Il testo è pubblicato nel libro di Massimo Schiavoni “Performativi. Per uno sguardo scenico contemporaneo”, Camerano (AN); Gwynplaine Edizioni, 2011, pp. 254 â” 260 (ISBN 98-88-95574-20-2)
Nico Vascellari è un artista italiano nato a Vittorio Veneto (TV) nel 1976. È presentato dalla Monitor Gallery di Roma, una delle gallerie più interessanti e attente alla ricerca nell’arte contemporanea italiana.
Le sue opere e le sue performance sono presenti in occasioni e sedi prestigiose in Italia e all’estero, come la Biennale di Venezia, il Palazzo delle Esposizioni e il MACRO di Roma, il Museion di Bolzano, il MAMBo di Bologna, il Tent di Rotterdam, la Los Angeles Crisp Gallery di Londra, il Marina Abramovic Institute di San Francisco, l’Italian Academy della Columbia University a New York. Vascellari ha ottenuto vari riconoscimenti istituzionali tra cui nel 2010 il Premio Acacia (Milano), nel 2007 il Premio della Giovane Arte Italiana 2006-2007 del DARC di Roma, nel 2006 il Premio New York del Ministero degli Esteri and Columbia University di New York, nel 2005 il Premo Internazionale delle Performance (Dro, TN).
Energico e ubiquo, artista e musicista, geniale e solo apparentemente sregolato, con cura e attenzione per il dettaglio, unisce nella propria opera la presenza fisica in movimento e i contenuti concettuali di riferimento.
Nico Vascellari artista comunica principalmente attraverso il linguaggio performativo, il video, l’installazione. Questi tre ambiti di creazione incontrano il favore della sua espressività poiché sono in grado di esaltare buona parte delle componenti che ne caratterizzano la ricerca artistica.
Performance, installazione e video sono i linguaggi della possibilità, del costante mutamento, della rigenerazione. Questa “teoria dell’evoluzione” è un caposaldo del lavoro artistico di Vascellari: muoversi, spostarsi, cambiare, essere in movimento. Non staticizzare l’opera, renderla nuova, renderla vera, renderla sé e anche altro da sé; comunicarla qui ed ora, e trasformarla di nuovo nel futuro, come un essere vivente in costante crescita e cambiamento. L’opera di Vascellari è, in ogni sua manifestazione, autonoma e impura.
Senza voler peccare di semplificazione, nel breve testo qui presentato, attraverso l’analisi di alcune opere di Vascellari, si vuol rendere conto di questa idea: quanto il movimento sia importante e incardinato nelle componenti individuate come cruciali nell’arte di Vascellari: il suono, il corpo e il volume.
Innanzitutto nel suono già si esprime un graffiante e intimo istinto all’azione, al gesto, al comportamento dinamico e attivo. La sonorità noise, hardcore, punk (che è nota essere un punto di riferimento per la formazione di Vascellari) è presente in tutte le “apparizioni” dell’artista.
Un suono che nelle performance è molto vivo, pieno, forte, feroce, che risente della presenza attiva dell’audience e delle esperienze di Vascellari musicista; un suono che in digitale, nella sua rappresentazione mediata nelle opere video, diventa costante distorsione, dissonanza, incomprensibile armonia che riparte dalle origini della musica concreta e rotola giù nell’era post-post-post-industriale.
Un particolare ritorno di un certo suono, rumore, clangore, richiama alla memoria dello spettatore che l’ha vissuta l’azione performativa, e del fruitore dell’opera video l’origine del fare artistico di Nico Vascellari. Non a caso, quindi, la prima indicazione che si palesa nell’analisi dell’attività dell’artista è il suono. Esperienza sonora intesa, anche e soprattutto, come esperienza simbolica.
Già a partire da un video primordiale come Untitled Song (2004), caratterizzato da una lineare semplicità non narrativa, in cui protagonista è il metallico suono di parti di una batteria che va a pezzi rotolando in un bosco quasi all’infinito, si intende quale prevalenza assoluta abbia il suono e la suggestione sonora nell’attività Vascellari.
