Il festival Interferenze, arrivato alla sua quinta edizione, è diventato negli anni un laboratorio in cui un territorio rurale e le sue caratteristiche (identità, tradizioni, paesaggi) vengono analizzate attraverso forme espressive del contemporaneo, dove i linguaggi e le estetiche dei nuovi media diventano nuove forme di condivisione.

Dice Leandro Pisano, direttore artistico del festival: “La nostra intenzione è quella orientare le azioni di produzione culturale ad estendere la consapevolezza sulle potenzialità del territorio rurale”. Il territorio insomma, non più come luogo geografico o sistema di branding, ma spazio integrato nel sistema dei media, un medium stesso: attraverso l’evento, o la sua rappresentazione mediatica, si realizza una relazione che annulla la distanza che separa emittente e ricevente.

Il festival dunque tiene forte la barra curatoriale su un punto preciso: il territorio rurale interpretato non come prodotto, ma come un (nuovo) mezzo con cui comunicare ed entrare in contatto in modo creativo, sperimentando relazioni inattese tramite processi, strategie e risultati della comunicazione stessa. Sostiene ancora Pisano: “La nostra idea è che il festival Interferenze nelle prossime edizioni possa diventare un incontro aperto.

Abbiamo in mente di chiedere agli artisti non solo di svolgere semplicemente o installare le loro opere, ma soprattutto di affrontare il territorio per ottenere qualcosa in termini di valori e tradizione, ibridando la loro personale interpretazione attraverso diversi punti di vista e diverse culture”. Questo clima di collaborazione è senza dubbio uno dei punti forti del clima che si respira quest’anno a Bisaccia: più che una serie di set, infatti, il festival si propone come una koinè di appassionati ed addetti provenienti da tutto il sud d’Italia e non solo.

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La cultura elettronica è qualcosa di sfuggente, in quanto basa la propria esistenza ad un medium piuttosto che a delle chiavi estetiche, inoltre quest’eterogeneità si è ulteriormente esacerbata, data la proliferazione di festival di elettronica, che, se da un lato hanno contribuito a diffondere una grammatica espressiva così contemporanea, dall’altro hanno spesso creato dei contenitori generalisti, ed è per questo che Interferenze si pone come un’operazione necessaria nel panorama, in quanto mostra la capacità di indirizzare questa sperimentazione in una direzione che potremmo definire “militante”, nell’ottica della riscoperta e valorizzazione del territorio rurale: esplorando i territori dell’espressione elettronica, ne scopre le relazioni inaspettate, originali con l’ambiente naturale, il cibo, la cultura tradizionale.

Quest’anno, Interferenze ha offerto dal 23 al 25 di luglio al Castello Ducale di Bisaccia (Av) una narrazione inconsueta dell’ambiente naturale. Il tema scelto è stato “Rurality 2.0”, ovvero una modalità nuova di relazionarsi con la ruralità partendo dal territorio ma guardando oltre di esso. Sempre con le parole di Pisano: “Il territorio rurale come un (nuovo) medium per re-disegnare e rileggere l’ambiente attraverso una percezione aperta ed inedita degli spazi culturali, estetici e sociali appartenenti alle aree di confine”. Il borgo di Bisaccia, terra di paesaggi metafisici, ventosi e sconfinati, in questo senso è tema e contenitore al tempo stesso, rappresentazione e contesto.

Ricco di elementi di interesse dal punto di vista naturalistico, paesaggistico, storico ed enogastronomico, questo territorio è un crocevia a cavallo di tre terre (la Campania, la Puglia, la Basilicata). Un luogo comunque freddo e spigoloso, abitato, per almeno tre giorni e tre notti, da una comunità felice, che letteralmente, lo ha vissuto: Interferenze infatti non è stato solo un festival di musica elettronica, ma soprattutto una sorta di stati generali della sperimentazione e della ricerca intorno alle arti elettroniche, ai new media, alla sperimentazioni audio/video, ed alla software art, ed ovviamente a tutte quelle derive che si trovano a cavallo delle categorie.

