Ascoltare registrazioni sonore ambientali fuse in processi elettronici ed avere la sensazione di ascoltare una raffinata e complessa composizione elettroacustica: questo accade quando si ascolta un CD o un’installazione di Francisco López, artista spagnolo, nonché professore di ecologia ed entomologo.

Noto a livello internazionale come artista sonoro per la sua sensibilità nei confronti dei suoni che ci circondano, riesce a presentare le sue tracce in modo avvolgente e spesso senza grandi effetti sonoro-visivi, con un semplice accorgimento: è necessario ascoltare il suono in modo immersivo. Francisco López ha alle spalle centinaia di installazioni e performance, nonchè importanti riconoscimenti tra i quali quattro menzioni d’onore del Premio Ars Elettronica, ed il premio Qwartz Award 2010 per la migliore antologia sonora.

Il fatto che abbia studiato biologia e che insegni ecologia fa pensare alla corrente ecologista degli anni 70’ iniziata da Murray Shaffer, da cui prende il nome l’ecologia sonora e la parola soundscape recordings, ovvero registrazioni sonore ambientali. López invece si distacca e si trova in contrasto con quella che è la critica di Murray Shaffer e i suoi collaboratori sull’inquinamento acustico che invade l’ambiente naturale e urbano, e si distanzia dalla loro pratica di documentare e rappresentare i suoni.

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Il rumore nelle sue registrazioni come il suono più impercettibile, è ricchezza sonora, è stratificazione, non viene documentato bensì proposto come materia musicale, elettronica, che però non perde del tutto l’elemento reale, ma semplicemente non svela la fonte sonora e fa percepire la sua essenza, la sua fisicità. Non indaga la realtà del suono, ma fa captare l’essenza e la texture del mondo che ci circonda. Da 35 anni a questa parte López vuole distruggere le distinzioni tra i suoni industriali e i suoni naturali in ambienti selvaggi.

Haa iniziato a sperimentare con le registrazioni sonore sin da bambino quando negli anni 70’ tutti sperimentavano con i registratori a cassette. La sua produzione musicale inizia già dagli anni 80’ sotto una serie di tracce senza titolo e musicassette auto pubblicate. In “Azoic Zone” (1993), CD con 10 autori, che proponeva un viaggio sonoro nel mondo degli organismi degli abissi, vi è per la prima volta una fusione tra la sua anima scientifica e quella artistica. Vi si possono ascoltare infatti quelle atmosfere sonore quasi mistiche, un po’ underground che poi sono quelle che contraddistingueranno il suo lavoro costante di registrazione. In altri album tra i quali “La Selva” (1997), in cui compaiono registrazioni della foresta pluviale in Costa Rica e “Buildings [New York]” (2011) (per cui ha ricevuto la menzione d’onore del Premio Ars Electronica), che ripropone le risonanze e le interferenze all’interno dei grattacieli di New York, il materiale sonoro viene proposto per com’è, senza ulteriori modifiche o deformazioni.

Agli inizi della sua pratica artistico-sonora non aveva possibilità di fare delle live performance – vivendo a Madrid non vi erano possibilità o uno spazio dedicato. Le sue prime performance ebbero luogo negli Stati Uniti, e fu allora che si accorse delle grandi possibilità che gli offriva l’elaborazione dei suoni in tempo reale. Con il tempo ha sviluppato uno stile che da alcuni viene definito misterioso, nel quale vi è una trasposizione dell’enigma del suono e dello stato aurale in una forma artistica.

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La sua pratica di registrazione si basa sui field recordings di un’ambiente a tutto tondo. Non parte tanto da un’idea di un suono da registrare, ma si fa sorprendere dalla densità sonora dallo spazio in cui si trova. I suoi field recordings non sono campionamenti, ovvero brevi registrazioni, ma durano anche 24 ore (batterie permettendo). Quando registra si lascia attrarre dagli ambienti più ricchi di stimoli acustici: le foreste pluviali, gli ambienti subacquei utilizzando degli idrofoni, arrivando anche a concerti speed metal. Coprire un range molto ampio di frequenze è ciò che lo stimola particolarmente e per fare ciò, utilizza spesso fino a 4 registratori portatili simultaneamente.

La sua è una ricerca sonora che nel corso degli anni ha portato a centinaia di CD e album (tra cui anche collaborazioni con altri artisti come Lawrence English, Novi_sad, Reinier van Houdt) dai quali spesso non è possibile estrapolare informazioni sulla provenienza della materia grezza (il suono), sia per il packaging scarno, sia per i titoli astratti, proprio perché vuole far captare la materia sonora come tale, in un senso musicale, e lasciare gli ascoltatori “al buio”.

