In un mondo sempre più intrappolato negli imbrogli mediatici, dove i conflitti si consumano silenziosamente e assumono formati che li rendono meno riconoscibili, tocca ancora una volta agli artisti portare alla luce i retroscena, risvegliare le coscienze, ispirare alla ribellione e alla rivendicazione dei propri diritti.

In un panorama in cui le disparità si nascondono dietro nuovi miti che vendono false illusioni e legittimano la menzogna rendendola l’unico modo di ritrovare un’identità e una possibilità di riscatto, in uno scenario dove l’economia del potere fagocita l’informazione e l’intrattenimento trasformandoli in meccanismi di manipolazione, negli ingranaggi dell’enorme macchina di un’industria cui, per addolcire la pillola, si affianca l’improbabile aggettivo “culturale”, il festival The Influencers, appuntamento annuale al CCCB (Centro di Cultura Contemporanea di Barcellona) giunto alla settima edizione, è sempre una boccata d’aria fresca.

Gli sforzi di Bani Brusadin e di Eva e Franco Mattes, direttori del festival, questa volta sono stati ancora più encomiabili, dato che la cosiddetta crisi sta castigando in particolar modo quegli ambiti indispensabili per l’esistenza e l’evoluzione umana che sono l’arte e la cultura.

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Il festival, che in questa settima edizione si è svolto dal 14 al 16 di aprile, è molto amato dai suoi organizzatori, dai suoi ospiti e dal suo pubblico, perché è divertente e intelligente, sovversivo e collettivo, invita alla socializzazione e alla riflessione. Raccontare di cosa si tratta può sembrare retorico, dato che è un evento che mantiene da anni un’impeccabile coerenza e che è tanto conosciuto da attirare nella capitale catalana un folto pubblico internazionale.

Ma se qualcuno dei nostri lettori non è ancora stato catturato dal suo fascino, vale la pena spiegare che si tratta di un evento atipico e visionario che dura tre giorni, nel corso dei quali si propongono dibattiti con artisti non convenzionali, guerriglieri della comunicazione, attivisti ed eroi contemporanei, che si muovono in territori ibridi di difficile catalogazione, oltre a laboratori e ad attività parallele che si traducono in interventi partecipativi in spazi pubblici.

Il particolare carattere di apertura che contraddistingue The Influencers è rivelato non solo dalla natura dei suoi contenuti, ma anche dai dettagli formali con cui è strutturato: dal fatto di essere completamente gratuito, all’annullamento della distanza tra il pubblico e gli artisti, che parlano a pochi passi dalla platea senza presentarsi auraticamente su un palcoscenico e che si fondono con i partecipanti durante le azioni urbane. Il festival inoltre dispone di una pagina Facebook totalmente aperta al dialogo con i fan e con i lettori (http://www.facebook.com/The.Influencers.festival) e al termine di ogni edizione pubblica sul suo sito web (http://www.theinfluencers.org/) i video completi delle conferenze e delle attività.

Si tratta di un evento molto flessibile anche per quanto riguarda le proposte: a differenza di altri festival, che si propongono annualmente un tema, The Influencers accoglie qualunque tipo di pratica creativa che sia insolita, radicale e visionaria; che proponga un recupero del significato di collettività e di libertà; che trasmetta idee e racconti storie; che analizzi le intersezioni tra cultura, arte, politica, comunicazione e dimensione sociale, tra locale e globale, tra virtuale e reale; che sia allo stesso tempo sensoriale e intellettuale, ludica ed educativa; che sia soprattutto ben lungi dal rimanere una mera ideologia, ma che si concretizzi in azioni tese a svelare verità scomode e inganni mondiali. Può sembrare un ambito esteso e sfocato, ma a pensarci bene se tutta la produzione artistica e culturale sconfinasse in questo territorio probabilmente vivremmo in un mondo completamente diverso.

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L’ospite certamente più intenso di The Influencers 2011 è stato Waffaa Bilal (http://wafaabilal.com/). Artista iracheno residente a New York, è noto soprattutto per le sue perfomance, profondamente politiche, che riflettono sulla guerra tecnologica e sulla distanza fisica ed emozionale che separa i carnefici dalle loro vittime. Lo strumento che Wafaa utilizza maggiormente nei suoi lavori è il suo stesso corpo, che sottopone alle torture inflittegli dalla gente via Internet, come nel caso di Domestic Tension e di Dog or Iraqui, o che modifica con eloquenti tatuaggi (…and Counting) e con operazioni chirurgiche volte a installarvi protesi tecnologiche (3rdi).

Un’azione sul sé più effimera e ironica, rivolta all’onnipresenza nelle nostre vite delle reti sociali, è quella della ormai molto nota Web 2.0 Suicide Machine che ha presentato Godan Savicic (http://www.yugo.at/, http://suicidemachine.org/): una soluzione per l’esistenza eterna cui ci costringono le reti sociali, che si impossessano dei nostri dati, non ci permettono di eliminare i nostri account, al massimo di sospenderli, che non è la stessa cosa!, e ci allontano dagli affetti reali nonostante ci promettano di migliorare i nostri contatti con le persone della nostra vita. La dimostrazione di quanto questi strumenti siano esattamente l’antitesi della libertà sono le conseguenze legali che ha subito Suicide Machine delle per aver violato delle clausole del contratto di Facebook.

