Il rumore è un fenomeno connaturato all’uomo, in particolare all’uomo contemporaneo. Questo suo essere indiscusso protagonista della quotidianità ha avuto, com’era plausibile aspettarsi, due conseguenze: la prima è lo svilupparsi di un particolare interesse da cui hanno preso vita studi differenti e diversificati, la seconda è invece la stratificazione questi studi e opinioni che nel loro accumularsi appannano le possibilità di letture alternative e di una riscoperta del fenomeno e di quelle che sono le sue qualità.
Escludendo le analisi di carattere medico sul rumore e sulle sue conseguenze, negli ultimi anni si è assistito a una crescita degli studi in questo campo, sostanzialmente inscrivibili in due macro insiemi: il rumore nella società contemporanea e il rumore nell’estetica contemporanea. Nel primo gruppo ritroviamo scritti che analizzano il manifestarsi del rumore con sguardo sociologico-storico; nel secondo invece l’analisi si concentra sulla relazione con lo sviluppo e l’evoluzione del gusto.
Forse è però necessario fare un passo indietro, riscoprire il rumore e il silenzio, ascoltarli con orecchie nuove e leggerli come una possibilità estetica. A questo proposito, cercando una via differente per parlare di rumore e analizzarlo, proveremo a mettere in luce alcune interpretazioni di questo fenomeno, indagando sul rapporto tra rumore e silenzio come emerge dall’opera di Luigi Nono, uno degli esempi più autentici di estetica del rumore e del silenzio.
L’Era industriale: una culla del rumore
L’era industriale e l’ingresso nel Novecento hanno un ruolo cardine nella storia del rapporto tra silenzio e rumore. Ci spiega questo rapporto genitoriale, con dettagliata finezza e grande approfondimento bibliografico, Stefano Pivato nel suo volume recentemente uscito per Il Mulino: “Il secolo del rumore”. Il libro scritto da Pivato è l’ultimo, o uno degli ultimi, testimoni di quel filone di ricerca che abbiamo detto orientarsi verso un approccio storico-sociologico.
In particolare Pivato sembra voler dare al rumore una data e un luogo di nascita che vengono ritrovati senza difficoltà in un passaggio e paesaggio storico cruciale, quello tra Otto e Novecento. L’avvento dell’industrializzazione, e dei meccanismi a combustione che nascono in quegli anni, porta con sé la voce chiassosa dei motori, tanto che si può confondere il rumore con un fatto dai tratti puramente disumani e meccanici.
C’è però una questione da sottolineare: l’uomo si scopre fortemente partecipe, felice di testimoniare ad un volume più alto del normale l’avvento di un mezzo nuovo o di una nuova invenzione. I secoli delle scoperte rumorose vengono salutati con entusiasmo perché il rumore diventa il simbolo acustico del progresso.
Riportiamo una citazione, che fa lo stesso Pivato, da Attali: “Da venticinque secoli la cultura occidentale cerca di guardare il mondo. Non ha capito che il mondo non si guarda, si ode. Non si legge, si ascolta. La nostra scienza ha sempre voluto controllare, contare, astrarre e castrare i sensi, dimenticando che la vita è rumore e solo la morte è silenzio.” [1]
Quella che le pagine di Pivato raccontano è una società tesa verso il futuro che si riconosce nel proprio rumore identificandolo come vita. l’autore si sofferma proprio sull’aspetto celebrativo del rumore, funzione di questo suo essere elemento vitale e gioioso. Esemplare l’aneddoto dei ferraristi che amano a tal punto ascoltare il rumore del proprio motore da riprodurlo in un cd.
Non si può dire che l’Ottocento fosse un secolo in cui i suoni erano assenti, un secolo di silenzio, ma la vera differenza fra Otto e Novecento, sembra dirci Pivato, risiede nel fatto che i rumori erano cadenzati in un ritmo di vita che li costringeva all’interno di griglie lavorative e di orari, al contrario di oggi in cui il rumore è diffuso, celebrato esteticamente e giustificato filosoficamente.
La prima celebrazione del rumore e la sua prima giustificazione filosofica vedono la luce con il Futurismo: il rumore, il suono dell’avanzare, le sirene del progresso e del divenire, si trasformano in arte, nell’inno più vero alla realtà, così celebrativo da essere profondamente mimetico. Si sposta un importante punto fermo, dai suoni come metafore sublimate delle esperienze e dei rumori del mondo, ai rumori organizzati in opera, portati dal mondo esterno all’interno dell’arte.