Il fattore del buio diviene fondamentale per López intorno agli anni 90’. Il suono durante le sue performance doveva essere immersivo, il che implica sia l’assenza di luce ovvero stimoli visivi, sia la spazializzazione del suono, ovvero un impianto surround e non meramente stereo. Questi espedienti tecnici lo hanno portato a decidere di mettere a disposizione delle bende per il pubblico. L’assenza di stimoli visivi è essenziale durante le sue performance, come lo è posizionare il pubblico in mezzo alla sala e circondarlo con il suono: ciò è necessario per entrare nella materia sonora con tutto il corpo e non meramente ascoltarla .

Il 22 febbraio Francisco López ha presentato una performance site specific presso l’Auditorium San Fedele di Milano, come parte di INNER_SPACES 2016, la rassegna di musica elettronica e arte audiovisiva con performance dal vivo organizzata dall’Auditorium stesso (il prossimo appuntamento con la rassegna è per il 2 Maggio con R/S [Peter Rehberg, Marcus Schmickler] e Oren Ambarchi/Thomas Brinkmann, a cura di Manuela Benetton). Dopo questa esperienza, bendati e soggetti a risonanze interiori, abbiamo deciso di intervistarlo.

Roberta Busechian: Iniziando dalle tue prime registrazioni degli anni Ottanta, nel caso di lavori come “Untitled (90′) Anomma (Spain)”: quale idea ti ha spinto a creare queste tracce; iniziava tutto dalle tue ricerche in ambito scientifico, come più tardi accadrà con “La Selva” oppure c’era un’idea precisa che ti ha spinto ad iniziare una ricerca di tipo sonoro/musicale?

Francisco López: Nessuna idea specifica ha mai guidato la mia pratica compositiva . A quel tempo ero affascinato dal suono come generatore di spazio e tempo , in particolare dal contrasto tra le manifestazioni sonore della cosiddetta ” realtà” e quelle degli ambienti registrati.

Roberta Busechian: Negli anni Ottanta suonavi la batteria in diverse band: quel periodo post-punk e new wave della tua esperienza musicale ha influenzato la tua ricerca sonora negli anni seguenti? “Untitled #104” deriva da registrazioni di un concerto speed metal. È irrilevante dunque se il materiale grezzo delle tue opere deriva dall’ambiente naturale o no?

Francisco López: Il regno strumentale ha delle caratteristiche interessanti , ma sento sempre che i suoi limiti sono drammatici . Sono sempre stato interessato alla musica e al suono, e suonando con le band è stato naturalmente divertente a quei tempi, ma lavorare con qualsiasi materiale sonoro è stata una liberazione gigantesca e un’apertura ad un mondo molto più ricco, più ampio e più affascinante.

Roberta Busechian: La tua è un’ampia discografia, che va da album con più artisti a collaborazioni con altri artisti come per “Francisco López + Novi_sad – Titans” oppure “Untitled # 275” con il musicista Van Houdt, entrambi album del 2012. C’è una differenza concettuale tra le tracce dove tu sei l’unico artista, e collaborazioni dove come con van Houdt avviene un’iterazione tra suono elettronico ed uno strumento?

Francisco López: Credo che la differenza principale siano gli input provenienti dai collaboratori e dalle sfide -con fallimenti e successi- di tale interazione . La vera collaborazione è una sfida seria .

Roberta Busechian: Prendendo i mano uno dei tuoi CD non trapelano molte informazioni sul suo contenuto, i titoli sono molto concettuali e compare spesso un “Senza titolo”. Il fatto di ascoltare un tuo CD non conoscendone il luogo e il tempo fa parte di quell’alone di mistero nel tuo lavoro, in cui non occorre sapere da dove proviene il suono o a cosa rimanda? Credi che ascoltando un tuo cd o una tua performance, l’immersività della tua musica cambi?

Francisco López: A mio avviso, non dare dei titoli alle tracce / registrazioni, non è una presa di posizione concettuale, ma, al contrario, un modo molto concreto e diretto. Essere intenzionalmente criptico è un altro atteggiamento dei miei (e per fortuna naturalmente non sono l’unico artista con questo approccio), che ha a che fare con il ruolo di chi ascolta come creatore . A differenza dell’approccio proselitista spesso fallito, credo che quello criptico migliori il rapporto di qualsiasi ascoltatore ad un’opera sonora.

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Roberta Busechian: Con La Selva (1997) e Buildings [New York] (2011), due tuoi album tra i più conosciuti, hai lavorato in modo diverso dal solito. Infatti entrambi i lavori, dove il primo propone registrazioni della foresta pluviale in Costa Rica, il secondo i suoni all’interno dei grattacieli a New York, sono correlati da testi scritti da te e chiarificazioni sul backgroud delle registrazioni, sulla parte concettuale e filosofica dei lavori. Avendo queste informazioni preliminari l’ascoltatore ha un’altro approccio alla tua musica, di che tipo di ascolto stiamo parlando?

Francisco López: La vera sfida per un ascolto fenomenologico è proprio una situazione in cui sappiamo (normalmente perché ci viene detto) quali sono le “fonti” dei suoni . Nel caso delle versioni CD di quei pezzi, i libretti sono stati originariamente chiusi con un adesivo e una raccomandazione scritta di non aprirli.

