Il progetto Ateatro nasce il 14_01_2001, Wikipedia nasce il 15_01_2001. In principio era il blog (alla fine degli anni ’90, la parola ancora non si usava) e si chiamava www.olivieropdp.it, archivio personale di testi, frutto di oltre vent’anni di attività culturale di Oliviero Ponte di Pino – uno dei critici di punta della scena contemporanea – digitalizzati e riversati online (in pagine html statiche), poi via via arricchito di nuovi materiali d’attualità.
Ma era anche un indirizzo e-mail. Quando il regista teatrale e cinematografico Mario Martone fu costretto a dimettersi dalla direzione del Teatro di Roma, alla fine del 2000, molti (teatranti, critici, semplici spettatori…), non trovando altri spazi in cui esprimersi, iniziano a mandare messaggi all’email personale di Oliviero Ponte di Pino: questi messaggi vennero così pubblicati su un blog, dando spazio e visibilità al dibattito. Si raccolse in breve tempo una piccola comunità, con interessi da condividere pubblicamente. All’inizio del 2001, nacque la rivista, o meglio la webzine: www.ateatro.it (a cura proprio di Oliviero Ponte di Pino, in collaborazione con la sottoscritta, che curava anche la sezione “Teatro e nuovi media”).
Nel corso degli anni, nacque e si consolidò una redazione, che fino al 2009 pubblica oltre 120 numeri con cadenza (circa) mensile. In parallelo, nacuqe la newsletter che informvaa gli iscritti alla mailing list su varie iniziative: per esempio, l’uscita di un nuovo numero o un incontro pubblico. Nel 2002 si aprì il forum (evoluzione dei vecchi newsgroup), dove la comunità informa e si informa, discute e polemizza. Negli anni, vennero pubblicati centinaia di testi: si creò così un archivio digitale, inserito in un database che venne reso consultabile e ricercabile online (con pagine html dinamiche).
Attualmente l’archivio contiene tutti gli articoli pubblicati (quasi 2000). L’attività online riverbera nel mondo “reale”: www.ateatro.it diventa una officina di progettazione culturale, in grado di ideare, organizzare e promuovere iniziative come l’incontro-convegno Le Buone Pratiche del Teatro (a cura di Mimma Gallina e Oliviero Ponte di Pino), che dal 2004 raccoglie ogni anno diverse centinaia di partecipanti. La settima edizione, Risorgimento!, si terrà il 26 febbraio 2011 a Torino. Alcune delle informazioni contenute nel database, catalogate con tag tematici, vengono organizzate e presentate in forma di enciclopedia: la atea@tropedia, assai utilizzata dagli studenti, conta ormai centinaia di voci dedicate ai maestri e ai grandi temi della scena contemporanea. La rete è in costante trasformazione. L’avvento dei social networks erode lo spazio di blog e forum. Nel 2009-2010 si chiude il forum di e vengono aperti un gruppo e una pagina su Facebook, che in pochi mesi supera i mille iscritti.
Anna Maria Monteverdi: Quando è nato Ateatro quale era la mission di questa webmagazine, nata prima di tutte le altre e che negli anni ha raccolto una comunità numerosissima e attivissima in Italia?
Oliviero Ponte di Pino: Ateatro è nato dieci anni fa da una frustrazione e dalla percezione di un’opportunità. A partire dagli anni Ottanta, sui mass media il teatro, o meglio la cultura dello spettacolo, è stato marginalizzato, relegato in spazi sempre più piccoli; nel contempo le riviste incontravano sempre maggiori difficoltà distributive. Negli anni Novanta ha iniziato a svilupparsi la rete, anche se in Italia con qualche ritardo. Nel 1999 avevo aperto un sito personale, un “proto-blog”, dove pubblicavo quello che avevo scritto e andavo scrivendo sul nuovo teatro (e su altro). Mi rivolgevo al pubblico generico degli appassionati di teatro (con informazioni ma anche critica e approfondimenti), ma anche agli addetti ai lavori (con uno spazio di approfondimento anche storico) e ai giovani (all’epoca non c’era quasi bibliografia sul nuovo teatro italiano).