Esperienza musicale: Suono e Simbolo (o rito)
A Great Circle (2003/2004) è un video basato su tre differenti performance. L’apertura lascia presagire un’ambientazione cupa e disperante, influenzata da sibili, ronzii, un barlume di una fioca luce che non svela più di quanto non si possa immaginare. L’incipit è bruscamente interrotto a cinque minuti dall’inizio dalle visioni diurne di un paesaggio montano, una dolina carsica attraversata nella sua bellezza naturale da una figura umana che si muove a piedi tra distese di fogliame e boschi innevati. Il personaggio, che proviene dalla performance Nodo Terziario (2003), è accompagnato dal suono, così come la natura, ed entrambi si svelano come apparizioni improvvise ed evocative.
Il simbolo o rituale è qui fortemente suggerito dalle immagini, dall’ambientazione e della caratterizzazione del personaggio protagonista. Egli indossa un vistoso mantello multicolore, aggregato con molteplici porzioni di tessuto, e ha il capo coperto da lana verde smeraldo, cammina lentamente fino a che non incontra un microfono che diventa lo strumento per l’azione continua; il protagonista seguirà costantemente il cavo che porta all’oggetto simbolico che si trasforma in urla e suono. Questa attività sembra influenzare il corso della natura, in cui momenti di quiete e luce solare si alternano al buio notturno illuminato dalla luna.
L’ambientazione si intreccia con frame tratti dalla performance Glitter Secondario (2003): una band vestita con tute glitterate si esibisce in una stanza angusta. Intanto si fa notte nel video, e nei boschi si scatena il rito: luna, suono, lampi di luce, contrazioni…
“Ma chi sono i mostri che arrivano dalle selve, che mettono in crisi il modello della società civile, lo ridicolizzano e lo ribaltano? La forza primigenia della natura, l’energia prorompente che non ha ancora conosciuto il limite delle leggi civili si incarnano in un personaggio dalle molteplici identità che si ripropone nella notte dei tempi in una dimensione che non conosce confini di tempo o di spazio: l’Uomo Selvatico”. [1]
Il rimando ad una figura così presente nella tradizione popolare pagana, italiana e non solo, è ispirato dalla presenza di un individuo fortemente legato al mondo animale, con una veste – citando ancora il saggio di Maria Altiero – a cui “possono essere applicati orpelli di diversi colori e soprattutto campanacci o oggetti capaci di produrre rumori assordanti. Il comportamento di questi personaggi è sempre scomposto, estremamente violento e teso al sovvertimento di quelle che sono le regole del quieto vivere”. [2]
Il rituale metamorfico ha un significato più profondo nel collegamento, che la Altiero suggerisce, con il pensiero greco antico. L’uomo delle selve rappresenta il saggio nel teatro greco, perciò è colui che attraverso il rituale, avendo vissuto nei panni del selvatico, ha compiuto un’esperienza di iniziazione e conoscenza diretta dei significati delle origini dell’uomo e della natura. L’esperienza rituale è, dunque, un’esperienza extraordinaria attraverso la quale l’umano può aumentare il proprio grado di conoscenza e consapevolezza per vivere in modo migliore.
A rafforzare il senso di quanto sopra esposto, giungono le riprese della terza performance che completa l’opera: Buio Primario (2003), il cui video è dominato dall’esperienza fisica ed emotiva di Vascellari, chiuso per una settimana all’interno di uno spazio buio di circa quattro metri, alla ricerca di uno stadio primordiale in cui vivere, producendo, creando, sfamandosi, liberandosi.
Esperienza performativa: Corpo e Volume
La scultura è certamente un linguaggio guida per Vascellari. [3] L’opera Revenge (2007), presentata inizialmente nella Sala Marceglia dell’Arsenale in occasione della 52a Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia come installazione site specific e con tre performance con John Wiese, e in stadi successivi come video e performance (TTV Festival 2008, Riccione), è rappresentativa della volontà di dare forma, corpo e volume all’ispirazione creativa.
Un’imponente parete concava ricavata da legno bruciato ospita sessanta amplificatori prestati da altrettante band e musicisti underground e diventa il palcoscenico ideale per il momento performativo. Nico Vascellari entra in azione collaborando con la parete: il rumore si amplifica, esce dagli altoparlanti e torna al microfono, la parete stessa prende vita, suona, mugola, sibila, si attiva in costante reazione con quando accade attorno.