Come ad esempio l’istallazione sonora dei napoletani Bianco-Valente, tesa a rendere visibile il suono del vento, mappando i dati delle centraline delle pale eoliche disseminate sul territorio dell’alta irpinia, o quella, riuscitissima, del portoghese Andrè Goncalves dal titolo The Bird Watcher, in cui, grazie ad un particolare mangiatoia a cavallo tra elettronica ed artigianato, riesce a campionare e processare i suoni della fauna avicola della valle.

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La sezione Click n’Food, inoltre, ha offerto una serie di performance sulla base del rapporto tra cibo, suoni e new media arts. Tradizioni locali, come la transumanza delle mucche podoliche negli Appennini del Sud Italia, sono state analizzati nel corso di alcuni progetti di residenza. Nella costante ricerca di connessioni di elementi appartenenti alla tecnologia, tradizione e del paesaggio rurale, che stanno cercando di offrire una scrittura inusuale dell’ambiente naturale. Il festival probabilmente riesce ad innestare nel panorama della sperimentazione applicata al territorio un segmento unico, in cui è il cibo, la sua cura, la sua preparazione, la materia prima alla base della sperimentazione elettronica, con l’obiettivo di proporre un circolo virtuoso dove il cibo si colleghi indissolubilmente alla sostenibilità, alla qualità ambientale e delle relazioni sociali.

Un connubio che si basa su quello che l’Irpinia ha da offrire più generosamente: vini, formaggi e altre eccellenze del territorio che nel momento della loro preparazione diventano strumenti naturali di produzione sonora, in modo da fornirne una ulteriore chiave di lettura. Nella performance Noble Milk, Yasuhiro Morinaga ed Antonello Carbone hanno presentato una reinterpretazione per suono ed immagini del field trip in altura tra i pascoli che i due artisti hanno svolto sui monti dell’Irpinia nei giorni antecedenti al festival, performata in contemporanea con la degustazione del Latte Nobile, prodotto da mucche alimentate a foraggi e pascolo del territorio.

In Foodjob: frequencies to dissolve under the tongue il sound-artist Enrico Ascoli e lo chef Pompeo Limongiello hanno proposto una performance articolata su vari livelli sensoriali centrata sulla registrazione in tempo reale con microfoni panoramici e piezoelettrici delle risonanze catturate durante la preparazione dei cibi, performance particolarmente riuscita, in grado di “aumentare” sinesteticamente il grado di coinvolgimento rispetto a procedure di alta manualità della cucina. Infine Viand è la rilettura attraverso il filtro dell’estetica mediale della manualità artigianale legata alla produzione casearia, presentificata dalla performance di field recording della statunitense Lissom.

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Inoltre il festival ha potuto annoverare numerosissimi panel e talk, coordinati da Vito Campanelli dell’Università Orientale di Napoli. Tra gli incontri di maggiore interesse sono da annoverare: GreenWeb. New media e nuovi turismi nella natura, in cui la relazione di Daniele Pitteri si prefigge di illustrare: “Un turismo delle passioni, quindi individuale e collettivo/comunitario al contempo, perché le passioni è bello possederle, ma è ancora più importante condividerle. Dentro questa trasformazione, la ruralità occupa una porzione molto ampia, essendo divenuta di fatto uno dei principali asset su cui si articolano i nuovi turismi contemporanei e la nuove tecnologie giocano un ruolo fondamentale nel sostenere e nel dare significato a queste tendenze”.

Be Wind è stato invece l’incontro tenuto dalla sound-artist nipponica Sawako, che si è proposto come una soundwalk attraverso i rigori del vento che solca l’alta irpinia all’interno di un’esperienza di ascolto e di immagazzinamento, con il risultato di una performance sopra le righe, dalla leggerezza e dal senso dell’effimero tipicamente orientali.