Dopo un anno, ho cercato invano di federare altri siti simili al mio, per creare un mini-portale dedicato al nuovo teatro, ma senza fortuna. Verso la fine del 2000, Mario Martone fu costretto a dare le dimissioni dalla direzione del Teatro di Roma: appena iniziai raccontare la vicenda sul mio sito, cominciarono ad arrivarmi decine di mail di commento e riflessione, che ho subito condiviso. Poche settimane dopo, il 14 gennaio del 2001, un giorno prima che andasse online Wikipedia, ho messo online in numero zero della webzine ateatro.
Ho scritto tutto da solo anche ateatro n.1, in ateatro n. 2 non ho scritto una riga perché hanno iniziato ad arrivarmi contributi. In pochi mesi si è strutturato un nucleo di collaboratori, che è diventato un gruppo di amici e una redazione: li ringrazio tutti (l’elenco è lungo) a partire proprio da te che ritengo la studiosa italiana più autorevole del rapporto tra scena e tecnologie, e che mi hai affiancato nella cura della rivista in questi anni, facendoti anche carico della pionieristica sezione “Teatro & nuovi media”.
L’intuizione era banale: un sito dedicato al teatro e in particolare al nuovo teatro, con testi in italiano (ai tempi la rete era pressoché solo in inglese) e all’inizio senza immagini (senza cioè farsi prendere dalla pseudoretorica del web), che cercasse anche di trovare forme inedite per la critica teatrale (poco fa ci siamo chiesti: “E’ possibile usare Google maps per fare critica e cultura del teatro?” La risposta è online…). In una prima fase, abbiamo svolto anche una funzione di alfabetizzazione: all’epoca i teatranti non sapevano quasi cosa fosse il web e in genere diffidavano delle nuove tecnologie.
Tra il 2001 e il 2007 la webzine ha prodotto 115 numeri, in pratica uno ogni quindici-venticinque giorni, anche a seconda di quello che accadeva. Abbiamo cercato di pubblicare una rivista rigorosa, con testi di alto livello ma sempre leggibili; al tempo stesso Ateatro è fin dalla fondazione una rivista militante, con precise posizioni sul fronte sia estetico sia politico-istituzionale. E’ dunque caratterizzata da una grande attenzione all’attualità, tanto è vero che c’è anche una rubrica di pettegolezzi e indiscrezioni, firmata dall’adorabile Perfida de’ Perfidis. La scelta di metodo è stata quella di privilegiare, rispetto alle singole opere, il percorso degli artisti che amiamo e che ci interessano. Poi ci sono temi ricorrenti, come dimostrano diversi numeri monografici di grande impatto: il mito, la narrazione, Shakespeare, Beckett, Julian Beck, Marisa Fabbri, l’expanded theatre…
Anna Maria Monteverdi: C’è stata anche un’evoluzione, diciamo, tecnologica del sito?
Oliviero Ponte di Pino: Il sito ha seguito l’evoluzione del web, dalla preistoria – per così dire – a oggi, arricchendosi di nuove funzionalità e sezioni. Per prime, una mailing list e una newsletter. Poco dopo è nato il forum, assai frequentato e spesso “infiammato”. Le pagine da statiche sono diventate dinamiche (con un database gestito da un software freeware che usa asp). Così nel nostro database si è sedimentato un archivio (attualmente sono circa 2000 tra saggi, interviste, articoli, notizie, inchieste), che abbiamo reso interamente ricercabile. Nel corso di questi anni, ci siamo posti costantemente il problema dell’organizzazione e dell’accessibilità delle informazioni: così abbiamo “taggato” il record del database, per creare una sorta di enciclopedia online, la ateatropedia, che conta diverse centinaia di voci dedicate soprattutto grandi creatori della scena contemporanea, ma con approfondimenti di carattere generale (per esempio le riviste teatrali, il teatro civile, il comico e il tragico), con incursioni nella storia.
