Nella vita di tutti i giorni capita spesso di sentire il nome Facebook utilizzato come sinonimo di Internet. Giornali, radio e televisioni diffondono curiosità, novità e difetti di questa piattaforma ha ormai assunto una posizione dominante nel mercato dei social networks. Non si tratta dell’ultima novità tecnologica ma di una modalità quotidiana di vivere la rete da parte di ormai cinquecentodieci milioni di utenti in tutto il mondo, con una rilevante prevalenza americana. Il servizio online CheckFacebook fornisce statistiche in tempo reale sul numero di utenti del momento, percentuale di uomini e donne, nazionalità e divisione per fasce di età che vanno dai 13 ai 65 anni.

L’attenzione dei giornalisti oggi è prevalentemente rivolta alle implicazioni economiche e politiche dell’utilizzo di questa piattaforma. Niente di nuovo, al contrario ci si trova spesso di fronte a considerazioni piuttosto banali e scontate, soprattutto per studiosi e artisti che da tempo hanno cercato di indagare e fare emergere le caratteristiche dell’utilizzo di questo strumento. Spesso però le ricerche di quest’ultimi sono rimaste chiuse in ambiti circoscritti che faticano a relazionarsi con il grande pubblico. Per questo nel mese di Agosto, desta ancora scalpore mediatico il fatto che in Germania si stia discutendo una nuova legge che vieta ai datori di lavoro di spiare i dipendenti su Facebook.

Tuttavia sembra interessante collegare la necessità di regolare legalmente le relazioni sociali all’interno di un social network con le analisi fatte da Danah Boyd in un saggio del 2006. Boyd circoscrive tre tipologie di spazio: pubblico, privato e controllato. La ricercatrice inglese analizzando l’utilizzo da parte degli adolescenti americani di mySpace individua una differenza di approccio rispetto agli adulti che risulta essere significativa nella definizione di questi spazi.

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Boyd afferma: “[..] per gli adulti la casa è la sfera privata in cui rilassarsi con la famiglia e gli amici. La sfera pubblica è il mondo condiviso con estranei e persone di ogni tipo in cui si deve esibire il proprio lato migliore. Per molti adulti il lavoro è uno spazio controllato in cui i capi dettano le regole e definiscono i comportamenti. la segmentazione degli spazi dei teenager è leggermente diversa. La maggior parte del loro spazio è controllato”.

I ragazzi così cercano di definire il proprio spazio privato negli interstizi degli spazi controllati come camere da letto con la porta chiusa in cui è possibile elaborare anche il proprio spazio pubblico attraverso la rete e i social network.
Rispetto ai mySpace di questi adolescenti Boyd scrive: “Il loro spazio pubblico è dove i pari si radunano in massa. È qui che la presentazione di sé conta davvero. Può essere visibile anche agli adulti, ma ciò che importa sono i pari […] le tecnologie digitali permettono ai giovani di (ri)creare un proprio spazio pubblico e privato rendendolo virtuale, mentre si trovano fisicamente in spazi controllati.

Così l’instant messaging serve come spazio privato, mentre mySpace fornisce una componente pubblica. I giovani possono insomma costruire online ambienti che favoriscono la socializzazione […] Molti giovani non prevedono le potenziali interazioni future. Senza uno stimolo è raro che i teenager scelgano di non aprire al pubblico il proprio mySpace, e di certo non lo fanno per paura di aggressori o futuri datori di lavoro. Vogliono essere visibili per gli altri ragazzi, non solo per le persone che hanno scelto come amici. Preferirebbero semplicemente che gli adulti se ne andassero. Tutti gli adulti: genitori insegnanti, uomini che fanno rabbrividire”.

Secondo questa analisi la differenza di approccio sembra essere una questione anagrafica: mentre gli adulti illusoriamente appaiono più consapevoli del loro spazio pubblico, esibito nella rete, lo stesso non vale per gli adolescenti.

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Tuttavia la scelta di un controllo legislativo delle informazioni pubblicate su Facebook, evidenzia come dietro l’intervento di uno Stato in difesa della privacy e della libertà degli adulti di pubblicare qualsiasi contenuto su loro stessi, si celi non solo l’interesse a mantenere attiva la partecipazione dei singoli utenti all’interno di queste piattaforme, ma anche una problematica connessa alla gestione quotidiana da parte di tutti degli spazi pubblici, privati e controllati nell’era di Internet.

Se pur utile questa distinzione tra spazi diversi, risulta più interessante la definizione che Boyd elabora per lo spazio pubblico virtuale degli adolescenti. Come per i ragazzi anche gli adulti sembrano non curarsi della presenza di datori di lavoro o aziende su Facebook. Avere la consapevolezza dei propri spazi sociali, però, risulta difficile perché essa è strettamente connessa con il valore simbolico che questa piattaforma attribuisce alle relazioni tra i diversi individui. Infatti è il significato che assumono le connessioni tra i soggetti a dover essere principale oggetto di interesse rispetto alla definizione di spazi pubblici, privati o controllati che costituisce invece un livello di responsabilità individuale successivo. Nel corso degli anni questo social network è divenuto il luogo in cui pari si radunano in massa: poco importa che ci siano soggetti in grado di esercitare un controllo su quello che si pubblica.

