L’introduzione a questa intervista è stata precedenemente pubblicata anche sul sito di “MilanoX”, in seguito agli eventi di Roma durante la manifestazione Occupy Rome – http://www.milanox.eu/non-ci-rappresenta-nessuno/
Il Teatro Valle Occupato ha deviato il suo percorso e si dirige a Piramide. Sono circa le sei del pomeriggio del 15 Ottobre e questo è il messaggio che appare a un certo punto su Twitter, seguendo l‘ashtag #15o, vero punto di riferimento personale e immagino collettivo di questa giornata pazzesca. Io sono uscito da poco da due cariche indiscriminate delle forze dell’ordine (dovrei usare il termini “guardie”, che meglio si adatta al loro operato, ma per onor di stile uso il lessico ufficiale), che come sempre non sanno e non vogliono fare distinzioni tra manifestanti pacifici e non.
Preso frequentemente come punto di riferimento su Twitter per monitorare i movimenti del secondo spezzone del corteo, che ha avuto la freddezza e la fortuna di non trovarsi imbottigliato nell’area urbana immediatamente successiva al Colosseo (Via Labicana, Viale Manzoni, Via Emanuele Filiberto, Piazza San Giovanni), il Teatro Valle Occupato insieme a centinaia di altre sigle e centinaia di migliaia di manifestanti, ha proseguito la sua marcia a quel punto indipendente, perdendosi nelle ombre serali di una Roma di inizio autunno. Di come sia andata a finire non si sa niente.
Di come si sia conclusa la manifestazione del 15 Ottobre nessun media ufficiale riporta traccia. Potrebbero essere spariti nel nulla per quel che riguarda i benpensanti, i moralisti pronti a lanciare i loro strali contro le violenze di piazza. Fantasmi e mancati testimoni di una giornata che è come se non fosse mai esistita, se non nel sensazionalismo della violenza. Sperare in un’analisi più profonda della pura cronaca, è a questo punto mera utopia.
Doveva essere la giornata dell’indignazione a Roma, della protesta di un movimento maturo e finalmente consapevole della sua complessità, incastrata nell’enorme visibilità di una giornata di protesta mondiale che per numeri e partecipazione non ha visto alcun’altra città avvicinarsi nemmeno lontanamente al successo Italiano. E’ stata invece la giornata della violenza, inutile chiudere gli occhi di fronte all’evidenza, così improvvisa, in fondo inaspettata per la sua forza e forma. Una nota per il lettore pronto a scagliare la pietra della sua personale ipocrisia: la mia non vuole essere un’affermazione retorica, non vuole farsi scudo di iperboli lessicali per colpire l’immaginazione.
Non vuole nemmeno essere un commento a titolo personale. La mia è una semplice e purtroppo ovvia constatazione: questo è stata agli occhi dei media servili (non solo ai piacimenti di un tycoon con trapianto e rialzo, attenzione, ma al senso morale del lettore medio, anche di un media considerato da molti “avanzato” come Internet e che tende ormai sempre più frequentemente a replicare le dinamiche informazionali dei suoi progenitori analogici) la grande manifestazione Occupy Rome. E, loro sì, affamati di situazioni come queste, giocano con i titoli e gli editoriali, i commenti e le analisi, per guardare negli occhi una giornata che però è stata molto, molto di più.
Chi a Roma c’era, ma anche chi ha seguito gli eventi da casa sua, ha visto centinaia di migliaia di persone reclamare pacificamente l’esigenza di un futuro diverso nei termini di una maggiore equità economica e sociale, di riconoscimento per una generazione di precari, disoccupati, studenti, docenti, ricercatori, operatori della cultura, dell’arte, del cinema, del teatro e di una serie di “categorie” che non sono nemmeno dotate di una “etichetta” chiara, tale è la complessità del professionismo richiesto per poterle esercitare con valore (profittevole e morale).