Roberta Busechian: Nelle tue composizioni non vuoi rappresentare la realtà, ma esplorare la sua texture, portare l’ascoltatore in una realtà virtuale. Puoi definire il concetto di “realtà virtuale” legato alle tue registrazioni sonore?

Francisco López: Voglio esplorare molto più di una “texture”. Diciamo che, per cominciare, voglio esplorare il suono in modo ontologico. In termini di creazione del suono, io non sono interessato alla simulazione (se non in modo superficiale per altri scopi). Qualsiasi forma immaginabile di “realtà virtuale” (che io non pretendo) , quindi, sarebbe solo virtuale, nel senso che avrebbe tutte le caratteristiche immaginate di spazio o di tempo – o qualsiasi altra caratteristica della “realtà” – che sono state generate unicamente dalla suono.

Roberta Busechian: Nella tua performance-installazione “Hyper- Rainforest“ (2011) – una stratificazione di registrazioni in diverse località nel mondo – vi è una realtà sonora più reale della realtà stessa? Come si relaziona questa installazione con la tua ricerca della materia del reale?

Francisco López: Con quel pezzo / installazione ho cercato di evidenziare l’iperrealismo che ha inevitabilmente luogo quando abbiamo a che fare con le registrazioni di ambienti sonori (come naturalmente accade nel visivo). Questo non è un elogio della tecnologia “che va al di là delle nostre capacità”, ma l’osservazione che la rappresentazione nell’atto creativo diventa delusione .

Roberta Busechian: Nell’ installazione “Untitled #223” al Museo Reina Sofía di Madrid del 2011, vi è una chiara esposizione della relazione tra suono e spazio nel tuo lavoro: il suono non è in relazione con lo spazio ma piuttosto è lo spazio stesso. Puoi parlare della tipologia di ascolto che attivava questa installazione?

Francisco López: Bene o male quello che tu hai descritto: spazio generato dal suono. E naturalmente, il senso di soggezione che ne deriva.

Roberta Busechian: Dagli anni Novanta durante le tue performance chiedi agli ascoltatori di bendarsi. Questo perché vuoi che il focus sia completamente rivolto al suono, alla materia sonora e non visiva. L’ascolto acusmatico è fondamentale per entrare mentalmente nell’essenza del suono?

Francisco López: La precisione cruciale che faccio sempre: io non bendo gli ascoltatori; fornisco bende per il pubblico; sono utilizzate volontariamente e per una buona causa: non solo per un ascolto migliore ma per un ascolto impegnato, sotto forma di un rito collettivo volontario.

Roberta Busechian: Qual’è la relazione tra l’ascolto di una tua traccia e la meditazione? Che tipo di esperienza interiore vivi quando sei nel mezzo di un field recording?

Francisco López: Non ne so abbastanza di meditazione per rispondere a questa domanda. Personalmente, ho vissuto e continuo a vivere diversi tipi di rivelazioni ed epifanie attraverso il lavoro creativo con il suono . Del tipo che sono molto difficili da specificare in parole, se sai cosa intendo…

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Roberta Busechian: Il 22 febbraio 2016 ha avuto luogo una tua performance “Untitled” presso l’Auditorium San Fedele a Milano, durante la quale gli ascoltatori venivano bendati. Puoi spiegraci in che modo interagisci con il suono e come ti comporti con il suono pre-registrato durante queste performance?

Francisco López: “Pre-registrato” è un ossimoro, ed un concetto molto fuorviante . Non c’è alcun suono nel codice (o in qualsiasi altra forma precedente di registrazione). Esso ha bisogno di diventare nuovamente fisico e ciò non può accadere indipendentemente da uno spazio e un sistema audio . Non posso sottolineare abbastanza quanto sia cruciale questo passaggio e quanto poca attenzione sembra ricevere dalla maggior parte dei musicisti e artisti del suono . Oltre a ciò, in una performance dal vivo, io di solito faccio un sacco di processi simultaneamente (che nella mia prassi criptica non ho intenzione di rivelare 😉 ) che trasformano, fondono, modellano e spazializzano il suono in base allo spazio e al sistema audio ( ciò significa aspettando e reagendo con attenzione alle caratteristiche fenomenologiche dell’ambiente in cui avviene la trasformazione del suono).

Roberta Busechian: Infine una domanda un po’ cageana: soprattutto nei tuoi lavori passati poni molto attenzione ai silenzi. È sicuramente un elemento importante per creare contrasti tra spazi vuoti e rumore e dunque dinamiche diverse nelle tue tracce, ma ha, come nel caso dell’assenza degli stimoli visivi, un significato per la fruizione del suono stesso?

Francisco López: Naturalmente. E, tra l’altro, questa sarebbe una questione anti-cageana…


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