Il tema dell’illusione nell’arte e nella storia dei media non è una novità ma, sono pochi gli artisti che sono stati capaci di affrontare questo argomento con la stessa sensibilità dimostrata da Ryota Kuwakubo. Le sue ultime opere utilizzano giochi di ombre, che assumono una specifica connotazione filosofica nella relazione tra finzione e media.
Kuwakubo è un artista giapponese che opera nel punto d’incontro tra l’arte e la tecnologia sin dalla fine degli anni Novanta. Il suo approccio multidisciplinare lo ha portato a produrre svariate tipologie di opere, che spaziano dai dispositivi elettronici alle installazioni interattive.
Kuwakubo ha partecipato con successo a straordinarie mostre presso Ars Electronica inAustria,la Galerie Lucy Mackintosh in Svizzera, il Museo di Arte Contemporanea di Tokyo, e il Museo Nazionale di Arte di Osaka, tra i vari.
Alessio Chierico: Prima di tutto, vorrei che ci parlassi della tua formazione: qual è stato il tuo percorso accademico? Come sei entrato nel campo della New media art e nell’arte in generale?
Ryota Kuwakubo: Ho studiato Plastic Art and Mixed Media presso la facoltà d’arte della Tsukuba University. Questo corso di studi mirava a creare una nuova area che includesse varie discipline connesse all’arte classica, al design moderno e ai new media. Questo corso di studi si è ispirato ai metodi utilizzati dal Bauhaus, per cui avevamo a che fare con numerosi mezzi, come acciaio, plastica, film, fotografia e perfino ologrammi. Ma c’erano anche performance, suono e tante altre cose… era veramente impegnativo.
Nei primi due anni di questo programma, ogni studente doveva frequentare gli stessi corsi. Dal terzo anno dovevamo scegliere la nostra direzione artistica o il nostro mezzo. Nella facoltà d’arte della Tsukuba University c’erano tre indirizzi principali: design, belle arti e non so come chiamarlo… era qualcosa che seguiva le idee del Costruttivismo: né design, né arte, era qualcosa di unico.
Il corso di belle arti era molto tradizionale. Per esempio, gli studenti non potevano dipingere quadri astratti. Se volevano farlo dovevano partecipare al nostro corso. Per questo motivo c’erano un sacco di ragazzi pazzi e uno spirito molto creativo. Dopo la laurea sono entrato in un’azienda di software di Yokohama, dove ho lavorato per due anni ma in questo periodo ho capito che non avevo né lo spazio né il tempo per continuare le mie opere artistiche.
In università c’era un ampio studio, dove potevo utilizzare dei grandi macchinari per realizzare i miei progetti. Quando, poi, ho iniziato a lavorare non potevo più accedere a questi strumenti. Comunque, uno dei miei professori mi consigliò di lavorare a dei progetti che non richiedessero troppo spazio.
Per questo motivo iniziai a utilizzare l’elettronica nelle mie opere dato che occupa poco spazio. Grazie al lavoro in quell’azienda, avevo imparato a leggere gli schemi elettronici e a creare software di programmazione a basso livello: nuove conoscenze che mi hanno permesso di sviluppare le mie opere artistiche.
Alessio Chierico: Quali sono stati gli eventi più importanti del tuo sviluppo artistico?
Ryota Kuwakubo: L’evento più importante è avvenuto nel 1998 dopo essermi licenziato dall’azienda dove avevo svolto un anno di lavoro, ero libero e ho iniziato a collaborare con Maywa Denki. È stato un periodo molto denso e ho avuto l’opportunità di acquisire molte competenze da solo.
Un altro evento è avvenuto più recentemente. Fino al 2008 o al 2009 realizzavo solitamente gadget elettronici ma quando è arrivato l’iPhone ho pensato che avrei dovuto fare qualcosa di diverso. In effetti, gli smartphone sono dotati di un sacco di sensori e di strumenti elettronici molto utili, per cui possono già fare molte cose. Avevo due possibilità: una era di sviluppare applicazioni per l’iPhone, l’altra era pensare a qualcos’altro.