Fantasmi prima e Fantasmi ora ancor di più. Cancellati dalla storia di una giornata che doveva e poteva essere molto altro. “Non-ci-rappresenta-nessuno”, cantavano i cori multicolori. E’ vero, però purtroppo è vero oggi ancor più di ieri. E questa è senza ombra di dubbio una sconfitta le cui proporzioni e ricadute non sono assolutamente in grado di comprendere, almeno per ora.
Chi a Roma c’era, e questa sì è retorica me ne rendo conto, imprigionato o meno negli scontri di San Giovanni, ha il cuore lacerato per la mancanza di attenzione verso i veri contenuti della manifestazione. Per l’occasione persa, per una sensazione sottopelle che rimanda tristemente al post-Genova 2001. Alla morte di un Movimento, alla distruzione scientifica di una realtà sfaccettata, senza bandiere sovraimposte, apartitica, però forte e arrabbiata all’interno di un movimento globale che non si vedeva così consapevole e maturo da anni. Un movimento generazionalmente complesso, professionalmente non identificato, rizomatico nelle sue continue corrispondenze e travasi di esperienze e battaglie tra contesti (scuola, università, cultura, cinema, arte, ambiente) solo apparentemente differenti.
Un Movimento che inevitabilmente da domani si fermerà a riflettere. Mi sembra quasi di sentirlo il silenzio di questa domenica. Nessuno parla, pochi commentano. Molti pensano, riflettono, ci sarà tempo e modo per parlare. L‘Antagonismo ha molte facce e da oggi queste facce hanno contorni un po’ più chiari, almeno questa è la sensazione che ho avuto dal mio “piacevole” weekend capitolino. L’Antagonismo radicale esiste, è inutile pensare che sia composto da una minoranza isolata, ed è al contempo inutile e spesso comodo condannarlo in modo ipocrita, raccontarne solo la faccia nichilista e distruttiva sotto l’etichetta ormai rancida del “blocco nero”.
Da Atene a Londra (lasciamo stare, per favore i paralleli, con i moti del Nord Africa, più che altro per rispetto verso chi non ha il pane per mangiare) non si combatte per strada con i soldatini e Roma, in questo senso, non è stata da meno. E il disagio sociale che esso rappresenta non è molto diverso da quello che anima le migliori intenzioni del manifestante pacifista: è la retorica del dissenso ad essere differente, ma la base è simile. Molto simile. Dimenticarlo è sempre un errore.
La giornata del 15 Ottobre a mio avviso dovrà essere un momento di riflessione sì, ma verso un processo di maggiore accettazione della violenza, o per lo meno di comprensione su come incalanare questa rabbia verso un processo politico-sociale alternativo. La giornata del 15 Ottobre dovrà essere, al contempo, l’occasione per capire come riuscire a evitare le strumentalizzazioni che accompagnano questi atti violenti, a fare sopravvivere le istanze del Movimento prima che venga distrutto dalla retorica dei media di massa. La giornata del 15 Ottobre dovrà rappresentare infine l’occasione per capire come scendere per strada evitando al contempo i rischi e proteggendo l’incolumità del manifestante pacifico. Ciò che si è visto e percepito attorno a San Giovanni ieri, riporta memorie che hanno già lasciato ferite troppo profonde.
E penso sia abbastanza inutile parlare ancora una volta della gestione della piazza da parte della polizia; di cosa dobbiamo discutere ancora? Dell’atteggiamento criminale che intrappola con rigore militare persone inermi chiudendo tutte le possibili vie di fuga, costringendole a scappare come una grande bestia in panico sotto le cariche continue e i getti degli idranti? Vogliamo chiederci come sia possibile non riuscire a gestire, fino a notte fonda, poche centinaia di persone armate di spranghe e sassi senza provocare ricadute su altre migliaia? Vogliamo denunciare quell’organo Statale che dovrebbe garantire e non offendere? Ma quale è la novità? Dove sta l’indignazione?
