culturale dal basso legata all’utilizzo delle (nuove) tecnologie.
Quando Alessandra Pioselli mi ha parlato per la prima volta del progetto “Artist-in-residence Km Rosso”, ho avuto l’immediata sensazione di essere di fronte a un processo realmente innovativo per il nostro paese, e per l’ambito produttivo artistico nel quale si muove Digicult. Un progetto finalmente al passo con le principali esperienze a livello internazionale. Del resto, lo stesso titolo della mostra – “Zona di Innesco” – allude a un’arte di stimolazione cross-disciplinare in cui la pratica artistica si integra alla ricerca nel campo della biologia, della chimica, della fisica, della geologia, dell’informatica, dell’ingegneria, della meccatronica e delle scienze mediche, originando una serie di risposte complesse e originali.
Qui l’elenco e la descrizione degli artisti e dei progetti esposti in mostra:
http://www.kilometrorosso.com/download/kmrosso_progetti_artisti_residenze3_lungo.pdf
Marco Mancuso: Innanzitutto vorrei che mi descrivessi in generale il progetto “Artist-in-residence Kilometro Rosso”: come è nato e quale è stato il suo percorso di questi mesi che ha portato infine alla mostra che inaugura domani?
Alessandra Pioselli: Il progetto è stato generato da una precedente esperienza, la mostra “Bitgeneration” curata da Agustin Sanchez presso Kilometro Rosso, in occasione della X edizione di Bergamoscienza nel 2012. Alcuni degli artisti avevano avuto l’occasione di frequentare per qualche giorno alcuni dei laboratori. Kilometro Rosso manifestò l’interesse a proseguire la collaborazione e fu allora che nacque l’idea di rilanciare non più con una mostra, ma con un progetto di residenza per artisti, promosso congiuntamente dall’Accademia di belle arti G. Carrara di Bergamo e dal polo industriale.
Kilometro Rosso è un hub che accoglie più di trenta aziende che fanno ricerca avanzata in vari campi della scienza e della tecnologia, nonché dei servizi. La direzione marketing si è fatta carico di promuovere il progetto presso le aziende. Abbiamo chiesto loro di mettere a disposizione non solo tecnologie, know how, materiali e procedure, ma uno o più tutor interni che avrebbero seguito l’artista, introducendolo nella specifica realtà lavorativa e di ricerca. Sette aziende hanno aderito. E’ il numero che cercavamo.
Creata la rete dei partner, abbiamo reclutato i sette artisti – ancora studenti o neo diplomati all’Accademia di belle arti G. Carrara – attraverso un bando. Le residenze sono durate da febbraio a giugno 2014, nel corso delle quali sono nate le opere e i progetti presentati in mostra. Tale progettualità è frutto di uno scambio reale e quotidiano con ricercatori, professionisti, tecnici di laboratorio.
Marco Mancuso: Da quali riflessioni e interessi professionali nasce questo progetto? Cosa ti ha portato a pensare che il rapporto con un polo aziendale come Kilometro Rosso potesse essere interessante per un ambito di produzione artistica e quali le sovrapposizioni interessanti con il tuo ruole di Direttrice dell’Accademia Carrara?
Alessandra Pioselli: Ci sono diverse considerazioni alla base. Innanzi tutto, il progetto formativo dell’Accademia ha una impostazione cross-disciplinare, poiché oggi un’accademia di belle arti non può pensarsi fuori da questo orizzonte. Difatti, la denominazione ministeriale Corso in Pittura al posto di “arti visive” sta stretta, come l’incongruente denominazione del Corso in Nuove Tecnologie per l’Arte, che marca la non autonomia estetica dei media, al servizio della presupposta Arte.
In secondo luogo, condivido con i miei colleghi la convinzione dell’importanza di espandere l’esperienza formativa fuori dall’aula scolastica. Ritengo necessario dare ai giovani studenti e artisti l’opportunità di testare la propria ricerca in altri ambiti culturali, sociali, produttivi, che non siano esclusivamente quelli del sistema dell’arte. E’ un passo formativo importante pensarsi come artisti in altri contesti. Ciò porta a riflettere sul senso del proprio operare e del proprio ruolo sociale. Porta ad immaginarsi altre strade creative, produttive e distributive, che non siano per forza quelle delle gallerie e del loro saturo mercato.