In quel periodo ho iniziato ad analizzare il motivo per cui realizzavo oggetti interattivi. La risposta era che volevo creare esperienze per le persone. Inoltre, ero anche un po’ frustrato per via del problema storico delle arti elettroniche, che sono spesso considerate inadatte per gallerie e musei.
Per me i problemi erano particolarmente legati a ragioni funzionali come la manutenzione delle opere e la loro accessibilità: nella maggior parte dei miei progetti una o poche persone possono fruire dell’opera contemporaneamente. Questi sono stati i motivi che mi hanno spinto a realizzare installazioni; volevo creare qualcosa che le persone potevano attualmente vedere.
Con questo non intendo dire che le installazioni devono essere solo belle. Ciò che per me è fondamentale è che le persone possano vivere qualcosa di importante. Credo che non sia necessario che le persone fruiscano dell’opera tramite l’interazione fisica, ma voglio dar loro l’opportunità di provare un’interazione a livello emotivo. Da queste riflessioni è nato il mio lavoro The Tenth Sentiment.
Alessio Chierico:Puoi descrivere i tuoi ultimi progetti? Cosa hanno in comune? Mi sto riferendo in particolare a Invisibility, The Tenth Sentiment e Para-existence.
Ryota Kuwakubo: The Tenth Sentiment è un progetto importante per me. Il primo prototipo è stato realizzato nel 2009 per una mostra di una galleria di Osaka. All’inizio avevo una rudimentale idea di quest’opera. Volevo solamente utilizzare un punto luce su un trenino (di un modellino ferroviario in scala).
A quel tempo il trenino non era essenziale, volevo semplicemente muovere la luce e creare delle ombre. Quest’opera consiste in numerosi oggetti ordinari posti intorno al modellino ferroviario e in una luce sul trenino che proietta le ombre di questi oggetti sulle pareti della stanza.
Quando gli oggetti sono molto vicini al binario, le ombre sono grandi, quando invece sono un po’ più lontani, le ombre sono piccole, in questo modo posso creare una sorta di panorama con diversi strati di profondità, dove è possibile vedere strutture e costruzioni strane. Per creare un effetto speciale, imposto una velocità molto lenta: il trenino si muove di 3 centimetri al secondo.
Mentre stavo lavorando a questo progetto, mi sono reso conto che i visitatori venivano coinvolti in un’esperienza importante. Prima di tutto, le ombre creano una sorta di video grazie alle immagini in movimento che sono completamente continue e analoghe. Secondo, le ombre richiamano alla mente dei paesaggi e i visitatori non possono evitare di percepire questa sensazione che, appunto, riecheggia loro dei paesaggi che hanno già visto.
L’opera Invisibility è stata commissionata da Aisin: un’azienda specializzata in macchine da cucire, componenti automobilistici e mobilità personale. Mi hanno chiesto di creare qualche installazione per l’ultimo Fuori Salone di Milano. Dato che questa azienda utilizza braccia robot nella sua produzione, ho deciso di utilizzarne uno per la mia installazione.
Volevo ricreare l’esperienza di The Tenth Sentiment, utilizzando un meccanismo diverso. In pratica, come in The Tenth Sentiment, questo progetto è composto da vari oggetti distribuiti in uno spazio e dal braccio robot che regge la luce che, passando attraverso gli oggetti, crea delle ombre in grado di realizzare paesaggi con un movimento diverso rispetto a quello del modellino del treno.
Quando creo le mie installazioni, ho bisogno di allineare gli oggetti facendo molta attenzione. Per far ciò devo guardare le ombre proiettate sul muro e muovere gli oggetti manualmente per molto tempo. Chiaramente vedo anche l’ombra della mia mano e, dopo un po’, mi capita di provare una sensazione molto strana: mi sembra che l’ombra sia la mia vera mano.
