Secondo alcuni scienziati la parola “virus” non indica un essere vivente, ma una “informazione” contenuta nel DNA/RNA con un diverso allineamento in qualche punto del genoma. Il virus si intrufola nell’organismo e sfruttandone cicli vitali e nutrimento lo infetta, ne modifica la morfologia cellulare riuscendo a volte a innescare modificazioni nella matrice informativa dell’ospite, rappresentata dal DNA. Da alcuni anni il macro organismo pubblicitario internazionale soffre di una singolare infezione virale che lentamente lotta al suo interno per mutarne morfogenesi e meccanismi riproduttivi: il cultural jamming.
I cultural jammers, sabotatori culturali, sono gruppi di pubblicitari, creativi e professionisti della comunicazione che, approfittando dell’assuefazione degli individui/consumatori alla pubblicità, inoculano nelle menti spot televisivi, pseudo-eventi, affiche, stickering, fake site, subdoli virus che replicandosi tra le menti provocano cortocircuiti semantici e deragliamenti del contenuto pubblicitario dalla retta via del produci-consuma-crepa.
Nel 2003 nasce in Italia Guerrigliamarketing.it, agenzia pubblicitaria che utilizza tecniche di comunicazione non convenzionali, come la creazione di eventi fittizi o campagne al limite della legalità, attraverso le quali “fottere il mercato per entrarci”, insinuarsi nel sistema mediatico e spiazzarne gli automatismi comunicativi. Tra le campagne dei guerriglieri: Rottama il Brand, che promuove lo stanziamento di incentivi statali per le aziende che decidono di rottamare le proprie obsolete strategie di marketing; Shock and Hoax, rete di azioni di marketing urbano sul territorio nazionale durante le quali aree di diverse città italiane sono state transennate con inquietanti annunci di “Limite invalicabile” ed “Esercitazioni Militari” per provocare nella tranquillità delle nostre vite occidentali un piccolo shock e un lampo di pensiero alla guerra in Medio Oriente; la creazione delle t-shirt Spazio Disponibile per far riflettere sulla promozione non retribuita del brand attraverso gli abiti che indossiamo; il sito di Espropriproletari che promuove ironicamente le azioni di esproprio nei confronti delle aziende come tattica per ottenere una repentina drizzata di antenne dei media, ergo pubblcità a costo zero.
Abbiamo avuto l’occasione di incontrare e scambiare quattro chiacchiere con Andrea Natella, fondatore e portavoce del progetto Guerrillamarketing.it; questo è quello che ne è venuto fuori…
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Claudia D’Alonzo: Come nasce Guerrigliamarketing.it: da chi è formato e dopo quali esperienze siete giunti a questo progetto?
Andrea Natella: Guerrigliamarketing.it nasce come una scommessa. E’ possibile immaginare delle modalità di intervento radicale sull’universo della marca presentandosi contemporaneamente come un’agenzia pubblicitaria? E’ possibile per dei professionisti della comunicazione non rinunciare alle proprie idee politiche nello svolgere il proprio lavoro? Tuttora Guerrigiamarketing.it è una scommessa che fa i conti con esigenze di reddito e il bisogno di non tradire questa progettualità.
I nostri background sono molto diversi. Personalmente provengo dalle esperienze della telematica alternativa, dal Luther Blissett project e da un altro strano esperimento che si chiamava Men In Red, un falso collettivo di Ufologia Radicale. Gli altri componenti del gruppo hanno una provenienza dal mondo della militanza politica, dell’arte, del fumetto etc. Abbiamo sempre affiancato queste passioni con lavori mediamente noiosi, nella migliore delle ipotesi poco interessanti. Con guerrigliamarketing.it stiamo provando a uscire da una schizofrenia. Oggettivamente però siamo dei lavoratori precari.
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Claudia D’Alonzo: Quali sono tecniche di guerriglia che preferite utilizzare?
Andrea Natella: Non c’è una tecnica preferita. Ogni volta dipende dall’idea che deve essere comunicata. Ci divertiamo di più quando giochiamo con il falso, inventiamo una storia improbabile e i mass-media abboccano.
Claudia D’Alonzo:Ho notato che rispetto ad organizzazioni storiche del cultural jamming, come Adbusters, non fate uso dello spot televisivo. Mi spieghi le motivazioni di questa scelta? Come pensi stia cambiando la scena del culture jamming in relazione appunto alla scelta dei media nei quali iniettare la comunicazione virale?
Andrea Natella: Veramente all’inzio abbiamo realizzato un falso spot per la Esso. C’è una coppietta che torna in auto da una festa, si fermano a un distributore e fanno benzina. Vediamo però che la benzina finisce in una bottiglia invece che nel serbatoio. Un istante dopo vediamo lui trasformarsi in blackbloc e lanciare bottiglie incendiarie. Poi arriva lo slogan: “Esso good for war, better for guerrilla”. Era un tentativo di riposizionare il marchio Esso durante la guerra in Iraq a fronte dei boicottaggi che venivano dal fronte no global.
Però è vero non realizziamo molti video. Questo perché cerchiamo di mantenere un profilo elevato e, nonostante l’abbattimento dei costi tecnici, realizzare un video di livello “pubblicitario” resta costoso dal punto di vista produttivo.
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Claudia D’Alonzo:Vorrei parlare della nascita del cultural jamming in Italia. Quali sono le radici di questo fenomeno e quali influenze ne hanno caratterizzato lo sviluppo?
