La ormai notisissima artista cinese Cao Fei, lanciò ufficialmente il suo ultimo grande progetto, RMB City, circa due anni fa, nel gennaio del 2009. La piattaforma Second Life avrebbe dovuto raggiungere la sua fine nei sette mesi seguenti, dato che il suo periodo di vita predeterminato stava ormai per terminare.
Da quel momento in poi tentai di considerare la vitalità della comunità virtuale come una totalità, parlando con collaboratori attuali e non di RMB City, con collezionisti, scrittori e altri osservatori interessati all’argomento, per poter essere in grado di fare una stima del successo o del fallimento della metropoli digitale. Segue una sintesi dei risultati ottenuti fino ad ora; il mese prossimo, sempre su Digicult, continueremo questa sintesi con un rapporto sull’arte cinese in Second Life.
Cao Fei iniziò ad introdurre il mondo dell’arte dentro Second Life documentando le sue esplorazioni della piattaforma con iMirror, incluso nella Biennale di Venezia nel 2007. Quel video, che segnava l’inizio di un impegno durevole con Second Life, introdusse l’avatar China Tracey come alter ego dell’artista: sexy, femminile, con i capelli scuri e lo stile alla Sailor Moon. Questo personaggio continuò ad apparire in RMB City, che all’inizio fu presentato come video.
Poi seguì la costruzione della piattaforma RMB City, una topografia virtuale piena di icone cinesi ben riconoscibili e di punti di riferimento architettonici: una bottiglia di liquore Erguotou, una torre CCTV, un Bird’s Nest arrugginito, un panda, e l’Oriental Pearl Tower. Uno giornalista d’arte locale definì lo stile grafico di questo assemblaggio digitale come quello “dei giovani apprendisti parrucchieri cinesi, che cercano di riprodurre tutti gli stili che conoscono sulla loro testa come se fossero degli annunci”. Forse può risultare un po’ confuso, ma può esserci la possibilità di uno scontro produttivo tra forma e connotazione.
Dopo la costruzione di RMB City, lo scopo principale della piattaforma fu quello di avviare collaborazioni con personaggi esterni, mentre il project team si occupava di gestire la comunità virtuale secondo le direttive di Cao Fei. In Love Letter, per esempio, i visitatori potevano pagare affinché lo scrittore di romanzi cinese Mian Mian, autore di “Panda Sex”, scrivesse una lettera d’amore personale. NOLAB in RMB City segnò l’inizio di una partnership con lo studio di architettura di Hong Kong MAP Office, esplorando le possibilità strutturali della ricostruzione di New Orleans post-Katrina e offrendo uno spazio virtuale di energie potenziali.
Questo sembrerebbe l’estremo potere di RMB City e sicuramente di Second Life in generale: offrire la possibilità di un mondo alternativo, e porre domande ipotetiche sulle trasformazioni all’interno di un mondo virtuale.
L’opera è conosciuta in inglese con il nome di RMB City, ma la sua traduzione più appropriata dal cinese “Renmin Chengzhai” dovrebbe essere Walled City of the People(La Città Fortificata delle Persone). Secondo le riflessioni di qualcuno, l’unione delle due convenzioni, dare un nome e tradurre, sono la dimostrazione parallela dei due cliché universali dell’arte presentata ad un pubblico virtuale: un’eccessiva determinazione a ottenere un effetto partecipativo (“le persone”) e lo scambio simbolico tra virtuale e reale (“RMB”).
Questa città, dunque, rappresenta l’intersezione di queste due direzioni, il percorso di uno scambio simbolico consolidato attraverso il possibile scambio tra i Linden Dollars e i Dollari Americani. Inoltre, il progetto richiede implicitamente una certa dose di critica sociale. Così come i capisaldi urbani si aprono al libero accesso in Second Life, allo stesso tempo rimangono, per molta gente comune, inaccessibili nella realtà. Allo stesso modo, l’acquisto di appezzamenti di terra in Second Life corrisponde con un po’ di ironia alla situazione dei diritti di proprietà in Cina (che porta, senza dubbio, ad impiegare una disastrosa serie di trucchi per la speculazione immobiliare).
