Dal 13 aprile al 15 agosto scorso si è tenuta a Lille, alla Gare Saint Saveur, la mostra collettiva “Paranoïa”, dove sono state presentate ventinove installazioni, per lo più interattive, che si situano nel punto di incontro fra arte, scienza e tecnologia. Come suggerisce il titolo, si è voluto indagare soprattutto l’influenza che certe suggestioni tecnologiche hanno sull’immaginario artistico, producendo talvolta esperienze “paranoiche” del nostro vissuto o della nostra esperienza percettiva. Quando  la ricerca scientifica incontra la pratica artistica, le visioni che ne emergono sono allucinate,  nel senso di una deformazione della percezione del mondo moderno, in un ottica futuristica, tecnologica, ludica e spaventosa allo stesso tempo.

Fra le opere presentate ha catturato la nostra attenzione EOD 02 (Electric Organ Discharge), di Frederik De Wilde. EOD 02 è un’installazione realizzata in collaborazione con il LAb[au] di Bruxelles e composta da quattro acquari a specchio posti su piedistalli con audio integrato. Ciascun acquario contiene specie particolari di pesci, presenti più che altro in mari del Sud America o dell’Africa, che emettono segnali elettrici. Il progetto si basa sulla tensione del campo elettrico provocato dalle scariche emesse nell’acqua, mentre i pesci percepiscono il loro ambiente e comunicano tra loro.

Le scariche elettriche all’interno degli acquari sono raccolte da antenne direttamente connesse a quattro altoparlanti che traducono le emissioni elettriche in suoni. Inoltre, sotto ogni acquario, si trova una lampadina che pulsa secondo l’intensità dei segnali emessi: in questo modo gli impulsi elettrici dei pesci diventano tangibili, visibili e ascoltabili, in forma di luce e suono.

Quella che viene interrogata in questo caso é la relazione tra comunicazione e tecnologia, non solo per l’uomo  ma anche nella natura. L’opera si colloca in quel punto di intersezione fra arte, tecnologia e scienza, tematizzando ed esplorando questo territorio invisibile e intangibile.

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Frederick De Wilde é difatti uno degli artisti più interessanti nel panorama contemporaneo delle digital arts, in particolar modo per quanto riguarda la sperimentazione nei campi della robotica, dell’arte generativa e della cosiddetta Nano Art.

Salta subito all’occhio come nelle sue opere ci sia spesso un riferimento alla lunga tradizione pittorica e dell’arte figurativa, non solo per il straordinario impatto estetico dei suoi lavori, ma soprattutto per il suo approccio filosofico  all’arte e la consapevolezza nel relazionarsi, dal punto di vista teorico e creativo, alla scienza. Esattamente come fecero prima gli impressionisti, i cubisti, i futuristi o artisti come Yves Klein.

E percorrendo le sue opere più recenti, ci rendiamo conto di tutto ciò. Partendo dalla robotica, pensiamo ad opere come UMWelt:VIRUtopia, un’installazione sempre del 2011 realizzata in partnership con il Karlsruhe Institute of Technology. Questo progetto di swarm intelligence, interagisce ancora una volta con lo spazio, con la sua dimensione sonora e luminosa e con il pubblico. In realtà il sistema di swarm intelligence non si limita alla sua autonomia, ma si apre ai confini stessi che lo delimitano: la realtà esterna in cui si colloca, altri sistemi intelligenti che lo percepiscono. Psicologia dell’iterazione.

I lavori di De Wilde aprono sempre un questionare infinito che va oltre l’opera in sé, ma raggiunge anche l’esperienza di fruizione dello spettatore e il contesto in cui l’opera si colloca, fatto anch’esso di elementi fisici che assumono così una valenza anche estetica: luce, suono, spazio, vuoto.

Abbandonando la dimensione “plastica” della robotica, De Wilde ha anche esplorato l’arte generativa con risultati unici e notevoli, come per esempio la serie NRS Z.space. Come dice l’artista stesso nello statement della sua opera, egli “dipinge con i dati”, nel tentativo di giungere ad una commistione di forte rilevanza artistica, tra l’arte generativa dei nuovi media e la pittura tradizionale. Il nuovo paesaggismo del ventunesimo secolo é dato da un astrattismo visivo non più figurativo, ma digitale ed informatico. In questo senso opere come Vectors 4 [UN]Certainty o On Fire, sono esempi perfetto di questa grafica evocativa e profonda.

