Breve storia di quasi tutto di Bill Bryson, era il titolo di un libro di divulgazione scientifica di un po’ di tempo fa ma potrebbe anche essere il sottotitolo del bel libro di Adam Arvidsson e Alessandro Delfanti Introduzione ai media digitali, una breve (150 pagine) storia di quasi tutto quello che un utente di internet o uno studente universitario dovrebbe sapere sulle conseguenze politiche, economiche e sociali dei nuovi media digitali.
Pubblicato per Le Edizioni del Mulino lo scorso 21 Marzo, nella collana “Itinerari”, il libro è pensato come un manuale e del manuale ha il pregio di essere leggibile, accessibile ed esaustivo. Inoltre, il testo riesce a coniugare un’accurata rassegna storica delle varie riflessioni teoriche sul rapporto tecnologia-società con una visione molto lucida e aggiornata sul panorama altamente mutevole dei media digitali. Fornisce occhiali muniti di molte lenti teoriche per guardare il panorama contemporaneo e allo stesso tempo approfondisce alcuni casi concreti dei problemi e delle opportunità fornite dalle nuove tecnologie di comunicazione digitale.
La difficoltà più grande per un manuale è quella di non essere soltanto una sintesi ragionata di tutta la letteratura uscita su quel particolare tema ma essere anche in grado di fornire punti di vista innovativi, frutto della ricerca personale degli autori. Questo libro è così: oltre la natura didattica del testo si intravedono i filoni di ricerca sui quali lavorano da anni Arvidsson e Delfanti: la globalizzazione dei processi comunicativi e delle industrie creative, la socialità in rete e l’economia della reputazione, temi ricorrenti della ricerca di Arvidsson e le tematiche dell’open source, della cooperazione on line, delle culture peer-to-peer, le luci e le ombre del web collaborativo che contraddistinguono da tempo la ricerca di Delfanti.
I “quadri”, brevi parentesi di approfondimento verticale incastonate all’interno del flusso orizzontale del testo disegnano una mappa dei temi chiave del presente digitale: pirateria e copyright, Creative Commons, makers, algocrazia (il predominio degli algoritmi), Economia Shanzai (pirata), Wikileaks, Primavera Araba, sessualità e pornografia, industria dei videogiochi, nuove linee di tendenza nella ricerca sociale (etnografia digitale).
Ogni capitolo è un paio di occhiali nuovo attraverso cui guardare i media digitali: le lenti economiche (capitoli 5 e 6), sociali (capitoli 3 e 5), politiche (capitoli 2, 3 e 4).
I due autori mettono in opera un buon ponte per una serie di approfondimenti che i lettori più esigenti sentiranno il bisogno di fare alla fine della lettura. La bibliografia fornita è in questo senso molto utile. A differenza della maggior parte dei libri italiani che ogni anno escono intorno ai nuovi media, questo libro ha una bibliografia molto più internazionale, che spinge il lettore italiano a fare i conti con il dibattito pubblico su questi temi che avviene fuori dall’Italia.
Ma il merito maggiore di Introduzione ai media digitali è quello di tirare fuori il lettore italiano dalla obsoleta dicotomia apocalittici/integrati che purtroppo monopolizza il dibattito su media e società da troppi anni. Il libro semplicemente salta una divisione ormai sterile per proporre una visione più complessa del ruolo dei media digitali nella società, una visione in cui contemporaneamente i media sono strumenti di liberazione e di controllo, di democrazia e di propaganda, di cooperazione e sfruttamento e possono essere usati, come sempre lo sono stati nella Storia, in maniera tattica o strategica.
E’ per sviluppare una consapevolezza della propria identità digitale non schiacciata sul presente che ha senso leggere questo libro. L’uso quotidiano di Facebook e degli smartphone è così pervasivo e naturale che sembra non necessitare alcuna spiegazione. Come sostiene uno dei critici della Rete più alla moda sui social network, il giovane bielorusso Evgeny Morozov, la velocità e l’efficacia dei nuovi media digitali ci ha fatto dimenticare le conseguenze politiche ed economiche che questi mezzi portano con sé.
Il lavoro di Ardvisson e Delfanti ci costringe a pensare invece a queste conseguenze in un’ottica non binaria, non in bianco o nero. La visione dei media digitali che esce da questo libro va più intesa in termini di affordances, le proprietà specifiche dei media che orientano l’interazione. Ad esempio Twitter è un sistema di microblogging che permette di fare certe cose (un testo in 140 caratteri) ma non altre. Gli inventori lo avevano pensato per altri fini ma poi gli utenti hanno inventato gli hashtag e le Twitter Fiction.
Questo concetto della tecnologia come affordance viene dall’interaction design (Norman, 1988; Gaver 1991) ed è capace di tenere conto degli usi sociali dei media, come sostiene lo stesso Gaver: “L’affordance di un oggetto, come ad esempio un otto per scalare, si riferisce sia all’oggetto che all’attore. Questo lo rende un concetto molto potente per capire le tecnologie perché si concentra sulle interazioni possibili tra le tecnologie e le persone che le useranno” (Gaver 1991: 80). Questo modo di vedere i media va oltre la visione novecentesca e benjaminiana dei media come apparatur, capaci di “dare forma, organizzare e mutare la percezione umana” (Pinotti, Somaini 2012). I media sono sì apparatur che danno una forma diversa alla percezione umana a seconda delle loro proprietà, ma sono a loro volta agiti dagli individui e situati socialmente e possono essere virati verso un uso liberatorio alla Stallman oppure verso la censura, il controllo e la propaganda tanto cari a Morozov.
Se bisogna riconoscere invece un limite al libro, penso sia il caso di sottolineare lo sguardo a volo d’uccello sui molti temi affrontati, la velocità dello sguardo che passa sopra alla mappa della mediasfera digitale contemporanea senza soffermarsi su nessuna delle parole chiave per più di due-tre pagine. Ma è una critica che non tiene conto della natura didascalica del libro, che vuole essere appunto un glossario per orientarsi tra le pieghe della socialità e dell’economia digitale, per poi cercare da soli gli approfondimenti necessari.
Qui troverete una sintesi ragionata di quasi tutto ciò che c’è da sapere sui media digitali. Per tutto il resto c’è Google Scholar.
http://www.mulino.it/edizioni/volumi/scheda_volume.php?vista=scheda&ISBNART=24173