Andrea Natella: Possiamo dire che il cultural jamming è sempre esistito. In un certo senso anche i futuristi facevano cultural jamming. Più correttamente identificherei gli indiani metropolitani e l’esperienza della rivista Il Male come più diretti precursori del cj odierno. Penso che il vero impulso sia però venuto dall’esperienza del cyberpunk che ha rappresentato una nuova occasione di presa di parola dentro il mainstream mediatico.
Claudia D’Alonzo:Parlando di psicogeomarcketing, ci sono delle differenze generali tra le strategie di guerriglia attuabili in Italia rispetto a quelle messe in pratica in altri paesi, ad esempio rispetto agli Stati Uniti?
Andrea Natella: Ci sono più che altro delle eredità diverse. Il Cj europeo resta tendenzialmente più politico. C’è sempre una riflessione più profonda di quanto viene espresso negli Stati Uniti. Direi che nonostante l’etichetta sia americana il cj europeo è più maturo, non è interessato semplicemente a sollevare una problematica e cerca ogni volta di dare una chiave di lettura aperta ma comunque complessa. Mi pare che il cj americano tenda alla massima semplificazione, questo in qualche modo facilità il risultato ma talvolta depotenzia i contenuti: è più facilmente inscatolabile.
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Claudia D’Alonzo:Tra le tecniche di comunicazione utilizzate, quanto è mutuato dalle tattiche del marketing commerciale e quanto dalla controcultura, dalla street culture, come ad esempio lo stickering, il passaparola orizzontale delle mailing-list
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Andrea Natella: L’innovazione nasce sempre dal conflitto. Se non c’è conflitto non c’è sviluppo. Per questo la strada è il territorio dove si consuma l’innovazione. Il marketing è sempre subalterno dal punto di vista dell’innovazione, altrimenti non si spiegherebbe la necessità di assoldare i cool hunter, veri e proprio crumiri dell’innovazione stilistica. Quello che cerchiamo di fare noi è aumentare la consapevolezza che il vero valore viene prodotto proprio dai consumatori. Il marketing ha esclusivamente la capacità manageriale di mettere a valore questa innovazione. Il vero problema è che la street culture è il vero reparto ricerca e sviluppo del capitalismo post-fordista. Un reparto a cui però non è riconosciuta alcuna contropartita economica.
Claudia D’Alonzo:Siete un’ agenzia pubblicitaria e come tale realizzate compagne su commissione. Vi ponete dei limiti etici rispetto ai lavori da accettare?
Andrea Natella: Non faremo mai pubblicità ad aziende che producono armi, pellicce o a forze militari o di polizia. Detto questo il nostro limite etico è empirico. Riusciamo a dire qualcosa di interessante con una campagna? Se si accettiamo l’incarico, altrimenti cerchiamo di rifiutarlo.
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Claudia D’Alonzo:Parliamo di Espropriproletari. Com’è nata e qual è il concept di questa campagna? E’ un tipo di azione “storica” dei movimenti antagonisti; attraverso quali strategie comunicative l’avete reinventata?
Andrea Natella: Espropriprolatari nasce da una constatazione. Subire un esproprio nella società dello spettacolo è oggettivamente un vantaggio per chi lo subisce. Oggettivamente sarebbe un vantaggio anche per chi lo realizza se non intervenissero questioni di tipo legale. Ci siamo interrogati su questo labile confine giuridico, come la questione della legalità possa contemporaneamente trasformare in valore un azione illegale e un azione che crea valore in qualcosa di illegale.
Claudia D’Alonzo:Sicuramente vi aspettavate il polverone di polemiche che si è sollevato nell’opinione pubblica in seguito ad alcuni espropri proletari, ma non pensate che per azioni di questo genere possa esistere il rischio di non raggiungere realmente le persone, di non riuscire a comunicare il messaggio che si intende diffondere, ma provocare al contrario una chiusura nell’italiano medio subito pronto ad etichettare?
Andrea Natella: Quando il corriere della sera titola: “Offriamo un esproprio, vale più di uno spot” si crea un corto circuito comunicativo. Con questa operazione ci siamo esposti come agenzia pubblicitaria. Abbiamo fatto pensare che per vendere un’azienda è disposta a tutto, anche all’illegalità. Abbiamo provato a confondere dei confini. Dopo di che non è sempre necessario che la decodifica sia lineare. Quando guardiamo un opera di Duchamp non stiamo a cercare un significato univoco. Le opere d’arte aprono dei mondi e questo è uno degli aspetti delle cose che vogliamo fare, senza necessariamente essere confinati nel mondo dell’arte.
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Claudia D’Alonzo:Pensate che le tecniche di guerriglia rischino di essere a volte rissorbite dalla pubblicità commerciale? Penso ad esempio al Diesel Wall, ai campionati di calcio sui tetti della Nike si corre a tuo avviso il rischio di essere nuovamente fregati dal mercato?
Andrea Natella: C’è una questione che qualsiasi culture jammer dovrebbe porsi quando pensa un’azione: è abbastanza eversiva, radicale, innovativa? Lo sarebbe anche se fosse “sponsorizzata”? Se la risposta a questa seconda domanda è no, allora probabilmente è negativa anche la risposta alla prima domanda. Se un’azione è abbastanza radicale lo sarebbe anche se avesse uno sponsor. Per questa ragione le azioni veramente radicali difficilmente trovano degli sponsor.