Lo spettatore si trova quindi sospeso non solo tra immaginari visivi futuristici e pittorici, ma anche, qui come nella robotica, in quel territorio in parte ignoto che nasce dall’incontro interattivo fra scienza e arte, dove il determinismo lascia spazio alla creazione, e la tecnologia diventa strumento estetico e filosofico.

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Altro discorso estremamente interessante affrontato da De Wilde è infine quello presentato nella serie di opere Qu[Art]z, dove in un certo senso ritroviamo l’estetica della nano art e i suoi tempi centrali, ma questa volta con un risultato che rimane un’esplorazione ancora aperta, ossia la possibilità/sfida di tradurre audiovisivamente un fenomeno naturale come la modificazione e trasformazione fisica dei cristalli, una volta registrata e ripresa nelle sue varie fasi.

Per affrontare questi e altri temi, abbiamo incontrato per l’occasione, l’autore.

Sivia Bertolotti: La tua opera  EOD 02 é stata presentata all’interno della collettiva “Paranoïa”, una mostra che esplora l’immaginario collettivo artistico in relazione e sotto l’influenza della tecnologia e della scienza. Quale credi sia la relazione tra scienza e arte in senso più ampio? Si tratta di un’interazione, una reciproca influenza o piuttosto di una forma di comunicazione?  

Frederik De Wilde: Basterebbe percorrere la storia, dal Rinascimento al Positivismo all’era contemporanea, per vedere come il rapporto fra arte e scienza sia stato sempre in realtà molto stretto. Credo che il confine che separa i due ambiti sia abbastanza labile, in quanto si tratta sostanzialmente di approcci diversi al mondo naturale, alla realtà. L’arte sicuramente coinvolge più la sfera inconscia, mentre la scienza si caratterizza piuttosto per l’osservazione empirica dei fenomeni oggettivi.

Ma la scienza non é a mio parere diversa dall’arte, sono solo due diversi punti di vista diversi sulle cose. Anche per quanto riguarda più specificamente la presenza della scienza in una sfera più propriamente artistica, abbiamo diversi esempi nel corso della storia: pensiamo a Monet, per citarne un nome conosciuto, e all’attenzione  che gli impressionisti prestavano alla luce in quanto fenomeno e all’osservazione in generale. Potrei citare anche l’esempio del Bauhaus. In ogni caso é interessante il tipo di approccio ad un fenomeno naturale ed esterno come la luce, la maniera in cui viene percepita e osservata.

Credo quindi che tra arte e scienza si tratti piuttosto di un’intersezione tutta da esplorare, al di là di ogni dualismo di matrice occidentale. E la Nano Art, per l’appunto, si pone al centro di questo punto di intersezione e comunicazione, spesso “invisibile” per noi.

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Sivia Bertolotti: A proposito di Nano Art, sul tuo sito web scrivi: “The conceptual crux of this artistic praxis are the notions of the intangible, inaudible, invisible”. Potresti spiegarci meglio di che si tratta e cosa intendi con questo termine e perché questo punto invisibile si trova al centro dell’intersezione fra i domini dell’arte, della scienza e della tecnologia?

Frederik De Wilde:La Nano Art é un tentativo di rendere visibile ciò che non lo é. Il punto é ancora una volta la percezione di una realtà presunta invisibile. Al contrario si tratta solo di accedere ad una nuova dimensione della realtà stessa, invisibile ad occhio nudo, ma non tramite l’utilizzo di specifici strumenti. Questo concetto si trova anche nel video Power of Ten di Charles and Eames, in cui si mostra come la natura sia articolata in magnitudini, scale, ordini di grandezza,  gradi di cui noi non abbiamo coscienza. Esiste quindi tutta una complessità, invisibile, cui solo la tecnologia e i suoi mezzi possono aver accesso.