Si preferisce semplicemente pensare che questi soggetti non esistano. Ma il carattere così generico della parola amico in questo caso ha presto rivelato la sua inadeguatezza nel rappresentare la variabilità delle relazioni umane, sia nei rapporti uno ad uno, sia per quello che riguarda relazioni sociali più allargate come possono essere quelle tra datore di lavoro e dipendente.

Nel caso della Germania, lo Stato sta assumendo la responsabilità di tutelare una cosa che, forse, la consapevolezza individuale potrebbe evitare, ma non in modo così semplice. Questo processo di delega fa leva sull’idea di privacy necessaria per garantire la libertà di pubblicazione di qualsiasi contenuto. Naturalmente non è il concetto di privacy ad essere il problema, ma il fatto che esso sia declinato legandolo ad un processo di astrazione delle relazioni umane che porta ad un disinteresse degli utenti rispetto il significato simbolico di uno strumento, non solo della sua totalità ma anche e soprattutto delle sue singole parti, come può essere la semplice azione di aggiungere un altro utente alla propria lista di amici.

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Aziende come Facebook compiono quasi sempre un’operazione linguistica nel dare un nome ed un senso alle singole azioni compiute dagli utenti. Questo è quello che ha cercato di evidenziare Nicolas Frespech con Add to Friend, un lavoro concettuale del 2008 in cui l’autore isola dal contesto di Facebook il bottone che viene utilizzato per aggiungere amici al proprio profilo, allontanandolo, così, dalla presenza degli altri utenti per riportarlo ad una pura azione meccanica. Ogni volta che il pulsante viene cliccato dal visitatore della pagina il contatore di amicizie si aggiorna. La pagina bianca, quasi vuota può lasciare scontento l’utente ma ciò che appare, ironicamente, è il portato di senso ed affettività che quell’azione assume all’interno della piattaforma in cui è stata ideata.

L’aspetto positivo dell’idea di amicizia è, forse, stato l’elemento più criticato di Facebook. Nel 2007 Nils Andrei con il progetto Hatebook proponeva un corrispettivo negativo del social network dei vecchi amici di scuola. Questo anti-social network si presentava come la piattaforma in grado di disconnetterti da tutto ciò che odi, si basava cioè su di un principio opposto a quello della connessione tra amici. Dello stesso anno è Myfrienemies lavoro di Angie Waller che non faceva esplicito riferimento a Facebook come nel caso di Hatebook e a differenza di questo non aveva l’intento di mettere esclusivamente in evidenza sentimenti negativi ma si proponeva di creare connessioni tra gli utenti sulla base di antipatie comuni.

In questi lavori gli autori pongono l’attenzione su di un elemento che sicuramente è il centro del funzionamento di questo social network cioè le relazioni interpersonali ma si concentrano esclusivamente sul significato socialmente condiviso della parola amico facendo emergere la necessità di una più ampia gamma di definizioni per i rapporti sociali.

Tutti questi lavori si possono trovare catalogati all’interno del sito del progetto curatoriale anti-social not-working di Geoff Cox. Lo stesso curatore inglese ha rilevato come il sistema economico dominante stia creando valore dall’utilizzo delle relazioni umane portando, così, ad un’evoluzione della biopolitica, sempre più attenta agli aspetti privati e particolari dei singoli soggetti. Dello sfruttamento economico delle attività relazionali sono consapevoli non solo le aziende, che spingono gli utenti a divenire prosumer, delle piattaforme a cui sono iscritti, ma anche i fruitori stessi che diventano sempre più attenti al valore economico della pubblicazione dei propri contenuti.

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Da pochi mesi, per esempio, è nato il social network Facebook Users Union che ha l’obbiettivo di creare un sindacato per gli utenti di Facebook e propone di richiedere alla società un pagamento per ogni singola azione compiuta su quella piattaforma. Non mancano nemmeno social network che rifiutano la presenza invadente di banner e pubblicità commerciali come lo spagnolo N-1. Oppure software che si propongono di risolvere il problema della permanenza dei propri dati su server proprietari attraverso la creazione di social network distribuiti, come nel progetto Diaspora.

Tuttavia, Facebook continua a vedere aumentare il numero dei propri iscritti quotidianamente. Ci si trova così in un social network in cui una massa di individui se pur acquisisce gradualmente la consapevolezza del valore economico della propria presenza per le aziende sembra disinteressarsi delle implicazioni che l’aspetto relazionale comporta, fatta eccezione che per situazioni in cui sia direttamente coinvolti. Rispetto a questo Cox afferma che Facebook, come anche il suo corrispettivo negativo Hetebook, sono piattaforme anti-sociali poiché prive di una dialettica negativa, una dialettica antagonista che si basa necessariamente sulla contrapposizione di due termini per poter generare consapevolezza politica.