Ancora la presentazione di Mediaterre.tv, la prima realtà televisiva legata al web focalizzata totalmente su contenuti provenienti dalle aree rurali del Sud Italia. Design o’ the times, a cura di Gianpaolo D’Amico e Sara Lenzi (animatori di soundesign.info, uno degli spazi di riflessione certamente più importanti del panorama italiano) con Luigi Mastandrea è stata la realizzazione di una performance svolta come una sorta di conversazione di gruppo, simile ad una tavola rotonda, in cui i tempi degli interventi (intesi come speech, produzione ed emissione di suono, reading, o altro ancora) dei partecipanti sono stati strutturati usando i parametri temporali della composizione musicale: durata, frequenza, successione e sovrapposizione.

Di particolare rilevanza analitica infine risulta “La prossimità del lontano: lo spazio topologico delle reti oltre le città”, la riflessione di Tiziana Terranova: Lo studio dello spazio delle reti ha assunto ormai le caratteristiche di una vera e propria nuova scienza, che concepisce tale spazialità in termini fondamentalmente topologici. La topologia indica che lo spazio non è formato da distanze fisse, ma che è in principio deformabile, permettendo il diventare prossimo di luoghi geograficamente lontani.” L’intervento si è occupato di tracciare degli spunti sulle implicazioni di questo spazio topologico, in cui i punti si uniscono e separano sulla base di collegamenti tecnici.

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Quest’edizione di Interferenze è stata anche contraddistinta dal ponte tra Italia e Giappone costituito dal progetto Interferenze Seeds Tokyo, che ha visto l’incontro tra Leandro Pisano, Yukiko Shikata, specially-assigned professor alla Tokyo Zokei University ed il curatore di new-media art Masu Masuyama sul tema “Rurality between Italy and Japan”, con le parole della Shikata: “Nella seconda decade del ventunesimo secolo, le espressioni delle arti legate ai media ed al suono ed assistite dall’uso creativo delle tecnologie di ogni giorno si stanno estendendo nella sfera pubblica e gli artisti, i creativi, i programmatori stanno indagando le nuove relazioni, non solo in ambito urbano ma anche nelle aree rurali. Interferenze, nel meridione d’Italia, è uno degli esempi più chiari della ricerca dell’emergenza dei nuovi valori culturali, sociali ed economici che connettono sperimentazione e tradizione, analogico e digitale, locale e globale.”

Semi germogliati con la presenza di numerosi lavori di artisti nipponici negli scrrenings serali e pomeridiani (la sezione è stata curata da Valentina Tanni) e dalla preview nipponica del festival “Interferenze Seeds Tokyo 2010”, l’interpretazione giapponese del festival irpino, che si è svolta il 26 ed il 27 giugno a Tokyo.

Per quanto riguarda l’aspetto musicale in senso stretto, non si può che sottolineare l’assoluta qualità del roster e delle performance e la cornice così suggestiva in cui queste si sono svolte.

Tra quelle più significative si possono annoverare certamente quella del greco della Touch, Novi_Sad, impressionante per la compattezza sonora scaturita da un’azione di field recording in tempo reale, in grado contemporaneamente di generare un suggestivo ed esplicativo video di supporto alla performance. Salendo ancora di livello, troviamo il celestiale connubio tra elettronica e drumming proposto da Simon Scott (già leggendario batterista degli Slodive) e l’impeccabile set del co-fondatore della Raster Noton Byetone, al secolo Olaf Bender, che propone un set in piena estetica minimal-razionalista Raster-Noton, tuttavia increspato da insospettabili vene dark e dance-oriented. Così come sono da rimarcare il magmatico e minaccioso dub-step di Sam Shackleton, il lunatico ambient di The Sign Below, il field recording delle già citate Sawako e Lissom.

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La chiusura è stata affidata a Cristian Fennesz, che è sempre in linea con i suoi standard altissimi, sognante e languido, solo un po’ antipatico: infatti il maestro austriaco si aliena le simpatie dei più producendosi in un set striminzito di non più di trenta minuti.

Nel complesso si può parlare di un festival riuscito, di una sfida vinta nell’ottica dell’auto-produzione e dell’indipendenza dalle istituzioni, con lo scopo di svincolarsi da clientele, mettendo al centro la qualità.


http://www.interferenze.org/