Sivia Bertolotti:Nelle tue opere di Nano Art, specialmente nei Nanolandscapes, hai utilizzato microscopi molecolari e atomici. In EOD 02, ti sei servito invece di sensori e antenne. Qual é a tuo parere il ruolo della tecnologia all’interno della creazione artistica?

Frederik De Wilde:Come dicevo prima la tecnologia é giustamente un mezzo, uno strumento che dà accesso ad una dimensione altra da quella che noi percepiamo quotidianamente con i nostri cinque sensi. Ed é un tool essenzialmente di esplorazione. A volte mi capita in un certo senso di abusarne, da un punto di vista prettamente scientifico. Per esempio avevo creato dei cristalli fatti da me, che poi ho analizzato al microscopio aggiungendovi altre piccole particelle, frammenti di materiale etc.

La procedura non é certo scientificamente rigorosa, ma il mio approccio era piuttosto esplorativo. Senza tecnologia certe dimensioni della realtà, a livello di percezione sensoriale e soprattutto visiva, rimarrebbero nascoste.

Sivia Bertolotti: Cosa si trova dietro il paradosso di rendere visibile ciò che é invisibile?

Frederik De Wilde:L’ingresso in una dimensione che ci circonda quotidianamente e che tuttavia rimane ignota. Siamo circondati da radiofrequenze, segnali, onde e tutto ciò rimane inaccessibile pur essendo intorno a noi costantemente. D’altronde il tema dell’invisibilità era presente anche nella mitologia greca: pensiamo agli dèi Athena o Ade, che in certe occasioni e circostanze potevano nascondersi alla vista degli uomini. Ma dal punto di vista artistico c’é una connessione fra tutti i fenomeni, anche quelli apparentemente più lontani.

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Sivia Bertolotti:Qual é il tema concettuale che vuoi investigare ed esplorare all’interno del rapporto tra biologia e tecnologia?

Frederik De Wilde:La biologia é tecnologia, nel senso che quest’ultima spesso si ritrova anche all’interno di sistemi biologici e naturali. La biotecnologie non sono orizzonti poi così futuristici. Penso ai pesci elettrici che ho utilizzato per EOD 02. Essi emettono radiazioni e impulsi elettrici per comunicare tra loro.  Se considero il pubblico di quest’opera e la sua ricezione, mi accorgo che per molti si tratta di un fenomeno contemplativo, per alcuni un momento di riflessione, per altri semplicemente curiosità.

Sivia Bertolotti: Puoi dirci qual é il tuo modo di lavorare, il tuo processo creativo e da dove nasce l’ispirazione? In particolare per quanto riguarda EOD 02.

Frederik De Wilde:Non esiste un metodo specifico e unico per creare. Diciamo che spesso parto da un’intuizione, ma può essere anche uno scambio con un collega artista, oppure un pensiero, un’osservazione. Poi tutto passa attraverso un processo di “incubazione”, in cui appunto rielaboro quelle intuizioni. L’importante è per me mantenere sempre una mente aperta, un’attitudine di questo tipo verso l’esterno.

Sivia Bertolotti:Uno dei temi principali di EOD 02 é la comunicazione in senso ampio. I pesci infatti comunicano tra di loro attraverso segnali elettrici, esattamente come fa l’uomo moderno. Per caso i pesci sono nostri predecessori in un certo senso? Qual é allora il ruolo della tecnologia nei mezzi moderni di comunicazione?

Frederik De Wilde:Certo, in un certo senso lo sono. I pesci utilizzano la totalità dei loro sensi, la loro attività percettiva é completa. Ci sono infatti così tanti segnali nell’aria, onde, radiofrequenze, ma noi ne recepiamo solo una minima parte. Il caso dei pesci é inoltre interessante anche per il fatto che in sostanza comunicano tra loro attraverso impulsi elettrici. Ma spesso il livello dei segnali é diverso e per potere comunicare devono raggiungere la stessa frequenza.

Dopo questa negoziazione e livellamento elettrico, solo allora sono in grado di comunicare.  Inoltre ogni pesce ha una sua specifica identità, definita attraverso il numero di segnali che emette.  Essi sono in grado di distinguersi e di riconoscersi attraverso la loro singolarità.