Nel 2009 abbiamo creato un gruppo e una pagina su Facebook, dove abbiamo in pratica “traslocato” il vecchio forum, che era diventato troppo faticoso da gestire (a causa di spam, hacking, trolls, rischi di querele eccetera). Per certi aspetti è stato un impoverimento: i social network, con la logica del “Mi piace” e dei micromessaggi, hanno abbassato la qualità dell’interazione in rete. Ma è stato anche un passo inevitabile, volendo seguire e “testare” l’evoluzione della rete, sia dal punto di vista del modello di comunicazione e interazione, sia da punto di vista dello sviluppo degli strumenti software.
Anna Maria Monteverdi: Tu hai costruito le fondamenta del sito tutto da solo tecnicamente parlando, senza webmaster e senza costi alla fonte e senza sponsor…
Oliviero Ponte di Pino: Si, ho programmato da solo l’intera struttura del sito, fin dalla prima homepage in html, riga di codice dopo riga di codice, utilizzando alcuni freeware, per diversi motivi. Il primo è totalmente personale: programmare è un esercizio zen che mi rilassa, e quando qualcosa funziona mi arriva un lampo di felicità… Ma la scelta di programmare “in casa” ha ovviamente anche altre motivazioni. In primo luogo, quando è nato il sito ci si illudeva che la rete fosse davvero uno spazio democratico ed egualitario, dove era possibile costruire modelli di comunicazione alternativi, al di fuori degli oligopoli della comunicazione: il look “artigianale” del sito è un vezzo, ma vuole anche essere un segno che rimanda a quegli ideali.
Soprattutto la “autoprogrammazione” consente di mantenere un controllo totale sui contenuti e soprattutto di avere un sito molto flessibile e sempre adattabile: una struttura modulare che, come abbiamo visto, può adeguarsi rapidamente a nuove esigenze e all’evoluzione della rete, in un esperimento che va avanti da dieci anni, ormai. C’è anche una ragione economica in questa autarchia ingegneristica: www.ateatro.it ha costo zero. Questo ci ha permesso di mantenere il bilancio in pareggio: incassi zero, ma anche zero spese! Al momento, purtroppo, per un sito del genere è l’unico business model sostenibile. Ovviamente questo pone grossi limiti, anche rispetto alla concorrenza di siti che hanno ricchi sponsor: non paghiamo i collaboratori (come moltissime altre strutture del genere, su carta e sul web), e dunque non possiamo crescere più di tanto. Ma questo non è per noi un vero handicap.
Non abbiamo mai pensato di dover coprire “tutto il teatro”, con una rete di collaboratori nelle varie città d’Italia: quello che ci interessava e ci interessa è offrire un metodo di lavoro, una serie di modelli, un certo modo di leggere gli spettacoli e il percorso di compagnie e gruppi, un preciso sguardo sulla realtà teatrale italiana e internazionale e in generale sulla politica culturale nel nostro paese, senza avere ambizioni di completezza.
Anna Maria Monteverdi: Come si autosostiene una webmagazine per 10 anni?
Oliviero Ponte di Pino: Il problema della sostenibilità economica di un’informazione indipendente e di qualità in rete riguarda anche le più prestigiose testate cartacee, a cominciare dai maggiori quotidiani. Si calcola che per ogni dollaro perso in pubblicità da giornali e riviste su carta, la rete permetta agli editori di recuperare solo 2 centesimi (fermo restando che produttori di hardware e software, le varie telecom e gli aggregatori tipo Google diventano miliardari): in prospettiva, il fatto che i produttori di contenuti costituisce un grave rischio per la democrazia.
Un altro rimpianto – questo più sofferto, visto che incide sulla “vocazione pedagogica” del sito – è che con una struttura del genere è molto difficile far crescere collaboratori giovani: è un processo che richiede tempo, che purtroppo non riusciamo ad avere.
