In un mondo nel quale la comunicazione è sempre più accelerata e pervasiva, siamo costantemente in deficit di strumenti interpretativi che ci permettano di comprendere realmente questa complessità e di interagire con essa. Molte delle istituzioni tradizionalmente deputate alla produzione di strumenti di questo tipo hanno progressivamente dimostrato la loro inadeguatezza, cristallizzandosi in logiche prettamente estetiche e sposando l’dea di creatività come gesto compreso in sé stesso, che nasce e si sviluppa indipendentemente dal resto in una sorta di vuoto “perfetto” e “puro”.
Questa tendenza riguarda diversi tipi di attori. Innanzitutto, coinvolge le istituzioni formative. In molti casi queste si sono rivelate incapaci di adattarsi all’elasticità multiparadigmatica necessaria per affrontare la complessità della comunicazione e, allo stesso tempo, si sono appiattite sulle logiche più puramente di marketing. Questo vale sia per quello che riguarda le scelte di critica dell’esistente, sia per le dinamiche di attrazione degli studenti (che sono visti sempre più come clienti) in un mercato altamente concorrenziale.
Ancora più presi in questa logica sono i festival di comunicazione e pubblicità. Sottoposti a grandi pressioni dai mercati, spesso i festival divengono completamente autoreferenziali: delle sorte di mostre canine nelle quali la creatività si riduce a una tautologia che non deve, e non può, riflettere sulle premesse e sulle implicazioni del sistema in cui si sviluppa.
Di questi temi, e di molto altro, abbiamo parlato con Oliver Vodeb, direttore del Memefest – International Festival of Radical Communication di Lubiana, che ormai dal 2002, tratta in modo riflessivo i temi della comunicazione critica e radicale, articolando la sua attività tra network educativi internazionali. Attraverso una costante tensione critica, Memefest cerca di rimettere in discussione le ideologie commerciali implicite nella comunicazione.
Bertram Niessen: La storia del Memefest è molto articolata. Invece di cercare di consolidare la vostra posizione divenendo “classici” (come cercando di fare molti altri festival), voi avete cambiato strategia e forma diverse volte. Recentemente avete scelto di costruire il vostro social network per combattere lo sfruttamento digitale dei social networks commerciali. E’ una grande sfida. Potete spiegarci queste scelte più in dettaglio?
Oliver Vodeb: Il Memefest è stato concepito come uno strumento di comunicazione ed educazione tattica. Nei campi della comunicazione, del design e dell’arte, i festival giocano un ruolo importante. Sono meccanismi cruciali che creano dei framework di cosa è giusto e cosa è sbagliato. Creano framework di valori e criteri di qualità. Il loro impatto nella pratica è veramente molto forte. In molti casi è anche più forte di quello delle università. Se guardiamo al campo della comunicazione, i festival approcciano la pratica dal punto di vista della comunicazione di mercato: tendono a riprodurre una specifica ideologia; riproducono la logica dei vincitori e dei perdenti; valutano e premiano i lavoro in un modo altamente decontestualizzato, spesso partendo dai concetti astratti di “buona idea” e “soluzioni estetiche e formali”.
Quello che cerchiamo di fare al Memefest è creare una struttura di qualità per quello che chiamiamo un “buon lavoro di comunicazione”. I nostri criteri sono centrati sull’impatto sociale, culturale e politico. Sul contesto. Sul processo. Sugli approcci comunicativi che non riproducono la logica del mercato. Crediamo che in questo modo si possa aiutare una produzione collettiva di conoscenza che generi nuove pratiche comunicative. Ma il Memefest è centrato anche sulla teoria. Connette la pratica con la teoria ed approccia la comunicazione dal punto di vista di una critica interdisciplinare. Crediamo che la collaborazione crei risultati miglior della competizione e cerchiamo di coinvolgere i partecipanti in un processo educativo.
Dopo che Facebook è divenuto così popolare, abbiamo visto che non c’erano molte alternative in giro. Facebook è un ambiente mercificato di lavoro digitale. Una cultura di marketing coperta da “interazioni amichevoli”. Con il nostro social network vogliamo dare alle persone una chance di essere coinvolta in scambi con altri che sono interessati nella comunicazione radicale. In un ambiente non commerciale. Pensiamo che sia importante e, per certi versi, radicale. In questo modo abbiamo esteso l’esperienza del festival a quella permanente della comunità. Sarà interessante vedere cosa succede.
Bertram Niessen: La diffusione internazionale del Memefest sembra essere abbastanza tentacolare. Avete avuto molte collaborazioni da diversi gruppi e istituzioni in giro per il mondo. Come funziona esattamente questo network? Quali sono i valori e le idee dietro tutte queste attività di networking?