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Sivia Bertolotti: Parlando di EOD 02, l’utilizzo di sensori implica un algoritmo decodificatore che alla fine é sempre un atto soggettivo di interpretazione di un fenomeno naturale. Come ti poni rispetto all’interpretazione del linguaggio dei fenomeni?

Frederik De Wilde: Heiddeger diceva che “l’arte é un progetto”. La pratica artistica é una sorta di filtro che ci fa scegliere fra le infinite possibilità di un progetto aperto. Selezione prima, e poi amplificazione, come se si fosse all’interno di un laboratorio, circondati da radio frequenze. L’atto di scelta é sempre soggettivo, in ultima istanza.

Sivia Bertolotti: Le scariche elettriche sono convertite in suoni. Qual é a tuo parere la natura del suono?

Frederik De Wilde:Tutto é suono nella natura. Questa è forse un’affermazione che può sembrare molto “orientale” dal punto di vista filosofico, ma alla fine la frequenza é un fenomeno fisico presente costantemente. Il suono é allora una manifestazione di una realtà invisibile ma che ci circonda. Esso diventa un aspetto visibile di una realtà invisibile. E questo ci riporta alla Nano Art.

Sivia Bertolotti: Nello statement di Umwelt dichiari: “All technologies are social technologies”. Puoi spiegarci meglio il senso di questa frase? E in particolare  come pensi che la robotica interagisca con la realtà esterna, sia sociale che artistica?

Frederik De Wilde:Sì, lo so, è una dichiarazione coraggiosa e anche un po’ provocatoria. Essere un artista significa anche sollevare discussioni e questioni fondamentali. Sono molto interessato a come le tecnologie possano agire a livello sociale e creare un potenziale di cambiamento. Le innovazioni sociali sono molto più difficili da realizzare rispetto a quelle tecnologiche.

Dal mio specifico punto di vista non vedo niente di sbagliato nell’affermazione citata. In generale si potrebbe dire che la maggior parte delle tecnologie sono destinate ad interagire (comunicazione, fabbricazione, produzione, etc.) o, al contrario, hanno la possibilità di inquinare o addirittura distruggere le cose, che è d’altronde il lato ‘Altro’ o ‘oscuro’ della tecnologia. Ma si potrebbe sostenere che anche questa categoria rientra nella tecnologia sociale in un certo senso.

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Il caso di Umwelt-VIRUtopia è chiaramente un esempio di come le relazioni sociali possano diventare tangibili: da un lato hai l’aspetto tecnologico rappresentato dallo swarm robot come mezzo di espressione, dall’altro abbiamo il pubblico e l’artista. Qualcosa che potrebbe ben descrivere il mio punto di vista è lo scambio ‘soft’ tra forma e contenuto e il ruolo dei media rispetto agli uomini e all’ambiente. Mi sto chiaramente riferendo a Marchal McLuhan come interpretato da Levinson. Vedo questo scambio come qualcosa di incapsulato in un’ecologia che descrive una rete di relazioni tra (nuove) tecnologie, persone e contesto.

Questa ecologia è parte di una o più sfere. Una buona lettura su questo particolare tema è Spheres di Peter Sloterdijks. Elementi di queste sfere sono anche fattori di una trasformazione economica, sociale e culturale che sono inoltre generatori di un nuovo ambiente per la produzione di ideali culturali. La tecnologia è solo uno strumento e i media possono essere interpretati come ambienti o contesti che possono illustrare, non in modo peggiorativo, come un’opera di media art possa strutturare un’esperienza. Qui mi ricollego alla nozione semiotica e artistica di sfera, per cui l’arte può essere vista o interpretata come una macchina esperienziale.

L’esperienza in sé è il residuo di una ricerca profonda e sincera, di una visione, di contenuti e forme trasformate in qualcosa che è maggiore della semplice somma dei suoi componenti. In generale io mi concentro sulla conoscenza e l’espressione artistica e scientifica, in combinazione con la teoria critica e la riflessione interdisciplinare sulle relazioni tra natura e tecnologia.

