Vi può essere capitato di assistere alla presentazione di un nuovo servizio online. Due giovani uomini con indosso una t-shirt con il logo Gmaybe? presentano gli entusiasmanti vantaggi della nuova frontiera dei social network. Le promesse retoriche legate alla tecnologia ci sono tutte: “esse tendono a ricadere in quattro categorie principali: democrazia, libertà, efficienza e progresso. La democrazia appare come la condizione di cui ognuno godrà grazie alle nuove tecnologie, incrementando così la propria influenza sull’ambiente sociale […] La libertà è solitamente presentata come assenza di elementi sociali restrittivi” (Critical Art Ensemble, L’invasione molecolare. Biotech: teoria e pratiche di resistenza, Elèuthera, Milano 2006, pp38-39).

Questo nuovo servizio sembra un semplice account di posta elettronica consultabile via web attraverso un interfaccia che ricorda la grafica di Google. Ma i vantaggi sono altri, attraverso la propria pagina personale è possibile infatti impostare le preferenze: tra semi-pubblico e pubblico. Scegliendo la prima opzione, l’utente accetta che, in modo random, la propria casella di posta venga pubblicata sull’homepage del sito e quindi sia accessibile anche a chi non è registrato. Scegliendo, invece, la seconda opzione, la propria corrispondenza diventa direttamente consultabile da tutti. Ogni iscritto, inoltre, può commentare la corrispondenza di altri utenti, votare il proprio preferito, creare gruppi di pressione o di ammiratori.

Sembra così crollare l’ultimo baluardo della difesa della propria privacy: anche l’email diventa pubblica! Un servizio che verrà probabilmente preso d’assalto dai social networker totally addicted.

È bene però precisare che questa presentazione si è svolta a Milano durante l’Hackmeeting 2009. Si tratta quindi di un esperimento estremo di web 2.0, che certamente prende di mira i social network ma che invita a rielaborare l’idea di privacy rispetto alla declinazione che ne viene spesso fatta nella scena hacker. Per farlo, gli autori di Gmaybe? hanno deciso di calarsi nei panni di chi gestisce questi servizi, per indagare come e in che misura le persone comuni siano disposte a modificare la propria idea di privacy.

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Quest’anno Hackmeeting 2010 si terrà a Roma dal 2 al 4 Luglio al C.S.A. La Torre. Andrea Marchesini (aka Baku), intervistato per GMaybe, ci ha accennato anche ad un nuovo lavoro legato all’implementazione di forme diverse di social networking, che verranno presentate quest’anno durante l’incontro annuale degli hacker Italiani e di cui vi terremo aggiornati in futuro.

Loretta Borelli: Quando ci si iscrive a Gmaybe? viene chiesto agli utenti di utilizzare l’email che viene rilasciata, come unico account di posta. Questo per testare la disponibilità a rendere pubblica tutta la propria corrispondenza. Nonostante i social network più popolati spingano per la pubblicazione di qualsiasi contenuto privato, l’opinione comunemente diffusa è che l’email debba rimanere un regno privilegiato per la difesa della privacy. Sembra però essere una forma di difesa indotta e non un atteggiamento consapevole. Qual è quindi la vostra idea di privacy? Pensate che le vostre idee in questo senso siano diverse da quelle degli utenti medi?

Andrea Marchesini (Gmaybe?): Innanzitutto Gmaybe nasce come una provocazione. Sia io che Carlo veniamo dalla scena hacker italiana. Parlando per me, avendo fatto parte di molti gruppi politicizzati e non, la privacy è un argomento che mi sta particolarmente a cuore. Penso però che gli ultimi 5 anni il concetto sia cambiato notevolmente. Mentre prima la privacy era un contenitore statico in cui si mettevano informazioni sensibili, dati personali, relazioni, modalità comunicative, etc, oggi penso lo si percepisca più come un grafico un po’ fuzzy.
Mi spiego meglio. Penso che le persone abbiano iniziato a cedere alcuni tasselli della propria sfera personale in cambio di altro: appartenza a gruppi, utilizzo di strumenti, nuove funzionalità, nuovi credi, tante cose che il web2.0 ci ha “regalato”.

Questo ha fatto sì che ciò che per uno è inviolabile, per un altro è un dato semi pubblico. Mi piace quindi pensare che la privacy (così come -qualcosa da difendere-) sia morta. E bisogna quindi crearla nuovamente, ripartendo da ciò che ora c’è, da cosa è rimasto e da cosa le persone percepiscono come reale: le relazioni personali legate a social network, l’utilizzo dei cellulari, lo scambio di messaggi via email o altro. Crearla nuovamente nel senso di darle un altro significato, un’altra definizione. Questo però partendo dal singolo, da ciò che ognuno si sente di dare e fare.

Io seguo questo argomento da un po’ di anni, da quando mi sono avvicinato al progetto FOAF. Poi da lì, mi sono trovato ad occuparmi di metadati, elaborazioni, studi statistici; quindi anche a studiare come una persona si muove dentro ad un sito, ad una rete di relazioni, quali e quante impronte lascia e come collegarle. Come magari saprai mi sono anche occupato di privacy attraverso alcuni progetti opensource (Scookies, Bproxy). Tutto questo per dire: sì, Gmaybe nasce come provocazione e come esasperazione dei social network, per vedere quando si è in grado di perdere il controllo delle proprie comunicazioni. Per capire qual è il limite alla propria sfera personale. Come tu stessa hai detto, la mailbox è rimasta fino ad ora relativamente privata (ignorando per un secondo gmail e il TOS di Google sull’utilizzo delle mailbox degli utenti). Quindi per giocare è nato Gmaybe.