Oliver Vodeb: Il network internazionale consiste di persone che sono parte del team e che organizzano il Memefest localmente e internazionalmente. Abbiamo stabilito nodi locali in Brasile, Colombia e Serbia. Un’altra dimensione è quella degli educatori, curatori e editori che lavorano con il Memefest e, assieme agli studenti, sviluppano le linee guida del festival nelle università. Alcune università lo fanno regolarmente: ad esempio, abbiamo collaborato con ambiente educativi molto diversi come L’Università Caldas in Colombia, l’American University di Sharjah, La University of Technology di Sydney, la Faculty for Social Sciences di Ljubljana.
In questo modo siamo stati in grado di penetrare nei curriculum ufficiali. Ci sono, inoltre, dei partecipanti nel processo educativo interno al festival. Adesso stiamo cercando di costruire un network con persone che sono interessate nella comunicazione radicale. Prevalentemente, si tratta di intermediari culturali. Per questo abbiamo creato una piattaforma di social networking sul nostro sito.
Ci sono valori diversi all’interno del network. Alcuni sono costruiti attorno ad una cultura attivista, altri attorno ad una cultura accademica ed altri ancora attorno a quella artistica o professionale. Ma tutti hanno in comune un valore: la necessità di creare un cambiamento sociale attraverso la comunicazione nella sfera pubblica.
Bertram Niessen: il Memefest ha un alto profilo teorico ma, allo stesso tempo, il suo appeal è abbastanza pop. Come gestite il ruolo del pensiero critico tra questi due elementi?
Oliver Vodeb: Cerchiamo di gestire sfere molto diverse in un modo produttivo. L’accademia, l’attivismo, il discorso professionale e il campo dell’arte. Solitamente questi campi operano separatamente. Ma, ancora una volta, tutti questi discorsi tendono ad aprirsi e ad includersi a vicenda se sono inseriti in meccanismi producenti. Possiamo comunicare con tutti questi campi indipendentemente ma possiamo anche connetterli e mixarli senza perdere l’integrità e la qualità dei discorsi. I partecipanti e le istituzioni partner hanno riconosciuto che aprirsi ed essere coinvolti in questi nuovi discorsi può essere estremamente utile. Ognuno può imparare dagli altri. L’aspetto “pop” al quale ti riferisci è un’articolazione visuale di queste connessioni. Un’interfaccia dialogica in forma di relazioni comunicative con un veicolo visivo che è basato sul processo.
Bertram Niessen: Studenti, sociologi, artisti, comunicatori, professionisti. A chi vi rivolgete, esattamente?
Oliver Vodeb: A persone che sono, in un modo o nell’altro, coinvolte nel campo della comunicazione nella sfera pubblica. Vogliamo lavorare con persone dentro il mondo accademico ma anche con chi è esterno. Professionisti, ma anche attivisti. Cerchiamo di connettere queste diverse culture senza dare al discorso commerciale la possibilità di mettere in atto dei processi di cooptazione. La maggior parte dei partecipanti sono studenti e artisti. Ma, personalmente, sono sempre più convinto che dobbiamo lavorare anche con i professionisti che provengono da ambiti commerciali. Loro non hanno altri spazi, e la logica delle agenzie di pubblicità e degli studi di design commerciale li allontana dalla possibilità di creare un pensiero critico. Per non parlare della pratica.
Bertram Niessen: Avete scelto di non dare premi in denaro ma, al contrario, di invitare i vincitori della “friendly competition” ad un workshop collaborativo. Puoi dirci qualcosa di più a proposito di questo?
Oliver Vodeb: Il workshop sarà a Nijmegen, in Olanda. Stiamo lavorando con diversi partner molto in gamba per questo evento. Pina a Koper, Pink Sweater a Nijmegen e Loesje a Berlino. Stiamo organizzando un evento evento di comunicazione radicale, all’interno del quale si terrà il workshop di Memefest. Saranno invitati 20 partecipanti con proposte significative. Il concept del workshop non è ancora stato sviluppato, ma mi piacerebbe sviluppare un lavoro nel quale si provi a costruire un mappa della comunicazione sociale e critica. La differenza tra il marketing e la comunicazione sociale è ancora invisibile per molte persone.
C’è una profonda ragione ideologica per questo. C’è un gran numero di campagne di comunicazione che dovrebbero lavorare attraverso una logica sociale. Ma non lo fanno. La maggior parte è creata all’interno delle logiche di marketing. Quello in cui siamo veramente interessati è articolare le differenze di impatto sociale tra il marketing e la comunicazione sociale. Come sviluppare questo discorso al di fuori del medium scritto della riflessione teorica? I workshop saranno monitorati dai curatori del Memefest e da me. Credo che sarà un’esperienza forte per tutti noi.
Bertram Niessen: Quali pensi che possa essere il contributo della critica radicale alla comunicazione contemporanea?
Oliver Vodeb: E’ essenziale. Abbiamo bisogno di ripensare la logica stessa della comunicazione se vogliamo perseguire il cambiamento sociale. Senza una critica ed una teoria radicale questo non è possibile.