In particolare sono interessato alle nozioni di intangibilità, immaterialità, invisibilità, il virtuale o potenziale, e come siano spesso fondati nell’interazione tra sistemi complessi, sia biologici che tecnologici. Inoltre, quell’area indistinta e sfuocata, dove il biologico e il tecnologico si mescolano, è un terreno produttivo e privilegiato per i miei progetti / proiezioni. Si tratta di un costante esplorazione dello spazio liminale.

Umwelt-VIRUtopia interroga questo spazio liminale in modo psicologico, indagando in particolare la psicologia delle frontiere. Che cos’è un confine? Quanto psicologico è un confine? Che cosa è la sicurezza? Possono i raggi laser essere percepiti come una sorta di gabbia cinetica? Possiamo cambiare l’architettura attraverso l’interazione? Possiamo rompere gli schemi in quanto audience? L’interazione diventa interessante quando le convenzioni sociali sono modificate o addirittura infrante. I confini sono fatti per essere attraversati? Possiamo riprogrammare lo spazio?

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Sivia Bertolotti: Pensando sempre a Umwelt: VIRUtopia, tu parli di confini. Qual é per te il confine (o la sfida) invece che la robotica deve superare a tuo parere?

Frederik De Wilde:C’è un chiaro incremento nell’uso della robotica nelle arti contemporanee. Per esempio in fiere o grandi festival come Ars Electronica, ma bisogna fare una distinzione tra i diversi ‘ruoli’ che la robotica può giocare. Più precisamente tre ruoli principali possono essere osservati e classificati:

a) l’uso del robot come opera d’arte (Panamarenko)
b) l’uso del robot per una performance artistica (Tinguely)
c) miglioramento delle skills che evocano un’esperienza (Natalie Jerimijenko)

Si potrebbe anche prendere in considerazione una quarta categoria che incorpora la robotica e l’umano, il corpo animale. Questa categoria ibrida sta diventando sempre più naturale con la nostra evoluzione e Stellar è senza alcun dubbio un precursore in questo. I confini tra il nostro corpo e la tecnologia si stanno sgretolando, poco a poco. E’ un processo lento ma apparentemente inevitabile. Il futuro della robotica si trova quindi nell’etica piuttosto che nell’innovazione tecnologia.

Tra l’altro, il termine robot è stato coniato nel 1920 dal regista Karel Capek del gruppo teatrale R.U.R.. La trama tratta principalmente dell’uomo posto radicalmente di fronte alla macchina. Il personaggio principale é costituito da un robot che arriva ad un livello di intelligenza tale da uccidere il suo creatore. Sappiamo che attualmente una macchina difficilmente potrebbe comportarsi così. Credo che sia naturale per i registi teatrali e gli artisti in generale, drammatizzare. Senza dramma, non c’è alcuna storia. Ma è un ragionamento che regge? Non lo so.

D’altra parte possiamo anche osservare la presenza dei robot nelle produzioni Disney. Alcuni esempi sono Wall-E e iRobot, per esempio. Entrambi rappresentano due differenti punti di vista. È chiaro che entrambi sono luoghi comuni e hanno influenzato la nostra percezione e il nostro immaginario. Le radici storiche di questo bipolarismo possono essere trovate nel dualismo di Cartesio e nella nostra visione antropocentrica della natura.
L’ambito di utilizzo più affascinante della robotica è attualmente l’esplorazione spaziale. Come specie dobbiamo esplorare per sopravvivere, ma purtroppo siamo molto limitati nella nostra mobilità a causa della nostra natura fisica. Credo che tuttavia il chiaro e decisivo ruolo della robotica sia quello di aiutarci ad esplorare l’ignoto e lo spazio sconosciuto. Questa è la chiave per capire da dove veniamo, dove stiamo andando e soprattutto dove ci troviamo.

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Sivia Bertolotti: Qual é la cosa più importante che insegna il comportamento della swarm intelligence? Il modello dello swarm é da interpretare in senso biologico e naturalistico solamente?

Frederik De Wilde:Il comportamento della swarm intelligence può essere ritrovato ovunque ed è una delle manifestazioni più affascinanti ed interessanti che possono essere osservate sulla natura e nella natura. Trovo la formazione di modelli, l’uniformità di movimento nel suo complesso, qualcosa di quasi magico. E’ stato osservato e analizzato che un uccello su trecento riesca a comunicare con almeno sei uccelli circostanti. Non si sa come avvenga precisamente questo processo di comunicazione, ma registrazioni video a rallentatore hanno mostrato che si tratta di un’evidenza.