Questa dialettica tra arte e vita, tra rumore e suono musicale ci aiuta nello spostare il nostro asse d’interesse dal piano sociologico e storico a quello estetico. Per arrivare a questo sono necessari però una premessa e un approfondimento. La premessa è terminologica e riguarda il termine estetica; l’approfondimento partirà da alcune considerazioni sul volume di Paul Hegarty, “Noise/Music”. [2]
Una premessa sul termine estetica sembra necessaria, sia per parlare di estetica del rumore, sia per comprendere le meccaniche percettive che stanno alla base della teoria di Nono sul rapporto silenzio-rumore. Estetica è un termine coniato da Baumgarten nel 1735 e da lui approfondito nel 1750 [3] quando con un volume dal titolo “Aesthetica” in cui cerca esplicitamente di fondare una gnoseologia inferiore, ovvero un scienza che ordini e dia forma alle percezioni sensoriali, ancora cartesianamente non chiare e distinte, fonte inesauribile di conoscenza.
Estetica dunque è lo studio della percezione sensibile, dei sensi e del rapporto con la conoscenza logica, ma è anche studio dell’arte in quanto insieme di discipline che fanno riferimento direttamente ai sensi.
Ed è proprio sui cinque sensi che si concentra l’analisi di Baumgarten, lasciando per ultimi vista e udito. All’udito poi viene affidato un compito particolare: l’udito è legato alla corporeità e al tatto in quanto senso che permette di percepire le vibrazioni del proprio corpo vivente e in questo è ponte privilegiato tra la razionalità e la sensibilità.
Proprio la coniugazione di razionalità e sensibilità è il modo per avvicinarsi al tema dell’estetica come gusto di un’epoca. In questo senso allora, ovvero nel senso di un fenomeno che potremmo dire culturale, il rumore prende vita nello studio di Hegarty. Il termine specifico di noise music, categoria da scaffale per negozi di dischi, viene da Hegarty lasciata in disparte, o perlomeno non diventa il fulcro del volume. Ciò che interessa lo studioso è un fenomeno culturale di tolleranza al rumore, di appropriazione artistica, di percezione di quel rumore come un valore e non come un atto indesiderato di sovrapotenza acustica.
Se le definizioni hanno generalmente contrapposto il rumore al silenzio e alla musica, secondo Hegarty il rumore e la musica hanno una relazione simbiotica, che li rende profondamente legati. Nel libro vengono infatti toccate tipologie musicali differenti, da quelle che fanno del rumore un tratto estetico, ricercato e intellettuale, fino a gruppi che ricercano la rumorosità o situazioni in cui questa viene assunta in modo preconcettuale come simbolo di vita.
Interessante è una tematica che emerge dalle pagine di “Noise/music”, ovvero come il rumore, considerato come qualcosa che non si riesce ad identificare, a comprendere, possa porre un problema sul suono e sulla musicalità e faccia in modo che ci si domandi se queste siano una questione di gusto, di abitudine oppure qualcosa di attinente a un ordine universale.
Proviamo a problematizzare il tutto nuovamente muovendoci alla ricerca del primo strato d’indagine sulla triade suono-rumore-silenzio. Innanzitutto cerchiamo di dare una definizione, almeno fisica, di suono, ovvero di quel fenomeno che comprende da un lato tutto l’arco di estensione che va dal silenzio al rumore e dall’altro delinea nella percezione un dato acustico. Il suono è uno dei fenomeni sensibili tra i più vicini alla nostra esperienza diretta. Una definizione di suono è quella di una rapida variazione di pressione prodotta in un mezzo elastico dalla vibrazione di un corpo materiale, detta sorgente sonora, che risulti percepibile attraverso gli organi dell’udito umano. In altre parole un corpo che vibra trasmette la propria vibrazione alla materia elastica, aria o acqua ad esempio, che lo circonda, la quale propaga la vibrazione. Questa vibrazione percepita dall’orecchio umano è un suono.
L’accezione con cui si discute del rumore e del suono parte, spesso e volentieri, da una definizione di rumore come un suono fastidioso e improvviso, spesso di forte intensità, non musicale e indesiderato, che disturba la comunicazione. Il rumore invece in acustica identifica prima di tutto un suono, qualcosa in movimento che ha una progressione nel tempo; questo può essere idealizzato nel rumore bianco, un insieme di vibrazioni, caotico ma continuo, dove tutte le vibrazioni hanno circa la medesima ampiezza.
Come sottolineò Helmholtz, uno dei massimi studiosi dell’Ottocento che si occupò della percezione del suono, la mancanza di un elemento periodico è ciò che permette al rumore in termini acustici e percettivi di essere qualcosa di anonimo e indistinguibile. Infatti, il periodo di oscillazione è ciò che indica l’andamento della vibrazione, che incanala l’energia e che la rende suono dandole una forma.
Un modo diverso di intendere la questione.
Il rumore come esperienza e infinita possibilità.
Sembra interessante a seguito dell’esposizione dei differenti punti di vista e dopo aver fatto un passo indietro verso una definizione fisica di quello che è il rumore, cercare di fare un passo di lato proponendo la lettura che di questo fenomeno ha fatto Luigi Nono, uno dei più importanti compositori del secondo Novecento, che ha saputo utilizzare le tecnologie a disposizione per creare un pensiero musicale che avesse al centro dell’indagine il rapporto tra silenzio-rumore e suono.
