Stefano Gulmanelli, dieci anni di multinazionale alle spalle, venti trascorsi a cavallo fra Europa Orientale, Medio Oriente e Africa. Analista simbolico, collaboratore di varie testate giornalistiche, studioso dei fenomeni legati al cambiamento e al conflitto culturale e dei mutamenti sociali indotti dalle nuove tecnologie.
Ha pubblicato nel 2003 per Apogeo PopWar, il NetAttivismo contro l’Ordine Costituito una delle analisi giornalistiche e critiche più lucide e chiare dei fenomeni netattivisti più attuali, online e non. Ho avuto modo di scrivere e pubblicare questa intervista per una rivista di nome Web Marketing Tools non più di un paio di anni fa, rivista cartacea che purtroppo oggi non esiste più. Legando il suo destino alla deperibilità del supporto e alla non-riproducibilità dell’esperienza informativa, anche questa intervista andò fondamentalmente perduta, pur rimanendo assolutamente attuale nella forma e nei contenuti, anzi.
Per questo motivo, ho ritenuto opportuno contattare Stefano Gulmanelli per proporgli la ri-pubblicazione del pezzo su un supporto più consono e durevole come il web, rivedendo opportunamente i passaggi della nostra chiacchierata per paura di scarsa attualità (forse qualche virgola alla fine l’abbiamo cambiata, ma non molto di più, e questo la dice lunga su tante cose). Operazione questa che spero i lettori di Digimag apprezzeranno e che spinge la nostra rivista a riportare in qualche modo l’attenzione verso quel processo di dialogo possibile, nell’ambito del digitale, tra il mondo corporate e i netattivismi: processo questo che sembra non più così al centro dell’attenzione dei mass media e quindi del pubblico di massa come qualce anno fa, ma che al contempo prosegue e si evolve in modo instancabile.
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Marco Mancuso: Stefano, tu hai lavorato per anni all’interno di una corporate e collaborato con società e aziende. A tuo avviso come potrebbero confrontarsi queste realtà economiche con i cambiamenti a livello sociale e di libera comunicazione che la rete ha messo in atto?
Stefano Gulmanelli: Attualmente lo spazio per una moderazione e un dialogo tra il mondo della Rete e l’universo delle corporale è oggettivamente limitato, questo a causa dei difficili rapporti tra un certo modo di intendere una serie di valori di libertà da una parte e il mondo aziendale dall’altra. Assistiamo oggi a una sorta di Internet 1.0, caratterizzata dalle dinamiche del NetAttavismo e della pulsione democratizzante dal basso, dove il problema principale è quello di dare una voce a tutti grazie a una comunicazione orizzontale e bidirezionale, cosa consentita egregiamente dalla Rete. In un ipotetico e futuro Internet 2.0 le aziende si appropriano del mezzo Internet e cercano di adattare il mezzo alle dinamiche di comunicazione che ci sono sempre state prima di Internet e che ci sono tutt’oggi con altri media. L’offensiva sferrata in questi ultimi tempi alla cosiddetta “Neutralità delle Rete” si iscrive in questo tentativo di occupazione manu militari di Internet da parte del mondo corporale. Un tentativo che ha come obiettivo a che siano le corporate o i grossi centri di informazione a decidere cosa è importante sapere e cosa no, portando la gente a guardare e interagire solo con quei canali dettati dalle aziende stesse.
D’altronde non si può immaginare un’ipotesi in cui un’azienda si possa calare in una situazione democratizzante, senza gerarchia, caratterizzata da una comunicazione orizzontale, che dia voce e opportunità a tutti come il Netattivisti pretendono che continui a esistere in Rete. In altre parole sono mondi completamente diversi; le aziende creano valore, trasferiscono know-how, ma hanno logiche completamente loro e inaccettabili da parte dei movimenti democratizzanti della Rete.
Marco Mancuso: Le corporate potrebbero cercare di ottimizzare le dinamiche di aggregazione consentite dalla Rete?
Stefano Gulmanelli: Le aziende che avrebbero più bisogno e interesse a nutrire questo tipo di relazione comunicazionale e multidirezionale sono probabilmente i partiti politici, ma vedendo il sito di un partito politico c’è sempre l’impostazione classica di ogni forma di comunicazione dall’alto, secondo cui quello che loro dicono a te è più importante che cercare di capire ciò che tu stai dicendo a loro. Questo è un contrappasso per queste aziende (anche i partiti politici sono aziende infatti) in cui è importante una ricerca del consenso e la perfetta conoscenza degli interessi diffusi. E se questa filosofia non c’è nei partiti politici, figurarsi per quelle realtà che hanno una giustificata motivazione di profitto. I Netattivismi quindi devono continuare ad appoggiarsi agli insperati vantaggi offerti dalla Rete, innanzitutto il fatto che internet per la prima volta permette di produrre contenuti in un modo completamente decentrato e in secondo luogo la tecnologia relativa è conosciuta meglio a volte dalle persone normali e dai ragazzi piuttosto che dai professionisti stessi assunti dalle corporate. Questo crea un disagio crescente nei grossi gruppi aziendali e nella società in generale, perché rappresenta una dinamica estremamente difficile da controllare e da gestire.
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Marco Mancuso: Secondo te anche le dinamiche di marketing in Rete diventeranno sempre più invasive?
Stefano Gulmanelli: La tecnologia se usata in un certo modo è estremamente invasiva e controproducente, come accade sempre più spesso per le dinamiche di marketing; sicuramente, anche in futuro, le corporate continueranno a usare la Rete e le tecnologie per le proprie strategie di profilazione e di marketing, che probabilmente diventeranno sempre più invasive.
