InSite05 è la quinta dizione di una mostra periodica che si svolge dal 1992 tra San Diego (California, Stati uniti d’America) e Tijuana (Messico). Un progetto pensato per e negli spazi pubblici delle due città, che da fine agosto a metà novembre riflette sul concetto di Frontiera e che reifica, con progetti di artisti e attivisti, quello spazio mentale e ideologico che è la Frontiera.
Il border tra Stati uniti e Messico è un entità sfaccettata: un muro; una terra di nessuno in cui, dal lato costiero statunitense, è stata rasa al suolo ogni forma di vita per poter meglio controllare militarmente – i tentativi di accesso illegali dei latinos che cercano fortuna nell’Eldorado californiano. La Frontiera è anche la storia di chi ha tentato di scavalcare il muro (o di aggirarlo, nuotandoci attorno nel Pacifico) senza passare per i controlli della dogana (“con el coyote no hay aduana” salmodiava quasi dieci anni fa Manu Chao) ed ha avuto sfortuna; o ha avuto fortuna ed ora fa il lavapiatti in nero nel retro di un diner di Los Angeles sperando di non avere a che fare con le forze dell’ordine.
![]() |
.
La Frontiera tra San Diego e Tijuana è anche il concetto stesso di diversità – rappresentata da due agglomerati urbani che sulla carta geografica sono distinti e nella teoria parlano due lingue diverse che sfocia nella fluidità del flusso continuo di esseri umani che la passano. Due città vicine, speculari e complementari, che hanno inglobato il border ed i cui cittadini sono intercambiabili: liberi professionisti che dagli Usa preferiscono vivere in Messico perché è più economico, o gestori di traffici più o meno leciti che fanno la sponda tra i due poli per controllare l’andamento delle loro attività. Ed ancora studenti radical (e gringos ) e lavoratori a tempo che si incrociano sulla frontiera, andando e venendo dalle loro attività quotidiane (chi si attiva per i diritti civili, chi pulisce le piscine delle ville).
Tutto questo confluisce e definisce questo un progetto atipico che i suoi fondatori preferiscono definire network piuttosto che Biennale, in cui un numero impressionante di agitatori culturali, gruppi di azione artistica e comunicativa, artisti e curatori (anche del jet-set del sistema internazionale dell’arte contemporanea, quelli che partecipano alla Biennale di Venezia o alla Documenta di Kassel per intenderci) si attiva con azioni negli spazi pubblici (la spina dorsale di inSite, quest’anno curata da Osvaldo Sánchez), conferenze, installazioni, mostre in musei e gallerie, lectures che coinvolgono anche potenti istituzioni accademiche come il Dipartimento di Arti Visuali dell’Università di San Diego o la UNAM Universidad Nacional Autonoma de México di Città del Messico.
![]() |
.
Il sito di Insite05 è, per forza di cose, bilingue ed è pensato per essere il momento di raccolta delle varie attività che trovano il proprio significato esattamente nel momento in cui sono affiancate l’una alle altre: frammenti di un mosaico che da soli descrivono una realtà specifica, ma hanno senso solo tutti insieme e viste da lontano.
Di questo mosaico capiamo che i contesti urbani post-post (post industriali, post-moderni, post-ideologici) sono destinati al disfacimento, che la vita di città si basa sul movimento e sullo scambio, che i Centri (urbani nello specifico ma anche politici a livello globale) non esistono senza le relative Periferie (di cui si nutrono), che il “paradigma stesso di cittadinanza” – come spiega Osvaldo Sánchez – è destinato a fallire, e con esso l’anacronistico border che tenta di sostenerlo. Presentare delle opere d’arte in un territorio urbano transnazionale (San Diego e Tijuana sono separate da poco meno di venti chilometri di tessuto urbano/residenziale, un continuum di case e strade in cui trovare inizio e fine è talvolta un impresa), significa puntare il dito sull’incoerenza del sistema politico e sociale che impone la differenza versus la condivisione, l’immobilità versus la fluidità.
![]() |
.
Per chi osserva inSite05 da lontano, da segnalare Tijuana Calling Llamando Tijuana, progetto espositivo online curato da Marc Tribe con i lavori di Fran Ilich, Ricardo Miranda Zuniga, Ricardo Dominguez e Coco Fusco, Angel Nevarez e Alex Rivera. Da notare, ed è la cosa più interessante della mostra online, che ogni progetto nasce come risultato di un’indagine quasi sociologica sul territorio. Per questo ogni lavoro è la narrazione di una delle mille realtà che compongono il panorama umano e sociale di questa zona così complessa e densa di storie.
Turista Fronterizo, co-realizzato da Ricardo Dominguez e Coco Fusco, è un fantastico Gioco dell’Oca interattivo, in cui si può decidere di prendere i panni di una fricchettona di San Diego che studia antropologia e che vuole conoscere i problemi dei latinos, o della lavoratrice atipica di Tijuana che incrocia il confine alla ricerca di lavoro, e seguirle nelle peripezie che accompagnano gli spostamenti oltre il confine.
Tj Cybercholos (a project of literatura táctica / un proyecto de tactical literature), di Fran Ilich, una narrazione ipertestuale della Frontiera, aggiornata quotidianamente.
![]() |
.
LowDrone è la macchina volante munita di telecamera di Angel Nevarez e Alex Rivera che tenta di superare il confine tra Messico e Stati uniti.
Corridos di Anne-Marie Schleiner e Luis Hernandez è un videogioco in 3D downloadabile e open-source che permette di passare la frontiera attraverso uno dei tunnel usato dai narcotrafficanti dell’area per arrivare da Tijuana a San isidro
DENTIMUNDO: Dentistas en la Frontera / Dentists on the Border Mexico / U.S.A., di Ricardo Miranda Zuñiga Kurt con Olmstead & Brooke Singer, un delirante viaggio negli studi dei dentisti di Tijuana, che apprendiamo dal karaoke iniziale in cui le parole della canzone di apertura sono segnalate da un dente che salta hanno stuato alla UNAM di Città del Messico e lavorano nella frontiera, “tra puttane, spacciatori e mezcal” per curare i gringos che non possono permettersi l’assicurazione sanitaria, e quindi le cure mediche, nel loro paese.