La vecchia idea di un leader che indica la traiettoria e guida il gruppo sembra svanire. Queste osservazioni ha aperto la strada a  nuovi modi di pensare le dinamiche sociali, che fornisce uno standard nello sviluppo dei giochi, dei social networks etc. Una migliore comprensione della nostra natura potrebbe migliorare la nostra società se solo ne avessimo la volontà. Pongo l’accento sulla volontà, perché è terribilmente importante in tutte le cose che facciamo.

Sivia Bertolotti: Qual é il rapporto fra l’arte generativa e la tecnologia? Quale invece l’influenza delle fine arts? In entrambi i casi si tratta di punti di partenza o di elementi di confronto?

Frederik De Wilde:L’arte generativa e la tecnologia sono sicuramente collegate tra loro, ma non
sempre in maniera tecnologica. Se si considera l’arte concettuale degli anni ‘60 e ‘70, allora si possono vedere con chiarezza le strategie diverse nella pratica artistica, a partire dalla pittura fino ai primi esempi di computer art degli anni ‘60. Quello che voglio affermare é che l’arte generativa non é legata ad uno specifico stile o strumento. L’elemento chiave é di sicuro il fatto che l’esecuzione dell’opera d’arte deve essere (in parte) compiuta attraverso qualcosa di esterno rispetto all’artista.

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Sivia Bertolotti: Come nasce un’ opera d’arte generativa come Vectors 4 [UN]Certainty o Z space? Quali sono gli elementi utilizzati?

Frederik De Wilde: La maggior parte, ma sicuramente non tutte, le opere della serie [NRS] sono basate su una qualche interazione con lo spazio pubblico. Nel caso di Vectors 4 [UN]certainty ero interessato a come uno spazio possa essere mappato e rappresentato; così ho messo una macchina fotografica su una piattaforma rotante, in maniera tale che registrasse ogni movimento e suono. Una volta registrato il panorama a 360° ho importato il file video in un ambiente di programmazione orientato agli oggetti chiamato Max.

Ho costruito una patch per interpretare i dati. Nel fare questo è necessario riflettere a fondo su cosa é necessario utilizzare. Il risultato è stato una progettazione parametrica che posso modificare rapidamente, ma che comunque viene eseguita con uno specifico insieme di regole e vincoli. Con l’aiuto di un amico programmatore abbiamo anche trovato il modo di creare immagini ad alta risoluzione come output. Ciò non era possibile prima.

La seconda cosa che volevo fare era materializzare il file digitale in qualcosa di palpabile, perché volevo che il risultato fosse mostrato in un contesto pittorico-artistico. Per produrre questi Data Painting ho in un certo senso abusato della tecnologia. Mi spiego, mi ci è voluto molto tempo in termini di prove ed errori per trovare una materialità che mi piaceva. Ciò che ho fatto é stato dipingere i primi layers (ad esempio i layers di base), dopo di che ho lavorato con un tipo particolare di stampante per stampare sui layers di base. I primi risultati erano promettenti, ma non ero ancora soddisfatto, quindi ho continuato la mia ricerca.

Infine ho fatto un accordo con il proprietario della stampante per stampare diversi layers l’uno sopra l’altro. Questo sarebbe stato perfetto se avesse funzionato perché si sarebbe potuta vedere una topografia nella ‘Pittura’, e sarebbe diventata un’opera tridimensionale. Mi piaceva l’idea ma c’era uno svantaggio, e cioè la testina di stampa avrebbe potuto rimanere bloccata. Ora bisogna sapere che questa parte specifica della stampante è piuttosto costoso. Comunque ho corso il rischio, dicendo che avrei rimborsato la parte nel caso si fosse rotta, ma per fortuna non é accaduto. Per la prima volta sono stato ottimista nella traduzione di un file digitale in un oggetto fisico.