Marco Mancuso: Il nettattivismo, devianza o nuovo mainstream?
Stefano Gulmanelli: Le aziende non hanno ancora capito che questo modo alternativo di fruizione dei contenuti non può essere considerato devianza nel momento in cui comincia ad avere una massa critica, con capacità di impatto, che si estende invece che diminuire. Questa è devianza o sta avvenendo uno shift culturale di cui il nettattvismo è solo un’avanguardia? Nonostante tutto c’è chi ha capito che questo è un tipo di consumo con cui dover fare i conti e che è da considerare una proiezione di un certo modo di fruire e non solo una devianza. Forse non la gran parte degli uomini di azienda che a oggi ancora se ne frega ma soprattutto quelli coinvolti nel mondo della musica o del cinema, ovvero quelli più usciti scottati dal confronto-scontro con questo mondo. Le loro strategie ‘difensive’ hanno fallito solo chi non aveva capito il fenomeno pensava che cose come il controllo del filesharing o la continua estensione del tempo di durata del copyright potessero funzionare e le major stesse si stanno ‘sporcando le mani’ con la distribuzione online della musica, che prima era il diavolo. Ma si badi bene con probabilmente nel retropensiero sempre la speranza che questa mossa sia l’inizio del loro controllo sul processo. Se è come temo così, resteranno ancora una volta delusi: chi ha voglia si vada a vedere Sellaband.com e si renderà conto che l’evoluzione della fase produttiva della musica potrebbe non contemplare più la presenza di intermediari come quelli tradizionali (leggasi major).
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Marco Mancuso: Come possono, le aziende, utilizzare gli strumenti di aggregazione spontanea, grazie alle nuove tecnologie, senza passare dalla parte del torto o sembrare necessariamente il “male” ?
Stefano Gulmanelli: Temo non possano. Vedi, persino sulle smart mobs, un fenomeno che dovrebbe essere lo spontaneismo decentralizzato, hanno cercato di mettere il cappello, nel senso che ci sono già stati casi in cui aziende, in questo caso grandi magazzini, hanno fatto in modo che una smart mob si concentrasse nei propri locali per “creare attenzione e eccitazione” (del tipo “ma cosa succede là dentro… andiamo a dare un’occhiata”). Devo ribadirti quello che ti ho detto prima: se è Internet 1.0 – comunicazione spontanea, livello gerarchico nullo, apertura ‘pregiudiziale’ a tutti i contributi, – non c’è spazio per l’intrapresa economica, almeno per come è concepita nel sistema economico attuale; se è Internet 2.0 – spazio recintato e profilato, interattività concessa entro limiti precostituiti, orientamento verso il consumo – non c’è spazio per lo spontaneismo e la spinta dal basso. Il che non significa che le aziende passano dalla parte del torto se fanno questo, tra l’altro molte delle opzioni che potranno dare – soprattutto se raffrontate con quanto è concesso ora al consumatore medio possono essere comode e interessanti, ma restano opzioni finalizzate a farti consumare, perché quello è il loro mestiere: produrre e poi cercare di vendere.
Marco Mancuso: Quali tra i vari canali di aggregazione sociale o di comunicazione potrebbero essere meglio utilizzati dalle aziende con maggiore coscienza e lungimiranza?
Stefano Gulmanelli: Il discorso qui è un po’ lungo. Non credo che ci siano canali di comunicazioni che alle aziende andrebbero preclusi, anche se qualche dubbio ce l’ho su quelle iniziative in cui si vuol tirare dentro il sociale per darsi una pulitina di immagine. Ovvero il filone, che ora comincia a fiorire anche in Italia, delle corporation che fanno del bene impegnandosi nel terzo settore. Certo, i soldi aiutano ma siamo sicuri che sia giusto che interventi (e quindi che la decisione di interventi) come costruire un ospedale, fare corsi scolastici o di formazione, etc, spettino a quel tipo di soggetti? Quello è un mestiere che una volta facevano i governi e le autorità politiche, anche quest’ultime con un loro indiretto tornaconto (essere rielette al successivo mandato), ma il tornaconto di una corporation che mi finanzia una scuola in Etiopia qual è? Onestamente dubito non ci sia, ma tutte le ipotesi che faccio su quale possa essere mi portano a risposte che non mi piacciono molto Circa l’uso dei canali di aggregazione sociale, quando dietro ad un bulletin board, un newsgroup, un forum ci si mettono delle aziende non è un buon segno (tant’è che esiste un termine con cui si indica quest’uso di strumenti che nulla hanno a che fare con la loro originaria natura: astroturfing – dove l’Astroturf è una specie di erba sintetica, cioè finta, cioè falsa – usato in contrapposizione a grassroot, il termine che indica per l’appunto il ‘bottom up’ vero e spontaneo). Esempio? Beh, Il National Smoking Alliance, un sito/forum/canale di aggregazione dei fumatori che lottava per il diritto al piacere del fumo, quel fumo che viene prodotto dalle sigarette di quello che era (hanno dovuto chiudere) il loro grande finanziatore: Phillpp Morris.
Per concludere, credo che – a prescindere dall’uso delle nuove tecnologie che bisogna usare perché sono nuove, se le aziende facessero dei buoni prodotti con un rapporto prezzo / qualità giusto, con una decorosa gestione delle risorse umane, e mantenendo un sostanziale rispetto per il territorio su cui insistono, sarebbero già su un’ottima strada… che probabilmente non richiederebbe il ricorso a patches ed escamotage – perché tali sono a mio modo di vedere gli usi degli strumenti di cui dicevamo.