Periodicamente, in ogni forma espressiva, ci si deve interrogare sulle proprie origini, sulle proprie forme, sui propri contenuti. E questo avviene anche nel campo affetto da “ipervelocità” dei new media.

Da più di vent’anni cerco di ricostruire i rapporti fra area digitale e videoarte da una parte, e dall’altra i rapporti fra digitale e l’area più specifica dell’arte contemporanea. Andando controcorrente rispetto alla volontà della cultura New Media degli anni Ottanta di essere una “Cultura senza precedenti”, la cui storia si produce al momento. Molte erano le ragioni di questa Cultura del distacco: una tecnologia in continua esplosione, un’apertura del rapporto arte e scienza con pochi precedenti, la sensazione (certamente esatta) di un salto epocale.

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Fratture

Una frattura quindi dell’idea di creatività e arte rispetto anche all’arte contemporanea. Una frattura in cui si sentivano però molte contraddizioni, e una strategia (tipica di ogni corrente d’avanguardia) di fare terreno bruciato intorno alle proprie idee. Il Medium definiva tutto, era la soluzione di problematiche culturali in atto da decenni e finalmente superate dalla nuova tecnologia. La comunicazione era creatività, la creatività comunicazione.

Su questa frattura ho sempre lavorato convinto che le relazioni e i fili significativi avessero importanza fondamentale. A rischio naturalmente di appannare la “novità assoluta” dei nuovi media.

Ricomposizioni

D’altra parte la natura comunicativa, immateriale, multimediale dei nuovi media necessita di strumenti e ottiche differenziati dall’arte contemporanea, pur essendone in qualche modo parte.

Su questo argomento ho avuto frequenti scambi di opinioni con critici d’arte contemporanea, fra cui la Angela Vettese sul Sole24ore: lei, essendo propensa al superamento degli specifici linguistici per un “linguaggio arte” non condizionato dai medium o dalle tecnologie. Ma sono anche diversi critici d’area digitale a reclamare una fusione al di là del medium digitale, esprimendo il desiderio di entrare nel mainstream dell’arte contemporanea.

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Il video è digitale

Agli inizi degli anni Novanta, Ars Electronica decretò “off” il video (peraltro già digitale) perchè legato all’arte contemporanea e contrario alle parole d’ordine di allora: Comunicazione, Immersività, Virtuale. Fu la transmediale
(nata come rassegna di Videoarte) ad avere il coraggio e la volontà di andare controcorrente e mantenere un importante settore di videoarte, così come avviene ancora oggi (e con ottimi risultati).

Mi sono sempre occupato dei “punti di raccordo” fra new media e video, e dei punti di  scontro o d’incontro fra quella che continuo a considerare un’avanguardia comunicativa ed espressiva (i media digitali) e alcuni punti del panorama infinitamente eclettico dell’arte contemporanea.

Di conseguenza il fatto che alla Biennale di Venezia venga premiato Christian Marclay per il suo mega-montaggio cine-video di 24 ore The Clock, e che un lavoro come quello di Julian PalaczAlgorithmic search for love – venga invece premiato ad Ars Electronica ci pone dei problemi significativi.

Si tratta di due lavori estremamente simili nell’iconografia e nella scelta di collage, ma diversi per il montaggio lineare del primo e per il montaggio gestito da motori di ricerca del secondo. Mentre ambedue i lavori utilizzano sequenze di film dell’industria cinematografica.

I parallelismi come le differenze dei due lavori sono di grande interesse e rendono necessaria  una messa a fuoco da parte della critica di area digitale.

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Medium specifico

Il Medium digitale ha una caratteristica principalmente multimediale, una multimedialità che si differenzia in molti modi dall’intermedialità che l’arte contemporanea ha indagato durante il secolo scorso. Multimedialità, che è specificità del medium, e che va sempre rivendicata per preservare un’ottica di lettura percettiva e di contenuti che hanno reso importante la “rivoluzione digitale”. Specificità che si ritrova anche nei percorsi dell’arte contemporanea, in cui le forme del fare sono ormai di estrema libertà. Ma questa assenza di confini richiede comunque delle tassonomie, delle archiviazioni.

Non è certo per caso che la performer e videoartista Marina Abramovic stia creando un “Museo dell’arte performativa”. Sembra essere un grande spazio dove verranno conservate le tracce e le memorie delle tante opere performative che hanno segnato l’arte contemporanea. Ma il Museo si apre all’insegna della caratteristica non oggettuale e transitoria della performance, dei suoi principi di precarietà e immaterialità che tanta influenza hanno avuto sulla teorizzazione dell’arte digitale. E pensiamo a Frank Popper, Roy Ascott, Lev Manovich e tanti altri…

L’”Ombrello Arte”

Ma se l’arte contemporanea continua a chiamarsi “Arte”, malgrado un secolo di negazioni, di “Anti-Arte”, di dissacrazioni e di devastazioni del concetto di Arte, è a causa del termine che è insostituibile? O di un progetto di trasformazione che non si porta a termine?

A maggior ragione allora il digitale dovrebbe rifiutare la qualifica di “Arte”, per riallacciarsi alle proprie direttive di “Comunicazione creativa”, di “Cultura della comunicazione”. Al contrario, il termine “Arte” continua a riciclarsi all’interno della cultura digitale, apparendo perfino nelle formule attiviste come “Hacker Art”, “Net Art”, ecc…

D’altra parte, negli ultimi anni alcuni teorici hanno iniziato a rimettere in questione alcune delle teorie fondanti dei New Media, riguardando con ottiche diverse i linguaggi precedenti alla rete come ad esempio il cinema, ritrovandovi una parziale matrice comunicativa del digitale.

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Infine, il concetto di “Arte” viene utilizzato come un “Ombrello” che copre e unifica una serie di funzioni e concetti diversi: “Ombrello” utilizzato sia nell’Arte Contemporanea, sia nella New Media Art. Le capacità di questo “Ombrello Arte” sembrano essere vastissime e appunto insostituibili, dato che anche certe forme specifiche del digitale possono piegarsi a questa omologazione.

Sembrerebbe una ragione di più per approvare o permettere una “fusione” fra arte contemporanea e le forme del digitale. Invece, penso che i termini, le idee, le scoperte, i desideri contenuti in ogni forma espressiva debbano continuare a mantenere una loro autonomia e capacità d’azione.

Le forme espressive del digitale continueranno a inviare segnali d’innovazione e scoperta mantenendo un’autonomia legata ai mezzi impiegati, mentre la logica delle idee dialogherà a distanza con le strategie degli altri linguaggi espressivi.