Se si vuol fare calare la scure della condanna, beh allora è meglio iniziare a mettere sullo stesso piano sia chi penetra nelle maglie di una manifestazione pacifica, usando la morbida testa del corteo (e non le dure code antagoniste, questo è evidente) e le persone comuni come scudo e protezione delle proprie azioni, e che forse farebbe meglio a rivendicare con chiarezza e onestà le proprie azioni, sia chi crea le condizioni affinchè quelle azioni degenerino in un rischio fisico ed emotivo per chi NON ha scelto di trovarsi in una certa situazione.
Marco Mancuso: Vorrei iniziare semplicemente facendo sapere ai lettori come è nata l’occupazione del Teatro Valle, quali i soggetti iniziale e come si è diffusa la partecipazione ad altre realtà in ambiti artistici, teatrali e sociali più in generale?
Teatro Valle: Da tre anni esiste un movimento che si chiama Lavoratori dello Spettacolo, composto principalmente da attori, attrici, registi e tecnici del teatro che racconta le criticità del ns settore. In questi tre anni le persone coinvolte nel movimento sono andate nei principali festival italiani e hanno fatto irruzione alle prime dei teatri romani leggendo un comunicato che esponeva le condizioni estreme del settore e chiedeva chiarezza e responsabilità da parte delle Istituzioni. L’occupazione del Valle è avvenuta in un momento in cui le criticità rispetto al sistema teatrale italiano e alla cultura in generale cominciavano a dare segni estremi.
Il Valle veniva chiuso dopo la dismissione dell’ETI (Ente Teatrale Italiano che si occupava della circuitazione degli spettacoli e dello sviluppo delle pratiche per la mobilità artistica), non si sapeva a chi sarebbe stata assegnata la direzione del teatro, addirittura si vociferava la sua destinazione a bistrot cabaret, e per questo motivo l’abbiamo occupato. Si pensava di fare una tre giorni simbolica e invece le contingenze hanno voluto che si rimanesse, abbiamo così cominciato a pianificare e ad attuare un piano di lotta che potesse portare ad un cambiamento. Quello che è successo è che altre realtà, artistiche e sociali hanno riconosciuto nel nostro percorso una modalità diversa, si sono rivolte a noi e noi a loro.
Marco Mancuso: Quale è a vostro avviso l’idea innovativa alla base della vostra occupazione? Forse l’idea di evitare la retorica e le istanze storiche dell’occupazione “politica” classica, quanto piuttosto di avere la capacità di affrontare dinamiche nuove e maggiormente vicine alla realtà nella quale viviamo, con un’occupazione maggiormente “cuturale” che sorregga la volontà di parlare di nuove emergenze sociali, economiche e politiche per una nuova classe di emarginati? Cosa rappresenta, in altri termini, l’occupazione del Teatro Valle nel quadro più ampio di questa situazione di crisi economico-capitalista?
Teatro Valle: Non c’è un’idea precostituita, tutto all’interno dell’occupazione sta avvenendo attraverso le pratiche, attraverso le domande, l’organizzazione delle giornate al Valle e le assemblee politiche e organizzative che facciamo giornalmente. Sicuramente abbiamo deciso di non scendere a compromessi e di fare in modo che le Istituzioni si rapportassero a noi e non viceversa. Noi non rappresentiamo, noi facciamo e basta. Non abbiamo la velleità di risolvere la crisi economica-capitalistica.
Al momento scriviamo i ns documenti (vedi lo Statuto della Fondazione Teatro Valle Bene Comune sul sito www.teatrovalleoccupato.it) prendendo esempio da ciò che mettiamo in pratica, soprattutto considerando la cultura e il teatro Valle come bene comune, siamo in lotta contro la privatizzazione e continueremo questa lotta sostenuti da tanti artisti e intellettuali e filosofi e critici e gente che ci sostiene.
Marco Mancuso: Come è strutturata l’attività delle iniziative, sia artistiche che non, e come nasce l’incredibile rete di partecipazione da parte di artisti famosi, operatori culturali altrettanto noti, intellettuali e professionisti di riferimento nell’ambito dei movimenti controculturali nazionali?
