Uno degli eleventi più rilevanti dell’ ISEA RUHR 2010 – The International Symposium on Electronic Art è stato forse il Latin American Forum IV, una serie di conferenze e dibattiti divisa in quattro incontri in cui storici, artisti e curatori hanno discusso e tentato di definire le pratiche artistiche contemporanee del continente.
Il forum è stato ideato, curato e coordinato da Andres Burbano. L’artista comombiano oggi di base negli Stati Uniti, già noto a partire dai primissimi anni Duemila per i suoi progetti che mischiano mass media e distribuzione di video online.
“L’idea del forum viene da lontano” spiega Andres. Nel 2004 infatti, durante ISEA, Andreas Broekmann aveva parlato con lui dell’idea di organizzare una conferenza sulle pratiche artistiche legate ai nuovi media in America Latina. Sei anni dopo, anche grazie al sostegno economico dell’Instituto Sergio Motta (San Paolo, Brasile), del Centro Arte Alameda (Città del Messico) e della diplomazia tedesca, il forum ha visto la luce portando in Europa artisti, teorici, curatori e ricercatori dal continente.
La ricerca di una possibile identità latina nelle pratiche artistiche legate ai nuovi media era certamente già presente e affrontato da artisti e teorici in America Latina da più di un decennio. Basti pensare anche a progetti espositivi come Arte Nuevo Interactiva (La Biennale di Merica, Messico), la Biennale di Video e Media Art di Santiago del Cile o la Biennale Transitio di Città del Messico.
E’ certamente vero che finora l’Europa ha mostrato ben poca conoscenza e curiosità sull’argomento, ad eccezione della Spagna che ha una storia a sé di partecipazione attiva nelle principali metropoli latine grazie allo sviluppo sul continente dei Centri di Cultura spagnoli. I CCE si sono infatti diffusi a inizio millennio nelle principali capitali latine come emanazione culturale delle politiche di espansione economica neoliberista della Spagna in America Latina.
La privatizzazione e la vendita delle infrastrutture una volta pubbliche attuata dai governi di Argentina, Cile, Colombia, Messico ecc dalla fine degli anni Novanta, hanno portato per esempio all’espansione di Telefonica, la compagnia telefonica spagnola, su tutto il continente come principale distributore di servizi. Lo stesso è avvenuto con acqua, luce, gas ecc. Accanto a questa nuova forma di colonizzazione economica, che ha fortemente sostenuto la crescita economica spagnola a partire dagli anni Novanta, la diplomazia spagnola ha anche sviluppato questo sistema di centri culturali (i CCE appunto) che negli anni hanno fortemente sostenuto la creatività locale, specialmente nell’ambito dei nuovi media, dando spazio e possibilità ad artisti e teorici di sviluppare progetti, esibirli, invitare altri colleghi dal resto dell’America Latina.
Questo forte legame tra Spagna e America Latina non aveva però finora portato a una vera apertura dei Festival di nuovi media europei alle tematiche latine: un merito questo che va del tutto riconosciuto all’organizzazione di ISEA che ha fortemente voluto il Forum, tanto da smuovere anche fondi della diplomazia tedesca per poter finanziare la partecipazione degli invitati (ISEA infatti, come bene sa chi partecipa o ha partecipato, non finanzia artisti e lecturers invitati, che viaggiano a proprio carico o delle organizzazioni nelle quali lavorano: da qui l’eccezionalità dell’evento).
Il lavoro di ricerca e relazione di Andres Burbano per la realizzazione del forum ha portato alla messa a punto di quattro incontri tesi e participati, che hanno dato luogo a lunghe serie di dibattiti che si sono estesi anche al di fuori della sala conferenze. Andres del resto non è un novizio di questo tipo di progetti: già quando era professore alla Universidad de Los Andes a Bogotà, realizzava serie di incontri mensili sul tema, invitando i teorici più rilevanti provenienti dall’America Latina e dall’Europa.
Uno di questi è Siegfried Zielinski, fondatore dell’Accademia di Arti e Media di Colonia (Germania) e inventore di Archaeology/Variantology of the media, un progetto di ricerca oggi di base all’Università delle Arti di Berlino, focalizzato sulla rinarrazione delle espressioni artistiche legate all’uso della tecnologia su base comparativa. Durante l’incontro di apertura, intitolato appunto “Variantologia Latina”, Zielinski ha concluso le presentazioni di apertura di Domingo Ledezma (Venezuela) e Karla Jasso (Messico), tese a narrare possibili preistorie della multimedialità latina in alcune esperienze del XVII secolo, spiazzando l’audience con una serie di prese di posizione pirotecniche.