Questi episodi mi fanno pensare all’allegoria della caverna di Platone: non si tratta solo di una metafora ma anche di qualcosa che succede a livello fisico. Così ho immaginato come dovrebbe essere percepire un’ombra, quando non appare come ci si aspetta: mi aspettavo di sentire qualcosa di strano sul corpo. Da queste sensazioni ho iniziato a sviluppare Para-existence: un’installazione inserita in una stanza dove una parete è occupata da cinquanta torce realizzate da me, che creano dei riflettori diretti verso la parete opposta, ma posizionati a diverse angolature.
Ogni torcia produce una proiezione quadrata, perciò quando guardi questa parete, vedi una griglia di luci. Stando davanti a queste torce la tua ombra appare scomposta in posizioni diverse di questa griglia, come un puzzle non risolto.
Alessio Chierico: Queste opere affrontano il tema dell’illusione. Come lo colleghi alla tecnologia?
Ryota Kuwakubo: Quando iniziai a realizzare installazioni integravo anche la tecnologia nelle mie opere. In altri termini nascondevo la tecnologia sotto il guscio. Ero curioso di sapere come funzionasse e volevo mostrarla, ma dato che creavo installazioni ero interessato al processo di percezione e di esperienza.
Ho cercato di estrarre il meccanismo dalla scatola ma creava ancora illusioni… non è così semplice… puoi ancora vedere l’intero processo, conosci il processo, ma crea ancora delle illusioni. Quelle illusioni avvengono dentro di te, nella tua immaginazione, nella tua percezione. La tecnologia crea ogni volta alcune illusioni, questo è molto comune, molto chiaro.
Alessio Chierico: Nei tuoi ultimi progetti le ombre sono gli elementi principali. Che significato hanno le ombre per te? Ci sono delle fonti di ispirazione che ti hanno portato a utilizzarle?
Ryota Kuwakubo: Le ombre sono legate alla presenza. Mostrano qualcosa che si suppone esista anche se non lo vediamo direttamente, manifestano una presenza che è lontana dall’essenza dell’oggetto. Le ombre mi fanno osservare più attentamente le cose. Per esempio, quando mangi, apprezzi i sapori ma a volte quando guardi dei cibi ti immagini il loro sapore.
Mio figlio ha tre anni e quando andiamo in bici insieme, lui rimane davanti a me e chiama tutto ciò che vede. Questa scena mi rievoca R2-D2 e Luke Skywalker in Star Wars. È come la realtà aumentata… io vedo le solite strade ma lui definisce tutto e mi ricorda di guardare anche gli oggetti ordinari. Questo mi fa stupire del fatto che alle persone piace osservare, mangiare, degustare… ma, come faccio a fargli provare l’esperienza che voglio io?
Ho scoperto che le ombre in movimento creano nuove realtà o portano le persone a riconsiderare la realtà stessa. In relazione a quello che stavo dicendo, una fonte d’ispirazione importante è il Libro d’ombra di Junichiro Tanizaki. Questo testo parla di come la cultura giapponese si interessa più all’oscurità e all’ombra che alla luce. Per esempio, quando sei a cena, c’è una luce molto scura che non ti permette di vedere bene il tuo piatto, ma amplifica le altre percezioni non visive come il gusto, l’olfatto e il calore.
Per lo stesso motivo le ciotole giapponesi sono scure: diminuiscono l’importanza della vista a favore degli altri sensi. Un’altra fonte di ispirazione è l’allegoria della caverna di Platone. Stavo giusto dicendo prima che quando mi venne in mente l’idea per Para-existence mi era sembrato che l’ombra della mia mano fosse molto reale. Questa è uno dei casi dei fenomeni ottici: può essere facilmente trasformato o diffuso. E così ho pensato che la caverna di Platone non fosse solo un’allegoria ma che funzionasse anche fisicamente.
Alessio Chierico: Le ombre erano utilizzate anche nella lanterna magica, una delle prime tecnologie dell’illusione. Pensi che lo sviluppo tecnologico abbia una relazione forte e storica con l’illusione e la magia? Cosa ne pensi?
Ryota Kuwakubo: L’avvento di qualche nuova tecnologia influisce sulla realtà e qualcuno vuole utilizzarla per creare illusioni, quindi c’è una connessione naturale tra la tecnologia e l’illusione. La magia si nasconde all’interno del meccanismo: l’avvento di ogni tecnologia tende a essere qualcosa di magico.