Teatro Valle:Le attività si strutturano giorno per giorno, non ci sono priorità precostituite, tutto avviene secondo le disponibilità e le urgenze culturali e politiche. In questi quattro mesi non abbiamo fatto una scelta artistica, cioè non c’è stata una direzione artistica vera e propria, sul palco si sono esibiti artisti di tutte le forme e generi che giustamente hanno voluto dare sostegno e aderire alla lotta con la loro arte. Non ci sono state scelte da parte nostra, ora però stiamo provando a mettere in atto uno dei principi dettati nello Statuto della Fondazione, quello della direzione artistica come turn over.
Diverse personalità artistiche, individuate da noi, dovranno mettersi in gioco nella direzione del Valle in un periodo limitato, da tre a sette giorni. Per quanto riguarda il coinvolgimento, possiamo rispondere che il fatto di avere occupato un luogo antico di culto, al centro della città e di averlo fatto con un gran rispetto e cura e nella modalità di lotta culturale ha fatto smuovere tutti quegli animi assopiti da tempo, che si sono riconosciuti nelle ns rivendicazioni e hanno voluto contribuire con l’unica arma a loro disposizione, l’arte.
Marco Mancuso: Spiegate con parole vostre cosa sono gli “operatori della cultura”, quali le loro istanze e richieste all’interno del contesto politico-economico-sociale italiano. In che modo siete in rete con altre realtà analoghe in Italia, altre occupazioni nell’ambito di un’ideale mappa di riferimento, come ad esempio gli “operatori dell’arte” a Milano?
Teatro Valle: Quello che chiedono i lavorat* dello spettacolo è di essere riconosciuti come categoria, di avere oltre ai doveri (quelli di pagare le tasse) altrettanti diritti, di poter lavorare con dignità (basta prove gratis e repliche pagate a forfait senza contributi, senza contratti), di aver riconosciuta la pensione, di una giusta gestione del welfare, di poter avere il diritto di essere intermittenti (come avviene in altri paesi in Europa). A Milano siamo in contatto con diverse realtà, così come a Napoli, a Palermo, Messina, Abruzzo, Firenze, Pisa. La nostra occupazione ci sta mettendo in contatto con altre realtà nazionali. Le modalità si sviluppano sempre in ambito artistico, facciamo la lotta attraverso l’immaginario, denunciando le speculazioni, i clientelismi, le autority, il mercato.
Marco Mancuso: In questo senso, quali sono a vostro avviso le modalità di lotta e quali al contempo le alternative possibili per un futuro economico e sociale, quindi politico in senso più ampio, diverso per noi operatori della cultura, del cinema, dell’arte, del teatro, i precari, i ricercatori universitari, gli studenti e tutta una nuova generazione di professionisti difficilmente identificabili?
Teatro Valle: E’ difficile dare delle risposte dopo solo quattro mesi di occupazione, le modalità stanno nascendo da quello che mettiamo in pratica giornalmente. Dalle pratiche di questa occupazione e il confronto con il giurista Ugo Mattei e Stefano Rodotà sta nascendo uno Statuto di Fondazione Teatro Valle Bene Comune(presentata la prima bozza questo 20 ottobre 2011) dove scriviamo le istanze su come, secondo noi a livello democratico e costituzionale dovrebbe essere gestito un bene pubblico come un teatro.
Nella lotta più ampliata, quello che rivendichiamo maggiormente sono l’abolizione delle logiche di mercato, l’abbattimento del clientelismo nella struttura teatrale e non solo, la giusta ripartizione delle risorse dei contribuenti, soldi pubblici che vengono letteralmente mangiati e non ridistribuiti e che riguardano in primo luogo la cultura. Agiamo per un bene comune come riconquista di spazi pubblici democratici, fondati sulla qualità dei rapporti e non sulla quantità dell’accumulo.
