Inscrivere in una cornice predefinita il lavoro poliedrico e in costante ridefinizione di Manuel Vason, appare un tentativo tanto arduo quanto fallimentare. Nei numerosi e diversificati progetti che questo giovane fotografo/performer può già vantare, ciò che si riscontra con evidenza è soprattutto un impulso, una tensione comune, contemporaneamente multiforme ma definita, all’azione e alla riformulazione di sè e del processo creativo, che porta dritta alla realizzazione dell’opera.
Lo strumento (nella maggior parte dei casi, la macchina fotografica) con il quale questo scopo viene di volta in volta raggiunto rimane il medium, attraverso il quale scavare la superficie di corpi e oggetti, con e grazie ai quali l’opera si sviluppa. Obiettivi che è possibile raggiungere in quella terra di mezzo in cui le arti si contaminano tra loro, dove ricerca estetica e poetica s’identificano scavalcando le distinzioni tra generi, dove la fotografia può divenire una danza, e la scultura farsi teatro.
Manuel Vason, nato a Padova ma londinese d’adozione, inizia il suo percorso artistico-professionale esordendo sui set della fotografia di moda: si sposta dunque a Milano e lavora insieme ai grandi nomi della fashion industry, pubblicando i propri scatti su riviste del settore come Vogue, Dazed and Confused e Flash Art (solo per citarne alcune). Di qui il passo verso l’estero – Parigi prima, New York e infine Londra – è stato breve, così come rapido lo sconfinamento verso il mondo delle performing arts e le collaborazioni con i suoi esponenti più significativi negli ultimi anni.
Incontri, conoscenze, che lui stesso non esita a definire come veri e propri innamoramenti, infatuazioni profonde verso artisti con cui Vason ha stretto legami e sodalizi talvolta protrattisi nel tempo; relazioni attraverso le quali ha inteso ripensare anche il ruolo della fotografia stessa. Essa, infatti, non è più semplice possibilità di immortalare una performance, un gesto o un corpo. Nel concetto che sta alla base delle sue opere, la macchina fotografica diventa infatti un mezzo grazie al quale “performare” a sua volta, in un dialogo creativo con l’oggetto che gli permette di selezionare l’azione: da semplice spostamento involontario, il movimento diviene così cosciente, volontario, e quindi comincia a contenere un significato.
“Quel momento selezionato, quell’istante in cui si concentra un significato portante, se arrestato e prolungato, si fa Posa Fotografica e, quindi, attraverso la mia intermediazione, Fotografia. Trovo assolutamente interessante seguire questo processo lungo il quale l’Azione si trasforma in Gesto che, a sua volta, diventa Posa”. [1]Un processo di lavoro comune tra soggetto ed oggetto, dunque, durante il quale i ruoli si mescolano nella volontà di una ricerca contemporaneamente estetica e poetica; per riscoprirsi, solo alla fine, contemporaneamente davanti e dietro l’obiettivo.
“Non chiamatele fotografie di scena”
Questo è sicuramente un presupposto basilare del lavoro di Manuel Vason: il suo essere vicino, se non addirittura inserito, nel contesto delle arti perfomative. Ciò non si riduce in nessun modo al classico ruolo che ricopre colui che è incaricato, dalla compagnia o dalla stampa, a realizzare gli scatti durante lo spettacolo dal vivo. Il suo avvicinarsi alla scena, o meglio, ai protagonisti di una scena che emerge sempre di più oltre sé stessa, non si può dunque ricondurre a un semplice rapporto passivo con quanto in essa accade.
Quello di Vason è un mettersi in gioco totale e, perché ciò avvenga pienamente, è necessario che anche il performer coinvolto diventi un partner creativo del progetto, pronto a fare della propria disciplina lo strumento da mettere in dialogo con la macchina fotografica. L’obiettivo, dunque, è quello di esplorare una nuova forma espressiva coniugando mezzi e modalità dell’essere attori, coreografi o pittori, insieme al lavoro da compiersi per poi giungere allo scatto fotografico finale.
Dal suo primo ciclo di collaborazioni è nato Exposure (2001), una raccolta senza precedenti in cui fotografia e live art si incontrano per dare vita a un’opera della durata di un click e, al tempo stesso, immortale. Ad esso segue il volume Encounters (2007) cui partecipano oltre cinquanta artisti internazionali, tra cui La Ribot, Ron Athey, Franko B. ed Ernst Fischer. In questi scatti, come Vason stesso dichiara, s’intende celebrare la live art: non l’artista in sé, quanto piuttosto il suo essere effige e dunque rappresentazione di una certo processo creativo, di una determinata espressione artistica, filtrata in questo caso dallo sguardo e dal gusto compositivo (spesso oltraggioso e conturbante) del fotografo italo-londinese.