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Loretta Borelli: In Gmaybe? è possibile per gli utenti commentare la corrispondenza di altri utenti, votare il proprio preferito, creare gruppi di pressione. Insomma oltre all’account di posta sono previsti tutti gli strumenti per essere “social” e virali. Ritenete che sia stato determinante per il successo dei social network più diffusi la definizione rigida delle relazioni sociali?

Andrea Marchesini (Gmaybe?): Io vedo una evoluzione abbastanza lineare di come si è cercato di avere siti molto visitati:

– Siti di informazione: gli utenti seguono il mio sito perché ci sono informazioni interessanti (blog).

– Siti di servizi: gli utenti stanno sul mio sito perchè utilizzano un servizio (mailbox online, motori di ricerca)

– Ricorderai i siti portale (ancora ce ne sono molti): siti in cui l’utente “dovrebbe” stare perchè ha una infinità di percorsi possibili.

– I social network: siti in cui l’utente sta perchè ci stanno altri utenti.

Tempo fa avevo affrontato questo argomento con alcuni membri del gruppo Ippolita. In particolare, avevamo parlato del piano della realtà dei social network paragonandolo a quello dei video giochi. Per esempio: Tetris è un mondo in cui esistono oggetti di forme semplici, rigorosamente 2d che cadono dall’alto verso il basso a scatti e possono essere mossi e ruotati. Tutti sappiamo giocarci senza porci domande del tipo: e la forza di gravità? la tridimensionalità? Chi fa cadere i pezzi? Chi fa muovere i pezzi? Si comprende il gioco, le sue regole e ci si diverte.

Traslando questo argomento, i social network sono esattamente la stessa cosa: esiste una logica che non è paragonabile a quella reale, ci sono poche regole, e la gente si diverte. Nessuno si pone problemi sul fatto che le relazioni fra persone non abbiamo cardinalità, che non esista un fattore temporale, che non esista la spazialità. È tutto un eterno presente con pochissime modalità comunicative e assenza di cambiamenti strutturali. Forse per questo sono tanto di moda: perchè sono dei bei giochi. Se troppo complicati falliscono (SecondLife), se troppo semplici annoiano o coprono solo nicchie. La viralità è essenziale invece per creare la massa critica e poi per “importare” la propria comunità sul social network.

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Loretta Borelli: L’emergere di un interesse così vivo per l’individuo all’interno di queste piattaforme e un’illusoria possibilità di espressione dei singoli, ha creato dei dubbi circa l’idea di network come forma di democrazia orizzontale non gerarchica. Ritenete che l’idea di network conservi ancora delle potenzialità non compromesse?

Andrea Marchesini (Gmaybe?): Non sono un esperto di forme di potere ma mi affascinano molto. Per questo sono alla ricerca di una forma di potere democratica. Purtroppo non ne ho ancora trovata una. Le comunità di cui ho fatto parte (alcuni centri sociali, qualche comunità distribuita, comunità di hacking) erano rigorosamente gerarchiche (sai quella gerarchia informale in cui esistono classi di individui, di cui uno o pochi sono comunque leader). Non penso sia un problema l’assenza di democrazia, anzi, penso che la gerarchia spesso sia utile se non essenziale. Mi piace personalmente quando nasce per meritocrazia. I social network secondo me hanno regole abbastanza studiate per evitare la nascita di gerarchie complesse. Limitare le modalità comunicative o moltiplicare/differenziare gli input sono due ottimi metodi per complicare la nascita di forme complesse di organizzazioni.

Il massimo che si è visto infatti sono gruppi di affinità o opinion leader su reti comeTwitter. Quindi direi di no, i social network non sono interessanti come forme di organizzazione sociale. Questo però non comporta che ciò che sta dentro sta anche fuori, quindi che la rete relazionale degli individui può portare a risultati inaspettati anche tramite questi strumenti.

Loretta Borelli: Gmaybe? offre un account di posta, quindi utilizza un protocollo mail, ma è una piattaforma web con un interfaccia semplice e immediata come quella di altre piattaforme e social networks.  In questi casi l’interfaccia favorisce un processo che porta gli utenti ad annullare l’idea che ci sia un’aziende alle spalle di un servizio gratuito. L’insieme degli strumenti che avete elaborato spingono gli utenti verso l’identificazione nella comunità al di là di chi la gestisce. Questo sembra essere un implicita critica al controllo silenzioso di molti servizi Internet, ma nel sito non sono del tutto esplicitate le vostre intenzioni.

Andrea Marchesini (Gmaybe?): Ci siamo molto divertiti a sembrare una vera società. Abbiamo anche creato la finta pagina dedicata alle posizioni di lavoro disponibili. L’abbiamo fatto perchè volevamo apparisse proprio come un social network come gli altri: serio, affidabile, business.

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Loretta Borelli: Rispetto al rapporto tra interfaccia e protocollo, oppure tra interfaccia e conoscenza degli strumenti, ritenete che sia necessario per un utilizzo consapevole di questi strumenti, una conoscenza tecnica approfondita? Pensate che ci possa essere, o ci sia già, la possibilità di un sistema di gestione accessibile per i non addetti ai lavori?

Andrea Marchesini (Gmaybe?): Io penso che sia essenziale l’autoformazione permanente. Specialmente riguardo Internet e i nuovi strumenti comunicativi è essenziale che le persone siano consapevoli e sappiano controllare e gestire gli strumenti proposti. Questo è essenziale per diverse ragioni: interpretare gli avvenimenti in modo critico e responsabile, immaginarsi un futuro responsabile e non subire passivamente gli input dei grandi gruppi economici e politici.


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