Alessio Chierico: Trovo molto affascinante che nelle tue opere l’illusione e il meccanismo che ci sta dietro siano esposti e visibili allo stesso tempo. Credi che la tecnologia dovrebbe mostrare qualche segno del suo meccanismo?
Ryota Kuwakubo: Sì, ma non penso che possiamo stare al passo con tutto, dato che la tecnologia sarà sempre più complessa. Dovremmo anche dire che quando i meccanismi sono invisibili i dispositivi sono più facili da utilizzare. Le persone non sono interessate al meccanismo ma solo al suo scopo. Comunque dovremmo sapere perché i dispositivi funzionano in un certo modo.
È molto interessante che mio figlio riusciva a utilizzare l’iPhone fin da piccolo. Di recente ho comprato un computer di bordo che può essere utilizzato collegandolo a una tv e a una tastiera. Non sono sicuro se a mio figlio piacerà, ma è molto semplice, solo caratteri e lingua di base. Sono comunque sicuro che sarà affascinato da questo sistema perché per un bambino non è importante una grafica molto avanzata ma la sensazione di stupore che prova.
Alessio Chierico: Stai lavorando a un nuovo progetto? Sai già su cosa vorresti continuare la tua ricerca? Ci puoi dare un indizio al riguardo?
Ryota Kuwakubo: Ho realizzato numerose installazioni negli ultimi anni e mi sento un po’ stanco, ma è importante per il mio sviluppo artistico che io continui in questa direzione. Comunque ho molte idee, voglio creare molti prototipi e realizzare molte piccole parti di queste idee. Poi sarà importante vedere ciò che emergerà da questo lavoro per poi concentrarmi su un progetto specifico. Queste idee non sono collegate tra di loro e non saranno legate all’utilizzo delle ombre, ma saranno qualcosa di completamente diverso.
Alessio Chierico: Oltre alla tua attività artistica, occupi anche la posizione di professore associato presso lo IAMAS (Istituto di Advanced Media Arts and Sciences) e presso la Tama Art University di Tokio. Potresti descriverci brevemente il tuo metodo di insegnamento e come sono strutturati i tuoi corsi?
Ryota Kuwakubo: Allo IAMAS aiuto gli studenti a realizzare le loro opere. A volte gli studenti non hanno le conoscenze sufficienti per creare i loro progetti e uno dei miei compiti è aiutarli. Rispetto allo IAMAS, gli studenti della Tama Art University hanno un approccio diverso e sono più giovani visto che si tratta di un corso di laurea di primo livello. A volte non sanno quale progetto vogliono iniziare ma hanno competenze tecniche e pratiche molto buone… è come uno sport… sono allenati.
Qui, utilizzo alcuni metodi mirati a motivare il loro sviluppo artistico; voglio che siano entusiasti di ciò che fanno. Al primo anno, gli studenti dello IAMAS devono scegliere un gruppo, o come lo chiamiamo noi: “progetto”, che si concentra su un settore di ricerca specifico. In questo corso così strutturato non facciamo lezione ma in ogni gruppo c’è un team composto da vari insegnanti e gli studenti possono partecipare allo sviluppo di alcuni progetti collaborativi.
Io faccio parte del gruppo Re-inventare la ruota, dove gli studenti possono sviluppare le proprie opere, di cui discutiamo durante il nostro meeting per poi cercare riferimenti alla storia dei media. Il tema Re-inventare la ruota può essere legato allo sviluppo di progetti che presentino versioni aggiornate di tecnologie vecchie.
Inoltre prende ispirazione dalle modalità possibili con cui alcune tecnologie sono state sviluppate nel passato, ma che non sono state scelte o che sono sparite presto nella gara contro le tecnologie che invece sono sopravvissute. Questo accade anche oggi quando consideriamo iPhone, Android e Apple Watch, ecc… vedremo tra cinque anni quali tecnologie saranno rimaste e quali avranno fallito. Quindi studiamo i media passati per comprendere meglio la situazione attuale.