“Finora la Storia è stata ricostruita dalla prespettiva della cultura filosofica europea, che vede la Modernità europea come inizio di tutto”. Questo modello incompleto di narrazione della Storia ha dato luce anche a postulati del tutto miopi, come quelli difesi da Hegel nella “Filosofia della Storia”, a detta di Zielinski, “Il libro più eurocentrico e razzista che si possa leggere”. Nella costruzione di Hegel in cui la storia della cultura inizia in Oriente, si sposta poi nel mondo greco e romano per poi raggiungere il culmine con la cultura germanica, il resto del mondo non esiste. L’Africa è il continente cannibale (e senza storia) e l’America Latina esiste in quanto emanazione europea: se esistevano culture precedenti, queste non erano abbastanza influenti da competere con quella europea che quando è arrivata sul continente le ha fatte sparire.
Questa costruzione, dice Zielinski, è arrivata allla sua fine: stiamo conoscendo la “fine della storia in senso europeo” e sta a noi ora riscostruire una storia nuova che riconosca le varianti al modello egemonico finora tramandato. La ricostruzione passa anche attraverso un nuovo linguaggio, che preveda anche che ci dimentichiamo di termini come “Media” e “Modernità”. Come? Guardando ai passati possibili (cioè alle varianti alla Modernità) come nostro possibile futuro e cambiando il nostro linguaggio. Ad esempio, studiando come gli indios del continente americano comunicavano attraverso l’acustica o come costruivano giochi basati su dispositivi algoritmici. L’idea del passato come nostro futuro non può non ricordare il futuro post tecnologico di cui ci parlava Raul Ferrera Balanquet a proposito di Interactiva (http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=429).
L’incontro successivo, focalizzato sul presente e sull’attività di curatori ed organizzatori, ha visto sul palco tra gli altri la direttrice del Centro Arte Alameda, Tania Aedo, ma anche José Carlos Mariategui e Victoria Messi che hanno presentato il progetto di ricerca Insulares/Emergentes nonchè l’artista brasiliana Giselle Beiguelmann. Il panel ha costruito un panorama delle pratiche artistiche e curatoriali del presente. Un dato rilevante e comune alle esperienze descritte (che si muovono tra Messico, Perù, Argentina e Brasile) è forse la necessità di parlare non più di “electronic media art” ma piuttosto di pratiche artistiche basate sull’uso dei media.
Un punto questo che tiene in conto di tutte le differenziazioni locali ma che nello stesso tempo riesce a giustificare la possibilità di parlare di America Latina senza scadere nel generalismo e nel superficiale. L’attenzione va quindi puntata sulle possibilità sociologiche di accesso alle nuove tecnologie e sull’approccio che artisti e producer hanno nei loro confronti. Uno scontro tra globalizzazione e localismo (che non sempre vuol dire tradizione come ricorda Beiguelmann, ma piuttosto diffusione capillare e commerciale di strumenti tecnologici di nuova generazione).
Il panel, secondo momento interessante di discussione del Forum, ha forse portato a delineare gli elementi caratterizzanti del continente Latinoamericano, a prescindere dalla constatazione che la definizione America Latina è ancora una volta un’invenzione europea (francese) e coloniale dell’inizio del XIX secolo, che mirava a differenziare l’America settentrionale anglosassone e teutonica all’america meridionale caratterizzata da una preponderanza culturale latina (delle colonie spagnole e portoghesi prima dell’indipendenza e della supremazia francese nel XIX secolo).
Se dei punti in comune ci sono vanno incontrati proprio nella storia coloniale e neocoloniale, nelle risposte che sono state date all’egemonia culturale, alla necessità di definirsi in relazione all’occidente anche nel XX secolo, caratterizzato dall’intrusione politica degli Stati Uniti e delle dittature forzate. Tutto questo ha portato all’esistenza di una coscienza latinoamericana e allo sviluppo di una produzione culturale fortemente critica, basata sulla processualità e sull’assunzione, digestione e riproposizione della cultura egemonica importata dall’Europa.
I due panel successivi, che hanno dato la voce agli artisti, hanno bene messo in luce questa unità pure nelle differenza: processualità e critica (che potrebbe essere definita “tecnofagia”, parafrasando l’Antropofagia del brasiliano Oswald de Andrade) contro la monoliticità del colosso egemonico culturale europeo.
Tra questi ricordiamo tra le altre, le presentazioni di Andres Burbano, Lila Pagola (Argentina), Ivan Puig (Messico), Lucas Bambozzi (Brasile), Brian Mackern (Uruguay), Enrique Rivera (Cile) e Arcangel Costantini (Messico).
http://www.artealameda.bellasartes.gob.mx/
http://flusserstream.khm.de/variantology/
http://www.udk-berlin.de/sites/content/topics/research/variantology/index_eng.html