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Sivia Bertolotti: Pensando alla serie di opere Qu[Art]z, potresti descriverci l’interpretazione del processo di trasformazione della crescita dei cristalli in un oggetto audiovisivo (e quindi artistico) e perché i cristalli sono cosi’ emblematici nell’esplorazione del rapporto arte/scienza?

Frederik De Wilde: La sonificazione della crescita dei cristalli é ancora un work in progress e sembra una cosa più semplice di quello che in realtà é. Bisogna considerare che ci sono diversi modi di far crescere i cristalli e sono tutti diversi. Il processo di cristallizzazione può essere molto lento o estremamente veloce. A seconda della velocità ci sono diverse modalità e settaggi.

Per fare un esempio: mantenendo l’acqua demineralizzata (le impurità infatti possono fare da semi catalizzatori) poco al di sopra di 0°c, si immerge poi un anello in un misto di sapone e acqua demineralizzata. Facendo gocciolare alcuni frammentidi cristallo sopra la pellicola, si crea un momento catalizzatoreda cui si genera rapidamente il processo di cristallizzazione. Potremmo pensare il cristallo come un fiocco di neve che ha bisogno di alcune impurità per diventare più grande e continuare a cadere.

Questo é affascinante. Le impurità creano bellezza. In secondo luogo sono molto interessato nelle forme che si creano, nella loro direzione, velocità e trasparenza o opacità. Mi é sempre interessato integrare processi casuali nella mia pratica artistica, in particolare quello della ‘critical mass,’ quando le cose sembrano essere fuori controllo ma in realtà evocano una bellezza radicale. Ho iniziato questo progetto con il guru del MaxMsp/Jitter, Jean-Marc Pelletier.

E siamo solo all’inizio. L’idea é di registrare il processo di crescita e analizzare la registrazione video, che diventa poi il materiale di base per creare musica in realtime. La combinazione e la tensione tra il suono naturale – se ne esiste davvero uno e il suono sintetico é il punto chiave. Le formazioni cristalline sono registrate da un software dal momento che crescono in diverse direzioni.

In conclusione, diciamo che sono affascinato dal rapporto tra segnali e rumori e dal fatto di connettere processi naturali alla tecnologia, per ottenere un risultato di tipo artistico.

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Sivia Bertolotti: Sei belga e vivi attualmente in Europa, ma spesso sei stato coinvolto o partecipi tutt’ora a progetti negli Stati Uniti. Quale credi sia la principale differenza fra i due scenari, all’interno del contesto delle arti digitali?

Frederik De Wilde:Effettivamente c’é una scena molto vibrante negli Stati Uniti, specialmente per quanto riguarda i mezzi creativi e tecnologici (penso al MIT, per citare un esempio famoso). Lo scenario è si molto stimolante, ma non forse in senso prettamente estetico e artistico, perché credo che negli Stati Uniti ci sia piuttosto un approccio di tipo “ludico”, di entertainement,  rispetto all’Europa, dove esiste per altro una coscienza di tipo storico.

Quello che manca in generale é però una relazione fra le due scene, quella statunitense e quella europea; dovrebbero essere più connesse e “comunicare” di più. Bisogna d’altronde considerare che attualmente, nell’era mediatica e digitale in cui viviamo, grazie soprattutto a Internet e ai New Media, questa discrepanza é arginata. Si viene infatti sempre più spesso a creare una scena internazionale in cui comunque c’é comunicazione e scambio tra i vari artisti, di tipo rizomatico diciamo, intendendo con ciò una rete di rapporti a loro volta generativi.

Sivia Bertolotti: Quali sono i tuoi progetti futuri? Puoi anticiparci qualcosa?

Frederik De Wilde:A dire il vero sto lavorando in questo momento a più cose contemporaneamente. Innanzitutto ad un progetto che coinvolge l’arte negli spazi pubblici. Oltre a ciò sto studiando il comportamento spettrale dei materiali (una sorta di continuazione della Nano Art), insieme ad un’università americana. Esiste anche l’idea di un libro sulla Nano Art, come pure sto esplorando la Nano Painting e la Robotica con altri tipi di programmi.Da ultimo sto inoltre iniziando a valutare collaborazioni con le imprese e le industrie, come potenziale test, per progetti a lungo termine.


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