Malgrado queste ombre, che mi pare corretto segnalare, le note positive sono molto più numerose. Il progetto ha un flusso di visitatori costante, dell’ordine dei 10.000 visitatori unici al mese (più i contatti via Facebook). Ma al di là dei numeri, che sono ovviamente piccoli trattandosi di una testata di nicchia, c’è la sua autorevolezza: viene regolarmente consultata dagli “amici”, ma anche dai “nemici”, per la tempestività delle informazioni e la qualità dei contenuti.
La riprova più clamorosa è il successo delle Buone Pratiche del teatro, un’iniziativa che giunge quest’anno alla settima edizione (si terrà a Torino il 26 febbraio 2011, ospitata dal Teatro Stabile) e che riflette l’attenzione costante di Ateatro per l’economia e la politica della cultura: un filone seguito anche grazie a Mimma Gallina, la massima esperta di organizzazione teatrale italiana, che è la seconda “colonna” del sito. Ogni anno le “Buone Pratiche del teatro” raccolgono centinaia di partecipanti (teatranti di tutti i filoni e delle varie generazioni, ma anche uomini politici, amministratori, giornalisti, studiosi e studenti di teatro…) e sono ormai diventate gli “stati generali del teatro italiano”. Il successo del progetto è anche frutto dell’autorevolezza e dell’indipendenza di www.ateatro.it.
Un’altra conferma, che ci ha dato grande soddisfazione, è arrivata dalla Consulta Universitaria del Teatro, che raccoglie i docenti della materia: nelle sue linee guida ha inserito Ateatro tra le riviste da tenere in considerazione per valutare i candidati ai concorsi universitari. Del resto, i testi pubblicati dal magazine sono spesso utilizzati in corsi e master universitari e vengono regolarmente citati in volumi e saggi sul teatro contemporaneo, oltre che in numerose tesi universitarie e di dottorato. Sono alcuni indizi, ai quali aggiungerei la pubblicazione del volume Il meglio di ateatro 2001-2003 (a cura di Oliviero Ponte di Pino e Anna Maria Monteverdi, il Principe Costante, 2003): nel loro insieme, dimostrano che la rivista non è confinata nel virtuale della rete, ma ha un impatto sul mondo “reale”.
Anna Maria Monteverdi: Quale è il futuro di ateatro?
Oliviero Ponte di Pino: Per il futuro, si tratta di resistere e insistere: continuare a fare quello che abbiamo fatto finora, restando fedeli ai nostri principi, alle nostre ispirazioni, ma reinventandoci ogni volta in base a quello che accade “nel mondo” e “nella rete”. Grande attenzione al nuovo ma, con la consapevolezza del passato: la tradizione del teatro, a cominciare della “tradizione del nuovo”. Un altro punto di forza, e un elemento da approfondire, è la natura “molteplice” di www.ateatro.it: un sito web e una rivista, naturalmente, e dunque una fonte di contenuti e informazioni (a volte anche di scoop); una comunità partecipata; un archivio e una banca dati sempre disponibile; un’officina in grado di elaborare, progettare e realizzare iniziative culturali e spettacolari.
Il collo di bottiglia resta sempre il business model. Tra noi abbiamo spesso discusso se dare al nostro progetto una struttura più ambiziosa dal punto di vista finanziario (per recuperare qualche briciola di pubblicità o di finanziamento pubblico o da eventuali sponsor). Alla fine – e mi assumo la responsabilità della scelta – abbiamo preferito restare leggeri. Il rischio sarebbe trovarsi con impiantare una struttura che ha costi di gestione che assorbono in pratica tutte le risorse che riusciremmo a raccogliere, rendendoci in qualche misura ricattabili. La nostra testarda povertà, se ha diversi evidenti svantaggi, finora ci ha garantito la massima indipendenza da poteri, caste e cricche: è un’indipendenza riconoscibile e riconosciuta, che alcuni di noi pagano magari a livello delle loro carriere personali, ma che fa parte del nostro dna. In un paese come l’Italia questa libertà è un lusso che non ha prezzo e che cerchiamo di preservare.