Frozing the performing body
Il nucleo attorno a cui ruota l’universo fotografico di Manuel Vason è sempre stato e resta il “Corpo” quale unica presenza performativa, punto di partenza e arrivo del suo lavoro, cardine fisico su cui il performer prima, e il fotografo poi, concentrano la ricerca artistica. Il corpo della live art è, per antonomasia, tutta esperienza, mutevolezza, mentre il lavoro con la macchina fotografica offre la possibilità di creare immagini che non si dissolveranno l’istante successivo: è su questo paradosso che si concentra il lavoro di Mason. I risultati di queste collaborazioni sono allora, a differenza delle tradizionali foto di scena, delle vere e proprie performance che esistono però solo una volta diventate immagini.
Un tentativo di immortalare la presenza performativa in uno slancio congelato, in una volontà di sublimazione, che risponde alla possibilità di utilizzare linguaggi diversi per formulare nuovi fraseggi visivi. Gli artisti coinvolti sono consapevoli del fatto che, in un simile processo, il contatto con il pubblico avverrà solo in un secondo momento e solo attraverso l’immagine immortalata, statica; ciò, ovviamente, fa sì che anche da parte loro ci sia un ripensamento totale del lavoro da svolgere su di sè.
La riedificazione della propria presenza performativa viene raggiunta, quindi, facendo maturare momenti di scambio e contaminazione durante la stessa azione performativa. Con il fine ultimo di arrivare agli occhi di chi guarda con il medesimo impatto percettivo dello spettacolo live.
Nell’idea di posa che si ritrova negli scatti di Vason c’è infatti una sostanziale volontà di comunicazione, come se in ognuna delle immagini realizzate si potesse scorgere, per un principio sinestetico sottostante, il messaggio: gridato o appena sussurrato, esso viene veicolato dai corpi esposti o de-composti, frazionati, esplorati, palesati, glorificati. Essi si fanno soggetti e oggetti di una trasmissione plurireferenziale, che trascende la liveness, fermandola su supporto, e regalando così allo spettatore la possibilità di una visione continuamente fruibile.
Dall’Europa al Sud America
Nell’ultimo anno Vason è stato impegnato in un progetto in America Meridionale durante il quale ha realizzato una mappatura fotografica il cui fil rouge era identificato nella Danza, rintracciata a sua volta nelle figure statiche di diversi performers locali. In “Still Movil”, iniziativa congiunta con il Red Sudamerica de Danza, Vason si pone dunque ancora l’obbiettivo di riunire due linguaggi, danza e fotografia, e di superarne la dicotomia.
La staticità del gesto divenuto posa sul supporto fotografico, insieme alla fluidità del movimento che si svolge nel qui e ora, entrano in relazione attraverso un gioco di conflitti e incontri, dando vita a scintille di creatività inaspettate e prontamente documentate dalla macchina del fotografo. Il progetto descrive un viaggio svolto attraverso residenze artistiche di Venezuela, Colombia ed Ecuador, nella prima metà del 2011; e di Brasile, Uruguay, Argentina, Perú, Chile, Paraguay e Bolivia, da agosto ad ottobre scorso.
Un lavoro imponente che ha visto più di quaranta artisti, tra danzatori e coreografi di dieci differenti paesi, mettere a disposizione la propria professionalità, accettando di sperimentare senza remore, di perdersi e nello stesso tempo, lasciarsi guidare. Lungo questa prima parte del lavoro, alcuni dei materiali prodotti sono stati testimoniati e pubblicati sulla pagina online del progetto; nella seconda fase, prevista per l’inizio del 2012, invece, il materiale fotografico diventerà una pubblicazione realizzata nell’ottica di esser poi distribuita sia in ambito culturale che educativo. Contemporaneamente, il progetto proseguirà in una serie di esposizioni in Sud America ed Europa.
Tra i progetti futuri di Manuel Vason pare ci sia anche quello di tornare in Italia per tentare un analogo approccio con performers e compagnie che dimostrano una certa propensione all’interazione tra diversi linguaggi e media. Un gradito rientro per un artista forse più conosciuto all’estero che da noi, ma che, siamo convinti, si troverebbe in perfetta sintonia con alcune delle realtà performative emergenti, così come con quelle ormai più definite e strutturate. Una sfida che sarebbe bello poter accogliere.
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