Cercare una facile scappatoia nelle possibilità alternative offerte dalla realtà virtuale, o semplicemente fare ciò che è proibito o impossibile nella realtà, sembra riportarci alle divertenti follie di un vecchio film: un curatore infatti, individua una particolare somiglianza con il film del 1933 Mickey’s Gala Premier, in cui Greta Garbo e Topolino condividono lo stesso palcoscenico.
La critica più spesso associata a RMB City è che l’opera non cerca di scavare le proprietà uniche di Second Life. Il mondo virtuale ha, per certi versi, la sua cultura, caratterizzata da prigioni sotterranee, chioschi immobiliari, e oggetti virtuali sapientemente realizzati a mano. Ma molti di questi elementi sarebbero considerati un insuccesso dai designer della piattaforma originale, che speravano in un scambio interpersonale sincero. Rifiutandosi di essere coinvolto negli insuccessi, RMB City suppone invece che Second Life sia una piattaforma ideale – uno spazio senza luogo – in cui manca qualsiasi centro culturale preesistente.
Così, quando Cao Fei cerca di iniettare il suo universo artistico culturale all’interno della città, la disposizione digitale di spazi e volumi genera come un senso di vuoto. A differenza dei videogiochi narrativi, la morte in Second Life è puramente volontaria: infatti, invece di essere duplice – simbolica e definitiva – la morte in Second Life può soltanto essere reale, o meglio, virtuale. Il rifiuto di implicare fattori tanto determinanti significa che lo spazio di RMB City può essere trasferito in ogni meccanismo di video gioco, come un’isola sospesa di spettacolo virtuale privo di qualsiasi significato culturale.
Il progetto è stato presentato in molte delle manifestazioni più importanti del calendario artistico mondiale, a cominciare da Basel, Frieze e Artissima fino alla Biennale di San Paolo e al New Yorker. E proprio come per le opere di altri grandi artisti, anche per RMB City non sono mancati dubbi e critiche. Ad ogni modo, è stato interessante notare che i commenti negativi degli esponenti della non-digital art erano rivolti soprattutto all’obsolescenza di Second Life (quantomeno considerato come argomento di interesse creativo e accademico). Ho sentito, moltissime volte in Cina ma anche in altri paesi, che non c’è abbastanza “novità” per classificare questo spazio all’interno della new media art.
Naturalmente, durante i dibattiti sui nuovi media abbiamo da tempo accantonato l’idea che affidarsi alle tecnologie di ultima generazione sia l’unico criterio per essere inclusi, prediligendo piuttosto la convinzione che ciò che arricchisce la media art stia in quanto si riesce a salvare del suo corpo tecnologico o mediato attraverso una nuova esperienza percettiva, sia in termini di ricezione che di visione da parte del pubblico.
Ma negli utlimi tempi, RMB City è diventata un luogo di spettacolo concepito primariamente per il consumo visuale. Come avviene nel progetto Yak Horn che propone la creazione di un Guggenheim per la città virtuale, la piattaforma nel suo insieme non crea un vuoto, definito come una presenza indipendente negativa in attesa di essere riempita dai discorsi dell’immaginazione, bensì produce limiti per l’immaginazione stessa. Tali restrizioni sono in grado di creare una sorta di vuoto, ma qui lo spazio prende la forma di rappresentazione visiva colorata, generando una vertigine che serve soltanto ad abbagliare.
Il fatto che progetti come questo abbiano rinunciato a spingere il fruitore verso i confini tra virtuale e reale risponde probabilmente all’esigenza di un tecologia reale: dov’è la cultura di RMB City che si integri alle culture di “Second Life”? RMB City è mai stato virtuale? O è sempre rimasto soltanto un fenomeno della vita vera?