Marco Mancuso: Quale è il vostro rapporto funzionale con i media? Da un lato prestate molta attenzione alle dinamiche di Rete e alle pratiche di Social Networking, dall’altro siete riusciti ad ottenere grande visibilità anche sui mezzi di informazione tradizionali (intendendo in questo senso anche Internet, nel momento in cui facciamo riferimento non al micromondo dei blog e delle testate indipendenti, quanto piuttosto delle grosse testate editoriali online). Come spiegate la grande attenzione mediatica che la vostra occupazione ha provocato?
Teatro Valle: All’interno cerchiamo di operare in maniera efficiente e lucida e le forze che mettiamo in campo sono costituite da professionisti del settore oltre che da che da persone che contingentemente, nonostante la loro non specificità, si stanno dedicando ad altro come per esempio la comunicazione nelle pratiche di Blog e Social Networking. L’attenzione mediatica per l’occupazione la riportiamo al fatto che l’ufficio stampa opera in senso trasversale e quindi non solo sul lato prettamente artistico ma anche sulle politiche culturali. L’occupazione si è allargata in un ambito anche politico rispondendo in parte a quello che la gente sente come più urgente, siamo un fenomeno politico, seguito perché le persone vogliono riconoscersi nelle pratiche che mettiamo in atto.
Marco Mancuso: Al contempo, nel corso di questi mesi, avete avuto a mio avviso la grandissima sensibilità di coinvolgere nelle vostre attività anche giornalisti, filosofi e giuristi. Quale quindi la ricaduta, in termini di maggiori conoscenze o condivisioni di esperienze, sul vostro percorso di crescita nell’ambito dell’occupazione?
Teatro Valle: Il coinvolgimento di personalità di questo tipo fa sì che la conoscenza si allarghi e ci permette di strutturare la lotta in una maniera profonda e in contatto con pensieri che hanno già operato e che, grazie al fulcro che si è creato al Valle, rendono le pratiche diverse, ragionate anche sulla base di movimenti che sono stati. Questo fa sì che il percorso che sta avvenendo acquisti forza dalle esperienze e indaghi nuove forme anche da ciò che è esistito, su una rielaborazione di ciò che è stato e di ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento di crisi profonda.
Marco Mancuso: Una cosa che mi ha colpito è che sia nel vostro “statuto” che al contempo in molte delle vostre attività a Teatro, si presta grande attenzione alla Narrazione come possibile strumento politico. Mi spiegate meglio cosa intendete e in che modo secondo voi le discipline artistiche maggiormente narrative (intendo quindi teatro e cinema) dovrebbero maggiormente responsabilizzarsi in questo senso nei confronti di un pubblico socialmente e politicamente maggiormente consapevole?
Teatro Valle: Spingiamo molto sulla Narrazione perché in questi anni ci è stata negata, in questi ultimi quarant’anni il processo mediatico, quello della tv soprattutto, ha portato ad una distruzione della narrazione del presente, ad un livellamento del pensiero e del confronto. Vogliamo riprenderci la possibilità di sognare e di immaginare. Abbiamo fiducia nel pensiero e nella forza immaginifica delle persone e vorremmo che questo riemerga dal basso, dalla gente, dal loro vissuto. In questi mesi al Valle ogni giovedì c’è un corso di Narrazione del presente che tiene la filosofa Federica Giardini.
La distruzione di pensiero attuata in questi anni dalle politiche presenti ha fatto sì che le persone abbiano perso ogni possibilità di pensare “altro”. Un ritorno alla narrazione come strumento politico. Narrare i gesti del lavoro artigianale e creativo per esempio, per rimettere in primo piano la “materialità”; senza pudore o timore, contro le retoriche degli “sprechi” e dei “privilegi”. Narrare i gesti per individuare le connessioni fra il lavoro cooperativo, l’orizzontalità che passa attraverso la messa in comune dei propri saperi. Pensare ai saperi come interconnessi tra loro, alle competenze tecnico-artigianali come incorporate nell’invenzione, contro la retorica dello “skill”.