Un critica di questo tipo, ricca di rimandi alla tradizione teorica dell’autonomia italiana, però, non tiene conto della molteplice varietà delle relazioni interpersonali e delle diverse sfaccettature di godimento insite in ognuna di esse, ma soprattutto continua a fare riferimento ad astratte categorie relazionali applicabili a gruppi ampi. Un critica politica alternativa a quella che vede la necessità di una opposizione tra amici e nemici può partire da i desideri che spingono i singoli all’utilizzo di questo strumenti all’interno del sistema capitalistico prevalentemente basato sul consumo.

Gli utenti, spesso, sono spinti all’azione e alla presenza su queste piattaforme per il piacere di ritrovare i propri pari, ed è questo godimento relazionale a creare delle difficoltà nella definizione degli spazi privati, pubblici e controllati. Si ha così la proliferazione di contenuti per dichiarare la propria presenza e allo stesso tempo si gode del consumo delle relazioni con l’altro in modo spasmodico.

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Slavoj Zizek sostiene che,in una società basata sul consumo delle merci, il godimento di una merce, qualsiasi essa sia, diventa una legge sociale. Spesso si dice che godiamo di qualcosa intendendo con tale espressione che quella cosa viene intaccata e consumata. Zizek, secondo una impostazione hegeliana, usa la parola godere lasciando intendere il fatto che si distrugge l’alterità di ciò che viene incorporato, che la si nega, con la conseguenza che godere porta con sè il significato di consumare. Nel neocapitalismo, dunque, si gode di niente perchè nel consumo è già implicita la negazione. Si prova un godimento che, consumando il proprio oggetto, rinnova costantemente il proprio appetito e l’oggetto diventa insignificante.

Nel caso di Facebook la merce è la relazione offerta ai consumatori che si concentrano nei luoghi in cui essa è massimamente presente. Si tratta di una relazione che è costruita linguisticamente, o che, secondo il filosofo sloveno, non è possibile simbolizzare perché sempre consumata. Come se si stesse bevendo coca-cola, la merce per eccellenza: più si beve, più, metaforicamente, si ha sete. Potrebbe sembrare da questa analisi che gli utenti si trovino intrappolati in un sistema di poteri che ha sussunto in un ottica di profitto la capacità umana nel creare relazioni. Tuttavia questa considerazione esclude quello che è il fondamento di una relazione cioè il godimento della presenza corporea dell’altro.

La relazione non è esclusivamente una teorizzazione astratta, ma si esplicita principalmente nella presenza dei corpi singolari. Per questo è interessante la performance del 2008 di Clare Adams, dal titolo Clare is Facebook, in cui l’artista camminando per strada da st Albans a Londra porta con se un tabellone che riproduce la grafica del social network e interagisce con i passanti incuriositi e divertiti.

Che cosa c’è di così interessante in quello che stai facendo in questo momento? Cosa significa vedere dal vivo i feed di un utente? Siamo realmente in relazione? Queste sono alcune delle domande che Adams pone a se stessa e ai suoi interlocutori. Armata di etichette per l’aggiornamento di stato, l’aggiunta di amici e di commenti alle proprie azioni, mette in gioco la sua presenza dal vivo creando una contrapposizione tra la definizione di amicizia data dal social network e la sua capacità relazionale nella vita quotidiana. In questa performance è evidente come la presenza dell’altro non possa essere incorporata, ponendo così degli ostacoli al consumo capitalistico.

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Chiara Zamboni in una critica a Zizek, afferma: “Godere della presenza di una cosa non significa godere di una cosa, in quanto la presenza non è un oggetto e soprattutto non si può consumare la presenza. Infatti quando godiamo della presenza, siamo ben lontani dal farla propria, anzi avere piacere della presenza va di pari passo con il fatto che in un certo senso siamo obbligati a lasciarne essere l’alterità. La presenza può affievolirsi o può essere molto forte; comunque, in ogni caso, non possiamo incorporarla, rendendola parte di noi”.

La filosofa italiana non si riferisce esclusivamente ad una presenza fisica e materiale rifiutando qualsiasi traduzione tecnologica, essa può essere mediata e divenire anche ricordo della presenza. Piuttosto, quindi, che ricalcare vecchie opposizioni binarie, che trovano nella individuazione di un nemico la soluzione di conflitti sociali, si potrebbe, secondo quanto scrive, Franco Berardi Bifo tendere alla creazione di uno spazio di comunicazione e di interazione che sia di lentezza, di respiro profondo, di ascolto e attivazione della corporeità. Prendere consapevolezza del desiderio dei singoli e risvegliare i corpi costretti in categorie generiche lascerebbe lo spazio per una critica politica radicale di cambiamento che non ripropone logiche di dominio.