Possiamo cominciare dicendo che per Nono silenzio e rumore non sono contrapposti. Se in altri casi abbiamo letto il rumore come una celebrazione della vita, nell’estetica di Nono questo non avviene. Restiamo su di un livello più vicino ai sensi e alla sensibilità che al valore simbolico, quindi nel decifrare questa dialettica in Nono è necessario partire da un punto focale, ovvero il dato comunicativo: per Nono silenzio è tutto ciò che non comunica nulla di definito. Un vuoto è silenzio, l’assenza di vibrazioni è silenzio, così come il rumore continuo. L’esempio che fa Nono è quello del traffico metropolitano, uno rumore così continuo e indefinito da non comunicare nulla, tanto da essere quindi un silenzio.
Il rumore diventa così un fenomeno che porta con sé un valore: il fatto di essere indefinito e la sua indeterminatezza è una forma di silenzio. Un vuoto acustico e un informe insieme di vibrazioni senza una periodicità, hanno per Nono due cose in comune: la prima che abbiamo già sottolineato è quella di una mancanza di messaggio, di comunicazione; la seconda è la possibilità, come qualsiasi cosa informe, di divenire qualsiasi cosa.
Il silenzio, e il rumore con esso, vengono continuamente ricontestualizzati dalle parole di Nono e assumono così sempre più un ruolo percettivo-comunicativo: silenzio è lo stadio precedente il suono e silenzio è la mancanza d’informazione definita nella caotica somma vibratoria del rumore. Questo non è banale perché da un lato evita la componente naturalistica e d’immobilità, e dall’altro affida al silenzio una parentela con il rumore nella mancanza di comunicatività definita e nella capacità espressiva.
Da un punto di vista puramente estetico il modo che Nono ha di pensare il silenzio è significativo anche per l’indirizzo percettivo. La connotazione silenziosa/rumorosa dell’emissione degli strumenti musicali nelle sue opere contribuisce in primo luogo a non condurre un semplice ribaltamento dell’attenzione del soggetto, se prima la pausa era un elemento puntiforme fra due suoni tenuti, ora due lunghe situazioni di stasi accerchiano l’emissione di un suono puntiforme., e allo stesso tempo incrina la percezione di una scansione ritmica della musica.
Banalizzando, potremmo dire che se in “4’ 33’’ ”, il noto brano silenzioso di John Cage, la ricerca del silenzio conduce all’ascolto della ricchezza dei suoni-rumori della natura, in Nono la ricerca del silenzio è ciò che permette di percepire la natura rumorosa e viva di cui è fatto il suono.
Visto che la spazialità percorre tutta l’opera di Nono, potremmo azzardare una similitudine di questo tipo per cercare di spiegare meglio il rapporto tra suono-silenzio-rumore. Immaginiamo una sfera attraversata nel cerchio massimo da un sottilissima membrana, estremamente elastica, in grado di vibrare e mutare la sua forma e con essa le volumetrie delle semisfere che unisce. Potremmo ipotizzare le due semisfere come una completamente vuota e l’altra completamente piena di vibrazioni ed il suono come quella sottilissima membrana che determina spostamenti impercettibili fra vuoto e pieno, fra vuoto acustico e rumore bianco. L’intero della sfera è il silenzio in cui si mantiene l’omeostasi. Il suono nasce da un movimento all’interno dell’immobilità del silenzio.
Il silenzio è la situazione di stasi impossibile da raggiungere sulla membrana che contempla una mancanza totale d’informazione e quindi il perfetto equilibrio e separazione tra vuoto e rumore. Il silenzio si pone proprio come uno di questi momenti, una situazione complessa e ricercata che ha bisogno di essere gestita e ascoltata per essere resa comunicativa. Il silenzio è il vuoto dove non c’è nulla e che può ospitare un suono, rendendo concava la membrana che separa le semisfere; oppure può essere un pieno fittissimo che a un certo punto dirada la sua maglia lasciando emergere qualcosa, rendendo convessa la stessa membrana vista da una diversa angolazione.
Il suono dunque diviene una piccola sporgenza di un silenzio originario, un soffio che si fa udibile fra vuoto e rumore. Tutto il resto della sfera che rappresenta il silenzio permane in una sorta di immobilità che sfoga nella tensione della membrana i due opposti che la compongono.
Silenzio e rumore non sono contrapposti, il secondo può essere letto come parte del primo che nella tensione con il vuoto fa emergere il suono.
Il silenzio, il suono e il rumore diventano così i punti cardine di un approccio ingenuo alla materia sonora, che va oltre i dati culturali stratificati per ridare all’ascolto lo spazio di un gioco di possibilità infinite acustiche, artistiche ed emotive.
Note:
[1] – Pivato, Il secolo del rumore, Il Mulino, Bologna 2011, p. 8.
[1] – Hegarty, Noise/Music. A History, Continuum Publishing 2008
[1] – Su questo cfr, Ophaelders, Filosofia arte estetica, Mimesis, Milano 2008, pp. 50 segg