Dal 2 al 7 novembre scorso si è svolta a Torino la sesta edizione dello Share festival. Un evento che negli anni si è dimostrato sempre ricco di spunti e di riflessioni sulle tematiche più attuali della media art e delle culture digitali.

Se pochi anni fa questi settori erano considerati una nicchia del panorama artistico e culturale contemporaneo, non si può più considerarli come tali, oggi. La consapevolezza che la tecnologia e i media pervadono tutti gli aspetti della nostra quotidianità è evidente anche nel sottotitolo che il direttore artistico, Simona Lodi, ha scelto per questo evento: “art and culture in digital age”.

Non si parla più di aree specifiche dell’arte ma piuttosto di cosa significa fare arte e cultura nell’epoca digitale. L’approccio che contraddistingue questo festival è sempre stato quello di analisi e critica dei mezzi tecnologici che quest’anno ha visto mostre, conferenze, workshop e performance dedicate al tema Smart mistakes.

L’imprevedibilità nell’utilizzo dei media attraverso un uso non predefinito e la deviazione di questi strumenti rispetto al paradigma dominante è stata approfondita in tre diversi rami: gli errori tecnologici e mediatici, gli errori biologici e le scoperte inaspettate. Questo è stato anche il tema portante della mostra dei sei finalisti del concorso, ospitata al secondo piano del Museo Regionale di Scienze Naturali. L’articolazione di un tema così complesso non poteva che essere ampia. Per questo motivo le opere selezionate hanno indagato approcci alla tecnologia molto diversi tra loro in base al percorso di ricerca che contraddistingue ogni artista.

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L’opera Luzes RelacionaIs di Ernesto Klar, che la giuria composta da Jurij Krapan, Andy Cameron, Fulvio Granaria e Bruce Sterling ha scelto come vincitrice, è parte di un percorso di ricerca che l’autore svolge da anni su luce, spazio e suono. L’installazione interattiva usa suono, foschia e un software che permettono allo spettatore di diventare agente attivo nella modifica dello spazio-luce. L’effetto di primo smarrimento nel processo di interazione lascia il posto alla curiosità nell’indagare le diverse possibilità fornite dal morphing di fasci di luce geometrici. Un opera che può definirsi impeccabile dal punto di vista formale e che evidenzia una cura particolare del design.

Altrettanto interessante è l’opera Oh!M1GAS di Kuai Auson, che ha ricevuto una menzione d’onore. Un lavoro di stridulazione biomimetica che si basa su un output audiovisivo prodotto da una colonia di formiche sottoposta a sorveglianza visiva e sonora. Le azioni compiute e i suoni emessi dalle formiche mettono in movimento due giradischi producendo suoni simili a quello dello scratch. La colonia di formiche è stata analizzata dall’autore come una macchina autopoietica in grado di risolvere dal basso diverse problematiche tramite una serie di interazioni e relazioni sonore tra gli insetti. La relazione con la tecnologia crea una similitudine tra il suono prodotto dai giradischi e i suoni emessi dagli insetti di questa colonia che servono come strumento di organizzazione sociale.

Un diverso tipo di analisi sul suono era quella proposta dal lavoro Dc12v del gruppo Teatrino Elettrico. Nella performance i suoni erano generati utilizzando soltanto strumenti analogici, registrazioni di movimenti e campi elettromagnetici creati da macchine di uso comune. Il tavolo diventava la scena dell’azione in cui l’elettricità costituiva il motore ed ogni gesto o suono minuscolo veniva amplificato, moltiplicato e commentato dalle proiezioni in presa diretta delle azioni. Gli stessi autori lo definisco come “una tragedia da scrivania in atto unico per macchine semoventi”.

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Da macchine autopietiche biologiche sino a sperimentazioni sinestetiche si poteva poi spaziare alle potenzialità creative date dalla rete con l’opera L’uomo con la macchina da presa di Perry Bard. Un lavoro che si propone come un video partecipativo girato da persone di tutte di mondo invitate a reinterpretare la sceneggiatura di Vertov. L’opera indaga le possibilità offerte dalla rete di creare un film che sia documentazione delle differenze della attività quotidiane. Gli utenti possono uplodare sul sito dell’artista i filmati realizzati attraverso webcam, cellulari o videocamere. Un software appositamente progettato, monta e riproduce in sequenza i diversi spezzoni, creando contrapposizioni inaspettate date dalla partecipazioni di agenti culturalmente differenti sparsi per tutto il mondo.