Il corpo è, dunque, inteso non tanto come fisicità ma come oggettualità e tridimensionalità, della presenza e della visione, dell’ascolto. È il volume il minimo comune denominatore che avvicina oggetto concreto e sonorità immateriale. Sia il suono che la cosa, in quanto elemento installativo, scultoreo, possono essere qualificati e quantificati dal volume che li contraddistingue. L’esperienza dell’opera di Vascellari è un’esperienza volumetrica.
I hear a shadow (2009) è l’opera in cui meglio si sente, si sperimenta l’importanza del volume: protagonista dello spazio (prima il Lambretto Art Project di Milano, poi il Museion di Bolzano) è un’enorme scultura monolitica di bronzo fuso, creata da un calco di un blocco di montagna ottenuto da un’esplosione, la cui superficie gode dello speciale trattamento riservatole durante la realizzazione che l’ha resa simile al carbone, una massa bruciata, segnata, incisa, e viva, stratificata, vecchia.
Questa massa veterana accondiscende a un secondo trattamento che ha a che fare con il volume: il dialogo che Nico Vascellari intrattiene che essa durante le performance è un discorso che richiama i suoni che provengono dall’interno della terra, dai tempi che si sono sommati e accumulati, è un continuo ritorno di frequenze, oscillazioni, pressioni generati dall’azione dell’artista sul corpo bronzeo, e fa sì che si percepiscano i suoni uniti ad altri suoni selezionati ed elaborati dai musicisti presenti duranti l’azione performativa.
L’esperienza audiovisiva: Video e Installazione
Un’opera come A Great Circle (2003-2004) chiarisce, fin dagli inizi dell’attività, che a Nico Vascellari non interessa il video come documentazione. Il video è un’opera completa, a sé stante, con una propria autonomia e una propria forza.
Per rendere evidente questa indipendenza del video, Vascellari cerca il più possibile di evitare un’interazione ritmica e didascalica tra suono e immagini. Nel video non si vede quasi mai chiaramente, l’immagine resta sempre evocativa, suggerisce di immaginare quello che sta per accadere. La percezione mossa, sincopata, è una caratteristica costante delle riprese video, contraddistinte da un montaggio frenetico e da una continua sovrapposizione, stratificazione dei piani di visione e di suono.
Per l’introduzione, la costruzione e l’esibizione del video, Vascellari utilizza sia l’immersione totale nell’ambiente video-installativo sia la visione frontale su monitor. Le modalità di incontro tra opera, spazio e fruitore sono evidenti in un’opera come HYMN (2008), installazione presentata in occasione di Manifesta 7, all’interno della Ex Manifattura tabacchi di Rovereto (TN). In questa installazione, liricamente composta, il video è proposto come proiezione immersiva restituita nell’ambiente su frammenti di perspex, specchio e legno. In modo del tutto differente, nell’installazione Lago Morto (2009) per la Kunsthaus di Graz, il tour della band Lago Morto, tenutosi a Vittorio Veneto nel maggio 2009, è proposto con video simultanei su diversi monitor per una visione frontale.
È nella presentazione, nella modalità di fruizione che il video mantiene alcune peculiarità della performance: la preponderanza della realtà boschiva e delle sue tradizioni, l’underground, la contaminazione, la citazione, la stratificazione, la costante modificazione. Queste prerogative, che restano intatte al passaggio dalla performance al video, sono le basi dell’esperienza performativa e dell’esperienza audiovisiva dell’opera di Nico Vascellari.
Note:
[1] –M. Altiero, L’uomo selvatico nel carnevale: il rituale di Cournon, in A.M. Monteverdi, La maschera
Volubile, Pisa, Titivillus Edizioni, 2000, pp. 39-44.
[2] – Ibidem.
[3] – A tal proposito, si rimanda al testo di A. Lissoni, Tempered from living between a rock and a hard place, in
Catalogo della mostra “Nico Vascellari” (a cura di L. Ragaglia, 5.6-29.8.2010, Museion, Bolzano), Milano,
Mousse Publishing, 2010, pp. 112-119.