In più, c’è una considerazione sulla posizione di un’istituzione di alta formazione artistica, che deve unire formazione e ricerca, ritagliarsi un ruolo culturale attraverso una propria progettualità. Lo deve fare anche intercettando nel proprio territorio gli attori più rilevanti. Bergamo e provincia sono un territorio denso di imprese eccellenti. Nel 1996 l’allora direttore dell’Accademia Mario Cresci ideò “Arte Impresa”, che metteva in comunicazione gli studenti con le imprese della bergamasca, in collaborazione con Lions Club e Confindustria. Nel 2011 abbiamo tenuto l’ultima edizione. Si è chiusa anche a causa della crisi economica. Ma c’è una linea che ci ha portato alla collaborazione con Kilometro Rosso, realtà che offriva un’opportunità unica per mettere a contatto i processi della ricerca artistica con quelli della ricerca scientifica e tecnologica.
Aggiungo a questo discorso un personale interesse per gli scarti di lato della pratica artistica verso altre cornici culturali e sociali. Quando mi sono trovata nel ruolo di direttrice di un’accademia di belle arti, questo interesse si è unito a una riflessione sui metodi di formazione e alla possibilità di sperimentare, assieme ai miei colleghi, delle strade didattiche diverse.
Marco Mancuso: Mi hai raccontato che c’è stata una figura che è stata fondamentale per la riuscita del progetto, in termini di fiducia da parte di Kilometro Rosso. Che tipo di apertura, professionale e imprenditoriale, hai trovato in questa persona e – più in generale – quali sono stati gli elementi che secondo te hanno convinto il polo industriale ad abbracciare questo progetto?
Alessandra Pioselli: Il responsabile marketing del Kilometro Rosso, Leonardo Marabini, è stato una figura chiave, per la convinzione con cui ha accolto l’idea. Altrettanta apertura l’abbiamo riscontrata da parte del management delle aziende coinvolte, dai ricercatori, dai tecnici e dei professionisti che hanno seguito gli artisti. Tutte queste persone hanno reso possibile il progetto. Tale grado di partecipazione è andato forse oltre le nostre aspettative. Nessuno dei nostri interlocutori ha mai mostrato perplessità sulla presenza dell’artista all’interno dei laboratori, ma c’è una ragione. Stiamo parlando di realtà internazionali che hanno una propensione alla sperimentazione e un’attitudine interdisciplinare. L’artista, in tal senso, è un professionista con proprie competenze che si inserisce entro un team composito di altre professionalità.
La mission del Kilometro Rosso, nonché delle aziende che vi hanno sede, è l’innovazione. Può sembrare uno slogan, ma esso si traduce concretamente in prodotti, materiali e processi ad alto contenuto tecnologico, in rilevanti ricerche scientifiche. Kilometro Rosso e queste realtà sono profondamente creative. Conoscono l’importanza della sperimentazione e fanno ricerca di base, dunque, sono propense ad accogliere percorsi creativi non immediatamente finalizzati all’utile. Inoltre, sono attente alla formazione e hanno un’alta componente di giovani professionisti. Tutti questi valori e aspetti inerenti a tale dimensione aziendale hanno portato ad accogliere il progetto, a prenderlo molto sul serio e a fare in modo che si svolgesse al meglio.
Marco Mancuso: Vorrei avere un feedback dell’esperienza lavorativa degli studenti: come sei intervenuta nel corso del processo produttivo delle opere, quali riscontri hai ricevuto dagli studenti nel corso della loro esperienza e in generale quali pensi che siano stati i mutui vantaggi ricevuti dagli artisti nel loro lavoro con le equipe tecnico-scientifiche e viceversa?
Alessandra Pioselli: Con Agustin Sanchez, docente di “Applicazioni digitali per le arti visive” dell’Accademia e co-curatore del progetto, abbiamo lasciato gli artisti liberi, seguendoli a distanza. Ci siamo confrontati sulle idee che nascevano e poi sulla definizione formale, ma in modo fluido e dialogico. Credo che l’esperienza sia stata positiva per tutti. Nel bando tramite cui abbiamo selezionato gli artisti, avevamo chiesto d’indicare presso quale laboratorio avrebbero desiderato lavorare e una lettera di motivazioni. A dire il vero, due non sono stati accontentati nella scelta… Gli artisti hanno lavorato comunque in luoghi di ricerca con cui c’era una sintonia sottesa. Abbiamo cercato di “abbinare” artisti e centri di ricerca in modo che ci fosse un’impercettibile vicinanza, l’intuizione di una possibile congiuntura, del resto già sentita e indicata dagli artisti stessi nel rispondere al bando.