I processi cogniti e di rappresentazione politica e sociale del se nell’epoca digitale è stato indagato da un’altra delle sei opere selezionate, la performance Macghille_just a void del gruppo Knowbotic research. Nella performance gli autori hanno utilizzato un travestimento mimetico chiamato Ghille Suit inventato per la caccia e utilizzato in guerra a partire dalla seconda guerra mondiale. L’azione, che si è svolta in un contesto urbano, mette in evidenza come il travestimento, che in questo caso può definirsi tecnologico, ponga il soggetto in una situazione in bilico tra il totale anonimato e la esuberante presenza data dalla maschera.

La sesta opera selezionata As an artist, i need to rest è di Sonia Cillari. Il percorso di ricerca di quest’artista è notevole, e a mio parere quest’ultima opera esprime appieno tutti gli elementi della sua ricerca. Si tratta di una performance che mette in gioco il corpo dell’artista in relazione alla produzione digitale e alla tecnologia. Nella performance l’artista giace a terra e respira attraverso un tubo collegato ad un grande schermo. La variazione del suo respiro produce degli elementi digitali simili a piume, sei modelli digitali che vanno dall’accumulazione alla resistenza. L’intero sistema inoltre registra i livelli di anidride carbonica nel respiro modificando il colore degli elementi a schermo. Con l’andare del video si percepisce la fatica nel respiro dell’artista e la tensione tra il controllo sulla creazione digitale e il controllo sul corpo in un continuo feedback tra macchina e singolarità incarnata.

L’insieme di queste opere rende l’eterogeneità degli effetti che l’uso della tecnologia può avere anche nella vita quotidiana ma allo stesso tempo rivela lo scarto creativo insito nell’elemento imprevisto dato da un approccio personale e non determinato dal discorso digitale dominate. Il resto della mostra prevedeva una selezione di opere che seguivano questa cornice curatoriale. Diversi lavori di artisti contemporanei che hanno fatto dell’errore e dell’imprevisto un elemento di ricerca e di attivismo.

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Tra i tanti nomi si possono ricordare Mark Tribe, Jodi, Eva e Franco Mattes, Alterazioni Video, Ant Scott, Cory Arcangel e i Les Liens Invisibles. Questi ultimi sono stati i protagonisti di un evento ludico-performativo R.I.O.T. / Reality Is Out There che ha guidato i partecipanti in una esperienza di turismo paradossale. Già precdentemente con il lavoro Google is not the map, il gruppo aveva sottolineato come Google Map fosse solo una rappresentazione del mondo tangibile che non ha niente a che vedere con esso. Allo stesso modo in R.I.O.T. ad essere preso di mira è la realtà aumentata, o meglio il mito che la realtà aumentata promette. Utilizzando il gps e un applicativo simile a quello delle guide contestuali istallate sugli smart phone gli artisti hanno realizzato delle sculture virtuali nei luoghi simbolo della città, invisibili ad occhio nudo e visualizzabili solo attraverso il telefonino.

Il collettivo si propone un processo inverso rispetto al passato quindi arrivano a sovvertire la mappa attraverso la manipolazione virtuale della realtà. Il titolo dell’azione cerca di esprimere il suo senso cioè mettere in luce i diversi processi di alienazione che pervadono la nostra vita quotidiana trasportando gli spettatori in infiniti modi possibili e bizzarri.

Una delle novità che hanno riguardato il festival quest’anno è stata la presenza di un Simposio sul tema Smart Mistakes in cui ricercatori e artisti hanno analizzato il valore dell’errore in ambiti molto diversi. Si sono indagate le relazioni tra arte, attivismo e affari, cioè quegli smart error che costituiscono una spaccatura nel tessuto sociale ed economico con la tavola rotonda Errori intelligenti o il solito business tentuta da Christian Ulrik Andersen, Tatiana Bazzichelli, Geoff Cox e i Les Leins Invisibles. Particolarmente interessante è stato l’approfondimento di Edoardo Boncinelli sugli errori genetici. Il programma è stato molto ricco e sarebbe difficile riassumerlo tutto. Si potrebbero citare solo alcuni dei nomi coinvolti come Antonio Caronia, Wu-Ming1, Siegfried Zielinsky, Bruce Stearling e Stelarc.

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Inoltre non sono mancate le performance musicali e video che hanno visto protagonisti quest’anno Eniac, Marko Batista e Giacomo Verde. L’insieme di spunti e riflessioni che il festival ha portato è stato davvero ampio al punto che ci si meraviglia che il direttore creativo e gli organizzatori, Chiara Garibaldi, Luca Barbeni e Luciana Corbo fossero riusciti a svolgerlo in tempi così brevi.

Tuttavia si era piacevolmente stupiti dal livello di qualità che si è riuscito ad ottenere nonostante le evidenti ristrettezze economiche che gli ambiti culturali stanno subendo in questi periodi per una politica che alla luce di questo sarebbe poco definire miope.


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