Geir Jenssen, in arte Biosphere, è una delle figure più significative del panorama della composizione elettronica contemporanea. Norvegese di Tromsø, una cittadina immersa nel silenzio glaciale, a 500 miglia dal circolo polare artico, è un personaggio atipico, cortese e silenzioso, che preferisce sempre esprimersi col suono, sia quello dei suoi dischi, che delle numerose istallazioni di cui negli ultimi anni è stato progettista sonoro, così come delle performance.
Questo nome d’arte è nato ormai vent’anni addietro dalla fascinazione verso il Biosphere 2 Space Station Project, una gigantesca cupola di vetro nel deserto dell’Arizona al cui interno hanno vissuto per anni intere famiglie, per sperimentare la possibilità di costruire un ecosistema autosufficiente ed alternativo a quello terrestre nello spazio siderale. Così Biosphere si dedica alla costruzione di un universo sonoro artico, caratterizzato dalla combinazione di manipolazione di materiali concreti, ritmi dancefloor ed una sorta di ambient gelido (è Substrata, del 1990, il lavoro che meglio riassume quest’ultimo aspetto) che probabilmente è la sua cifra più riconoscibile.
Nel recente Dropsonde (2006), Biosphere propone atmosfere siderali techno e ambient, frequenze pulsanti e bassi avvolgenti. Le stesse atmosfere di Patashnik, disco del 1994 ed opera seconda di Jenssen, probabilmente il suo lavoro più riuscito. L’ambiente angosciante e rarefatto, i bassi soffocanti e quel suono cosi freddo e concreto che rende riconoscibile il suono tipico di Biosphere in questo lavoro sono espressi al massimo. Più in generale, l’intento paesaggistico di queste composizioni sonore non è mai completamente celato dietro l’impianto elettronico: lande innevate, ghiaccio in mutazione, vento, e nebbia, il respiro del mondo, gli elementi più silenti della pulsazione terrestre, trovano nei lavori di Jensenn una lucida transcodifica sonora.
Inoltre in Patashnik, cosi come nel precedente Microgravity, lo spazio per le ritmiche (quasi assenti in lavori più organici come appunto Substrata) è ancora molto ampio, tant’è che il disco, come tutta la prima sua produzione, si avvicina più a territori minimal-techno piuttosto che ambient in senso stretto,dando vita ad una sorta di Ambient Techno, un ossimoro quest’ultimo, capace di definire questa figura così autarchicamente peculiare ed espressiva.
E’ proprio nel presentare una performance di danza e suono, inedita e site specific, che lo abbiamo incontrato immerso in altri silenzi, quelli dei boschi e delle vallate irpine di S. Angelo dei Lombardi, dove, appunto, su commissione dell’interessante progetto Sentieri Barocchi (che ha visto cimentarsi sulla rilettura dell’estetica barocca in chiave elettronica artisti del calibro di Murcof e Philip Jeck), si trova per proporre la rilettura dell’opera di un esponente di primo piano della musica barocca quale Claudio Monteverdi. Insieme alla compagnia di danza norvegese Bjørnsgaard Prosjekt il nostro propone una versione davvero personale, di grandissima cura e di impressionante profondità sonora dell’Incoronazione di Poppea, capolavoro del maestro cremonese del 1642. Tra le pause dei suoi silenzi Geir Jenssen distilla pensieri tutt’altro che banali….
Pasquale Napoliano: Cominciamo dal presente: giacché ti sei cimentato con la categoria del barocco, quale credi che siano le affinità tra la tua produzione, la tua sensibilità e questa temperie culturale?
Biosphere: L’amore per Monteverdi, un vero grande sperimentatore.
Pasquale Napoliano: Più in generale, senza dover scomodare il Deleuze interprete di Leibniz, tra le categorie identificative dell’estetica del Barocco vi sono il frammento, la piega, la rovina. Al di là del singolo caso, non credi che ci sia un profondo legame tra estetica barocca ed estetica elettronica su questo versante?
Biosphere: Assolutamente, io lavoro moltissimo sul frammento, anche quando sono in studio di registrazione credo che sia l’unità di linguaggio da cui poi sviluppo tutto il resto. Ed anche nell’approcciarmi a Monteverdi ho lavorato sul frammento, direi addirittura sulla frammentarietà del processo creativo: ho lavorato al tessuto sonoro campionando ed elaborato una enorme quantità di materiale estrapolato da tutte le versioni su vinile e nastro di “Poppea” che sono riuscito a trovare su e-bay ed altri siti di e-commerce, e che ho acquistato da privati di tutto il mondo, specialmente italiani. Questi vecchi dischi, molti dei quali rovinati dal tempo, hanno fornito materiali sonori di enorme interesse, come glitch , skratch, krakle, sui quali ho costruito la tessitura sonora della performance.