Si è aperto per tutti un mondo di possibilità, sia in termini di nuovi materiali e di possibilità tecnologiche, sia di conoscenze e di riflessioni culturali. Da parte dei ricercatori e dei tecnici, c’è stato l’interesse a capire come gli input si sarebbero trasformati fino a diventare opera, fino ad acquistare una forma autonoma, attraverso quali processi di pensiero. Si sono anche scoperte analogie di metodo. Non credo ad un vantaggio immediato e contabilizzabile, ma a una vena sotterranea che nutre visioni che possono a loro volta figliarne altre, agendo in senso trasformativo sulle cose, i contesti disciplinari. Poi, certo, ci possono essere intuizioni che possono trovare o portare all’applicazione pratica, ma non è questo l’obiettivo primario.
Marco Mancuso: Quanto pensi che questo tipo di relazione tra arte e industria, specialmente nell’ambito ICT e scientifico in generale, sia interessante in termini di produzione di un oggetto artistico e culturale, specialmente in periodo di crisi economica e tagli alla cultura come quelli che stiamo vivendo? Come più in generale pensi che il modello produttivo adottato dal progetto “Artist-in-residence Kilometro Rosso” sia replicabile in altre situazioni e/o migliorabile?
Alessandra Pioselli: E’ una strada da esplorare che diventa rilevante data la crisi economica che colpisce anche le strutture culturali. Sono ambiti da praticare, però, non solo perché il mercato dell’arte non può assorbire tutti quanti o a causa della crisi, ma per una ragione culturale di riposizionare la figura dell’artista. Trovare contesti diversi di creazione e produzione creativa risponde non solo ad una necessità economica ma anche più propriamente culturale. Inoltre, le imprese più avvertite investono in ricerca e innovazione, per queste la creatività è un valore. L’investimento nella creatività è un atto di fiducia nel futuro.
Credo che il modello di “Artist-in-residence Kilometro Rosso” possa trovare spazio altrove, del resto non è un esempio isolato perché vi sono tante esperienze internazionali. Al Kilometro Rosso il progetto ha funzionato perché c’è stata una profonda ed effettiva collaborazione da parte di tutte le persone coinvolte.
Marco Mancuso: Quali sono a tuo avviso gli elementi culturali mancanti nel nostro paese, affinchè venga avviata una riflessione critica profonda sul rapporto tra arte, economia e industria? Quali potrebbero essere i primi passi da compiere per mettere a sistema un processo produttivo di valore su scala più ampia, che vada oltre le esperienze sporadiche e le iniziative dei singoli?
Alessandra Pioselli: L’Italia è il paese la cui cultura accademica ha stentato a riconoscere il ruolo culturale del design, dell’industria e della tecnologia. Bisognerebbe iniziare dalla scuola. Restringo il campo del problema alla formazione impartita nelle accademie di belle arti. Bisognerebbe abolire i compartimenti stagni, lavorando sulle sinergie, sulle mescolanze. Dovrebbero essere luoghi di formazione dove, per esempio, i futuri progettisti possano lavorare assieme ai futuri artisti con beneficio d’entrambi. Oggi invece fin dai licei artistici i campi si separano in nome di una radicalismo della specializzazione. Dovrebbero crescere gli istituti tecnici e la formazione delle maestranze artigiane.
Al contempo, molta classe dirigente e politica è priva d’educazione, riflettendosi sulla scarsa generale considerazione del ruolo della cultura e sulla possibile convergenza con il mondo dell’impresa, a parte i casi illuminati che però non costituiscono il tessuto della società italiana.
Ritornando al Kilometro Rosso, un aspetto per me importante è che il settore privato non è intervenuto come sponsor ma come partner nella co-progettazione del percorso, a partire dal momento in cui ha sposato l’idea. La Banca Popolare di Bergamo ha invece avuto il ruolo di sponsor, supportandone la realizzazione e la mostra conclusiva. Credo che sia una strada possibile quella di non portare al privato un pacchetto già fatto “da pagare” ma di trovare i modi di costruire assieme un programma che implichi l’integrazione delle rispettive competenze e obiettivi.