I giovani di adesso non riescono ad immaginare perché si ritrovano in un contesto che non glielo permette. Vorremmo ricreare le condizioni per poter esprimersi, creare e soprattutto riconoscere la possibilità di lavorare di nuovo anche in ambiti abbandonati perché ritenuti superati (agricoltura, i mestieri) e che invece costituiscono le basi di un paese e degli individui che ne fanno parte.
Marco Mancuso: Pensate infine che il modello di occupazione del Teatro Valle sia replicabile? E se sì, in che modo? Come si riesce a creare il consenso a livello cittadino e nel caso nazionale, attenzione sulle proprie motivazioni, che impedisca nel caso lo sgmobero coatto da parte delle forze dell’ordine?
Teatro Valle: Ci piacerebbe che questo accadesse, vorremmo che il Valle continui a vivere seguendo queste pratiche. L’Italia non è un paese così esausto da condurre una vera battaglia (intendo a ferro e fuoco), non siamo allo stremo, non tutti vogliono e sono in condizione e in volontà di esercitare una vera e propria rivoluzione. Molti italiani neanche sanno dell’esistenza della nostra lotta, c’è ancora tanto da fare, quattro mesi non sono niente. I cambiamenti si vedono negli anni. Siamo realisti e nonostante questo andiamo avanti.
Se le nostre pratiche possono essere diffuse, potranno esserlo solo nel momento in cui altri gruppi si mettono nella nostra condizione e come noi attuino delle azioni per aprire gli spazi alla cittadinanza, a farla sentire coinvolta, a comunicare il più possibile. Una delle pratiche che stiamo attuando e che riteniamo fondamentale è la formazione del pubblico. I laboratori che abbiamo portato avanti questa estate erano incentrati soprattutto sulla formazione del pubblico, sullo svelare il lavoro di un regista o di un attore. Le nostre pratiche agiscono nel nostro ambito, lo spettacolo appunto. Il coinvolgimento e il consenso della cittadinanza ci ha dato la forza e lo scudo per evitare uno sgombero. Sarebbe auspicabile che questa pratica fosse attuata ovunque per fare in modo che tutto il paese si riappropri dei territori e degli spazi.
Marco Mancuso: Dopo l’esperienza della giornata di Sabato 15 Ottobre a Roma, cosa è cambiato e cosa cambierà nel Movimento e nell’antagonismo Italiano in generale? Quali sono le vostre sensazioni della giornata di manifestazione, vi siete fatti un’opinione in questo senso?? E quali al contempo le eventuali azioni e riflessioni nell’ambito delle attività del Teatro Valle Occupato?
Teatro Valle: L’esperienza del 15 ottobre ci ha rivelato la forza del gruppo che da quattro mesi opera in maniera continuativa all’interno del Valle, abbiamo dimostrato grande coesione, nonostante la grande diversità di generi e soprattutto la giovane amicizia tra tutti noi. Eravamo in piazza con tanti altri movimenti e le nostre istanze si sarebbero dovute confrontare in un’assemblea aperta con gli altri movimenti che doveva avvenire a P.zza S. Giovanni. Alcune realtà del movimento hanno preso una linea più estrema e questo ha impedito il presidio a S. Giovanni.
E’ evidente che c’è la necessità di continuare a confrontarci per porci in maniera critica rispetto alle politiche governative, per questo continuiamo a rimanere in contatto e a manifestare ancora per i nostri diritti. Lo facciamo continuando a confrontarci con le realtà che ci sono vicine e soprattutto con le pratiche all’interno del Valle. La costruzione continuiamo a farla giorno dopo giorno assumendoci la responsabilità di ciò che siamo in questo momento e con la consapevolezza, soprattutto dopo il 15 ottobre, che non siamo soli e che ci sono altre realtà che vogliono combattere insieme a noi in una modalità diversa chi governa e ci rappresenta in questo momento.