Pasquale Napoliano: Per quest’esecuzione non utilizzi il laptop, ne altro tipo di apparecchiature digitali. Questa è solo una scelta funzionale al set o si può leggere come una precisa scelta espressiva?
Biosphere: Direi che è in parte entrambe le cose. Data la complessità del set, buona parte dei suoni vengono lanciati dal tecnico del suono, ed io li manipolo live tramite sequencer e sinth analogici: c’erano davvero troppi suoni perché potessi gestirli attraverso un schermo del computer. Ma, più in generale, mi sono davvero stufato di schermi e mouse, credo che sia un approccio eccessivamente schematico e per questo sto cercando in tutti i modi di liberarmi da questo canone: preferisco lavorare con le manopole, con le mani sulle manopole.
Pasquale Napoliano: Come è nata la decisione di associare al suono il movimento del corpo?
Biosphere: La scelta di lavorare col corpo di ballo dei Bjørnsgaard Prosjekt è stata basata su una stima reciproca e sulla conoscenza del loro lavoro. E’ stata una mia idea, ero sicuro che si sarebbero calati particolarmente bene in questi spazi.
Pasquale Napoliano: A proposito di collaborazioni, hai spesso condiviso il momento creativo con altri musicisti, così come hai accompagnato spesso il lavoro di visual artist e videomaker con i tuoi suoni. Come riesci a intavolare questo genere di condivisione?
Biosphere: Anche in questo caso parto dal frammento. E’ il caso dei lavori prodotti insieme ad artisti come Pete Namlook e Higher Intelligence Agency, che sono un bel po’, ma soprattutto penso al disco insieme a Deathprod uscito nel 1998 per Rune Grammophone. Parlerei di una creatività che procede per tappe. Ci rimbalziamo idee sonore via posta finché non si arriva ad un prodotto che soddisfi tutte le parti in causa. Una creatività in tele-presenza..
Pasquale Napoliano: Oltre alle produzioni discografiche, da molti anni lavori sullo spazio, come sound-artist. Hai un interesse specifico verso la spazializzazione del suono?
Biosphere: Sicuramente sono molto affascinato dalle potenzialità dei sistemi di diffusione del suono, come nel caso del commento sonoro progettato per un’istallazione commissionata dal Recombinant Media Lab di S. Francisco, dove ho potuto utilizzare 500 diffusori sonori immersi in una sala. E’ stato particolarmente affascinante vedere come fosse possibile spazializzare il suono, dandogli curve, direzioni, accelerazioni e rallentamenti. In qual caso il suono era associato ad innumerevoli display video, ripresi dall’interno di un treno in corsa, la sensazione del movimento era davvero fantastica, iperrealista.
Ma più in generale del discorso istallativo mi interessa principalmente la scoperta dei luoghi, la creazione di racconti sonori su un territorio. E’ il caso dell’istallazione di cui in assoluto vado più fiero, uno spazio sonoro all’interno delle grotte di Bodo, in Norvegia. Siccome queste grotte sono famose per le loro incisioni preistoriche, ho deciso di far suonare questi segni. Fotografandoli e successivamente mappandoli, cercando di creare un legame forte tra segno ed andamento sonoro.
Comunque a me piace soprattutto fare cd, che si possano ascoltare in un normale impianto stereo casalingo, o ancora meglio in cuffia. Non tutti hanno la possibilità di avere in casa costosi ed ingombranti attrezzature per la riproduzione professionale del suono, come il 5.1 (che comunque credo abbia delle potenzialità interessanti che sarei curioso di sperimentare). Perciò sinceramente trovo decisamente sopravvalutata l’importanza data all’aspetto della riproduzione sonora, io voglio comporre musica che possano ascoltare tutti.
Pasquale Napoliano: Una posizione politica, decisamente anti-elitaria. A proposito di questo punto di vista, qual’è la tua formazione, come ti sei affacciato alla musica elettronica, in sintesi, come sei diventato Biosphere?
Biosphere: Sono nato come self-made-man, come smanettone. Non ho avuto una formazione musicale in senso stretto, piuttosto la mia formazione è più quella del dj radiofonico o del commesso del negozio di dichi [sorride]. Non ho avuto una formazione musicale classica, tipo imparare a leggere le note e comporre sul pentagramma….ma di recente ho dovuto farmela, cominciando da zero. Proprio a Gennaio ho scritto per la London Contemporary Orchestra, in seguito ad una commissione da parte di questa prestigiosa istituzione musicale. Ho così trascritto dal sequencer al pentagramma, una della esperienze più interessanti della mia carriera.