Il seguente brano è un estratto del volume “Making Kin, Fare parentele, non popolazioni” a cura di Adele Clarke e Donna Haraway, selezionato dalle traduttrici e curatrici dell’edizione italiana Angela Balzano, Antonia Anna Ferrante e Federica Timeto, pubblicato da Derive Approdi (2022).
Nel contesto di cui parla Murphy (2013, 2017) della «economizzazione della vita», all’inizio del XIX secolo è emersa la problematica di un nuovo immaginario della «popolazione». In seguito, questo è confluito nella teoria economica della metà del XX secolo attraverso l’uso, dopo la Seconda guerra mondiale, di politiche di «controllo della popolazione» quali strumenti chiave dello sviluppo economico. In breve, gli scopi malthusiani, dell’eugenetica razziale e delle differenze razziali fra i popoli, ben evidenti nel XIX secolo, sono stati riformulati più sottilmente a metà del XX come obiettivi nazionali selettivi per generare prosperità economica attraverso «aggiustamenti» calibrati della popolazione. Questi dovevano/devo- no ancora essere raggiunti in gran parte attraverso politiche nazionali di controllo della popolazione, strategie, programmi e tecnologie essi stessi inscritti specialmente su, e dentro, i corpi delle donne, anche imponendoli. In altri studi femministi, come per esempio quello di Ginsberg e Rapp (1995), l’economizzazione della vita colloca ancora una volta la riproduzione al cuore della teoria sociale, economica e politica.
Con Murphy (2013, pp. 142-143; 2017) notiamo come, a questo livello di concettualizzazione, i viventi umani scompaiono dalla scena, rendendo la «popolazione» un oggetto sperimentale in sé (un topo da laboratorio, un porcellino d’india) che ha bi- sogno di essere gestito. È per contrastare questa «oggettificazione» disumanizzante della «popolazione» e del controllo della popolazione che bisogna comprendere le specificità dell’attivismo riproduttivo e ambientale e della ricerca fem- ministi. L’economizzazione della vita è un vivido esempio di «una scienza “sociale” che enfatizza la “previsione” e il “con- trollo” [che] usa troppo facilmente il velo dell’“oggettività” per nascondere un impulso disumanizzante» (Yanow e Schwar- tz-Shea, 2006, p. 388). Oppure, come ha sostenuto Amade M’charek (2013, p. 436), «la fattualità dei fatti dipende dalla capacità di disconnetterli dalle pratiche che hanno contribuito a produrli».
Murphy ha ulteriormente argomentato in questo modo: [La nozione di] popolazione ha ridato valore alla logica temporale del moderno e dell’arretrato, fornendo un alibi economico, e rinnova- to slancio, alle vecchie gerarchie evoluzionistiche del valore umano […] lo spreco umano, il surplus umano, la vita improduttiva, e la vita in un sovrappiù di valore economico […]. La fertilità è stato un tema centrale […]. Dunque, le misure della vita economizzata pos- sono fare da supporto a progetti violenti, coercitivi e razzisti ma anche favorire progetti su base volontaria o femministi (Murphy, 2013, pp. 143-144, 148, enfasi aggiunta).
Le logiche e i mezzi per misurare l’economizzazione della vita continuano a essere vivi nelle teorie e nelle pratiche tra le discipline, comprese le scienze sociali e naturali. Non è neppure un caso che la cornice dell’economia della vita sia stata rielaborata dopo la Seconda guerra mondiale, nel momento storico in cui molte ex-colonie sono diventate stati nazionali apparentemente autonomi. All’interno dell’economizzazione della vita, diventavano possibili nuove forme di governance neocoloniale promosse dagli stati nazionali più potenti, tipicamente concettualizzate in termini di «sviluppo».
Insieme, le «ecologie-mondo» del Capitalocene e del Piantagionocene e le pratiche profondamente interconnesse dell’«economizzazione della vita», spinte ancora oltre dalla «Grande accelerazione», hanno allestito la scena del nostro presente. Specialmente per molte persone del Sud del mondo e delle aree più povere del Nord, si tratta di condizioni ormai sistemiche e croniche. Oggi la natura universale del riscalda- mento globale e il Capitalocene ripartiscono i danni in modi meno differenziati, anche nel Nord del mondo.

‘Make Kin Not Babies!’ – A Practice, 2017
Marek Susdorf*, Poland/the Netherlands/Italy/Spain
exhibitat/compostition/agglomerart/artanglement/artelation

‘Make Kin Not Babies!’ – A Practice, 2017
Marek Susdorf*, Poland/the Netherlands/Italy/Spain
exhibitat/compostition/agglomerart/artanglement/artelation
Cosa c’è da fare? Compiendo una importante svolta nella direzione non di un futuro edenico di fantasia ma prestando attenzione ai possibili modi alternativi di vivere e di stare su questo pianeta – anche quelli femministi –, Haraway (2019) elabora la nozione di «Chthulucene» per riferirsi all’epoca corrente. Lo Chthulucene è «un tempo-spazio per imparare a stare nel trouble del vivere e del morire su una Terra danneggiata in modo respons-abile». Lo Chthulucene di Haraway presta piena attenzione e cura al qui e ora delle intricate reti del vivere e dell’essere multispecie. Si chiede come coinvolge- re nel modo più ampio possibile le varie capacità di rendere conto, specialmente attraverso la generazione, il manteni-mento e la valorizzazione di parentele e altre forme di recipro- cità che vanno ben oltre la biogenetica (pp. 19-20). Invece di ab- bandonare ogni speranza e lasciarsi andare ad affermazioni dal sapore spesso maschilista che credono sia «troppo tardi per il pianeta Terra», lo Chthulucene (pp. 80 ss.) rappresenta il tentativo di assumersi la responsabilità, di intraprendere strategie trans-specie per «stare nel trouble» che noi umani abbiamo creato. Consiste nel coniugare alla vita nel suo svolgersi adesso modi femministi di prendersi cura per e di un pianeta che ha un grande bisogno di attenzione (e di cui Haraway discute in dettaglio nel suo capitolo).
Lo Chthulucene di Haraway è una risposta, un percorso – tra le molte alternative emergenti discusse in questo libro – verso modi più etici che non prendano avvio dalle premesse del Capitalocene, del Piantagionocene e dell’economizzazione della vita. L’obiettivo diventa piuttosto quello di assumersi una responsabilità più profonda per il degrado ambientale e le estinzioni di massa, e lottare per generare e dare valore a parentele eterogenee in vista di una giustizia riproduttiva multispecie.
Scheda di “Making Kin. Fare parentele, non popolazioni”
Assemblaggi e affinità per alleanze multispecie
Con l’aumento della pressione umana sul pianeta e la diffusione di una maggiore coscienza ecologica, è con rinnovato interesse che scienze, economia e politica formulano vecchi e nuovi interrogativi inerenti famiglie e parentele. Dai programmi governativi progettati per contrastare il calo dei tassi di natalità in Europa e Asia orientale, passando per le controverse politiche di contenimento della popolazione nei paesi in cui i tassi di natalità rimangono elevati, fino all’aumento delle disuguaglianze di reddito a livello transnazionale, le questioni relative alla riproduzione sono foriere di nuovi e complessi dilemmi etici e politici. Making Kin. Fare parentele, non popolazioni prende parola sul tema con saggi di eminenti studiose femministe antirazziste ed ecologiste. Da prospettive molteplici, questi contributi indagano con coraggio materie complesse quali nuove pratiche di intimità e parentela, giustizia riproduttiva, giustizia ambientale e multispecie.