La riflessione sull’identità e, in particolare sul ruolo dei nomi delle cose e delle persone, è la chiave del lavoro di Janez Janša (http://www.aksioma.org/jj/), uno dei tre artisti che già da alcuni anni hanno ironicamente abbracciato lo slogan dell’ex primo ministro conservatore sloveno “Più siamo, più rapidamente raggiungeremo i nostri obiettivi”: approfittando della facilità con cui è possibile farlo in Slovenia, ne hanno assunto il nome, facendo dei loro documenti dei materiali da esposizione e osservando gli effetti di questo gesto, particolarmente evidenti nei mass media.

Questi ultimisono le principali vittime delle azioni di Chris Atkins. Chris è lo sceneggiatore e il direttore di Starsuckers (http://www.starsuckersmovie.com/), un documentario controverso del 2009 che spiega come i media ci manipolano e traggono il loro profitto facendo leva su istinti umani innati, che, ormai obsoleti, oggi si traducono nell’ossessione per la fama. Nel film, Chris e il suo team dimostrano quali siano i criteri in base ai quali i giornali, le riviste e la televisione decidono di pubblicare le loro notizie infiltrando loro stessi delle storie completamente inventate nei principali tabloid inglesi.

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Altra ospite dell’edizione di quest’anno è stata Cat Mazza (http://www.microrevolt.org/), un’artista cyberfemminista che lavora con i pixel e soprattutto con i ferri da maglia per denunciare lo sfruttamento dei lavoratori, e in particolare delle donne, nelle fabbriche. Oltre alla presentazione del suo lavoro, in collaborazione con il Centro de Cultivos Contemporáneos del Barrio (http://opensourcepants.wordpress.com/) e Duduá (http://duduadudua.blogspot.com/) ha tenuto un laboratorio aperto per insegnare ai partecipanti a creare knit-graffiti e ha organizzato un’azione collettiva nel corso della quale si è offerta agli abitanti del Poble Sec l’opportunità di far sentire la loro voce scrivendo delle parole sui marciapiedi e nelle piazze del quartiere.

Gli spazi pubblici sono gli scenari preferiti anche da Jeff Stark (http://jeffstark.org/), autore di azioni underground ambientate a New York: opere di teatro che hanno luogo in metropolitana, interventi in strada, giochi collettivi in spazi urbani insoliti, drive-in improvvisati con auto destinate alla demolizione e specialmente cene segrete in pittoreschi luoghi abbandonati, occupati illegalmente per l’occasione. Nel corso del festival, Jeff ha organizzato una cena segreta a Barcellona, con tutte le carte in regola: invitati eleganti, svariate performance e picnic. Peccato che la polizia abbia sorpreso i partecipanti giusto nell’atto di irrompere nel luogo prescelto e che alla fine la cena abbia avuto luogo in una location molto meno suggestiva.

Se l’eroe è colui che compie da solo le imprese di molti, è un coraggioso che si mette al servizio del bene comune sacrificando se stesso e ponendo in secondo piano la propria sicurezza e i propri interessi, non c’è ombra di dubbio che gli invitati del festival rientrino tutti in questa categoria. Ma The Influencers 2011 ha visto tra i suoi ospiti un supereroe in carne e ossa, con tanto di maschera e mantello: Superbarrio (http://es.wikipedia.org/wiki/Superbarrio).

Personaggio mediatico e politico messicano diventato famoso dopo il terremoto del 1985, ha assunto un ruolo non solo simbolico ma anche molto attivo: con la sua organizzazione Asamblea de Barrios (assemblea dei quartieri), ha dato voce ai problemi dei cittadini, ha lottato a favore del diritto alla casa, ha sfidato sul ring i politici e ha ispirato movimenti popolari in tutto il Sud America. Per concludere la sua presentazione (l’ultimo appuntamento del festival), il supereroe ha regalato maschere da lottatori di wrestling a tutti gli altri invitati e ai direttori del festival.

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Nell’ambito di The Influencers, quest’anno è stato organizzato anche uno speedshow (http://speedshow.net/), che è stato curato da Domenico Quaranta (http://domenicoquaranta.com/), critico e curatore e autore storico di Digicult, e che si è svolto in un cybercafé del quartiere del Born. Gli speedshow sono mostre open-source di breve durata nate da un’idea di Aram Bartholl, membro di Free Art & Technologies (http://fffff.at/), e di cui sono già state realizzate diverse edizioni, a Berlino, Vienna, Amsterdam e New York.

L’obiettivo è affittare tutti i computer di un cybercafé durante poche ore e metterli a disposizione della gente perché su ognuno si possa vedere un’opera di pop.net.art, un termine coniato dallo stesso Aram che estende e porta nella contemporaneità il concetto di net.art. Si tratta di un evento di carattere sociale, volto a portare l’arte in uno spazio di uso pubblico non esattamente pensato per lo scopo e decisamente contrario all’asetticità che caratterizza normalmente gli spazi espositivi.

Per questo, usare i computer per motivi personali, come controllarsi la posta, non solo non è proibito, ma è addirittura un invito esplicito nella descrizione dell’evento. Durante lo speedshow di Barcellona, però, la gente si soffermava sulle opere proposte con interesse e attenzione: probabilmente, nell’era dell’ADSL e dei dispositivi mobili perennemente collegati a Internet, si considera più importante approfittare di un’occasione per navigare tra gli infiniti e caotici contenuti della Rete in una forma filtrata e guidata che scroccare qualche minuto di connessione in una situazione tutt’altro che intima.


http://www.theinfluencers.org/

http://www.facebook.com/The.Influencers.festival