In cerca d’ispirazione tra le calli Veneziane, James Johnson-Perkins, artista concettuale che insegna a Newcastle (UK), si è fermato a raccontare ai lettori di Digimag della sua residenza per artisti a Venezia, alcune settimane di immersione totale nella suggestione della città lagunare, grazie a una borsa di studio della Emily Harvey Foundation. La conversazione con il videoartista britannico ci offre alcuni spunti interessanti relativi alle possibilità offerte ai video-makers e gli artisti in generale dalla tecnologia Gigapan. I recenti esperimenti di Perkins con questa tecnologia (www.gigapan.org), accompagnati ad una sensibilità tutta Pop, riescono a re-inventare la tradizione rinascimentale delle vedute Veneziane.
Attivo nella ricerca artistica tra video-making, performance e animazione, l’artista di Newcastle ha esposto i suoi lavori nelle più importanti gallerie d’arte negli Stati Uniti, in Russia, Giappone, Germania, Spagna, Romania, Lituania e Gran Bretagna. Tra gli spazi in cui James Johnson-Perkins ha esposto ricordiamo: IMAC Theatre di New York, National Centre for Contemporary Arts (NCCA) di Mosca, Toyota Museum of Modern Art in Giappone, Centre for Contemporary Art (CCA) di Glasgow e il The Royal College of Art a Londra.
I Lego (proprio loro, i mattoncini del gioco di costruzione più conosciuto al mondo) entrano a far parte delle sculture robotiche create dall’artista così come dei suoi dipinti bi-dimensionali. I colori brillanti dei pezzi dei Lego creano le geometrie delle serie di animazioni concettuali quali Jet Pack (2007) o Space Invader (2007), dove l’esplorazione della texture di superficie affonda le sue radici nell’optical art, mentre la padronanza delle gradazioni cromatiche e delle geometrie ricorda i lavori di Sean Scully. I movimenti seriali delle performance “robotiche” o I motivi geometrici compaiono anche nei video musicali di Johnson-Perkins come How does it feel? (2007), dove la colonna sonora impiegata è We are the robots, pezzo epocale dei Kraftwerk targato 1977.
Silvia Casini: Bene, iniziamo pure la nostra chiacchierata. Innanzitutto, come sei arrivato a Venezia?
James Johnson-Perkins: Sono qui grazie alla Emily Harvey Foundation, una fondazione Americana che promuove e supporta residenze per artisti e curatori. La Emily Harvey ha relazioni molto strette con il movimento Fluxus a New York, tantissimi artisti hanno iniziato da questo movimento degli anni 60-70. Quando ho presentato la mia domanda per una borsa di studio lavoravo con Alan Bowman, un rappresentante della nuova generazione degli artisti Fluxus e direi che il mio lavoro presenta alcune somiglianze con Fluxus.
Silvia Casini: Qual era il tuo obiettivo quando hai chiesto una “artist-in-residence” a Venezia? Che tipo di progetto hai presentato alla Emily Harvey Foundation?
James Johnson-Perkins: Ho mostrato loro alcuni dei miei lavori precedenti, tutti improntati sul concetto di nostalgia e accomunati dal mio interesse per la memoria. Il mio progetto, in due parole, era di guardare Venezia e proporre una sorta di note a margine su di essa beh, è piuttosto difficile rispondere. Credo di aver voluto fare qualcosa di simile a quello che avevo già compiuto in passato, ma usando Venezia per trarre nuova linfa, nuova ispirazione.
Silvia Casini: Parlaci un po’ dei tuoi lavori precedenti sui robots
James Johnson-Perkins: Tutto il lavoro che ho svolto negli ultimi cinque anni ha guardato indietro agli anni Ottanta e alla mio essere cresciuto in quell periodo. Ho usato materiali e oggetti che provengono dalla mia infanzia, quindi il Lego e i soldatini, per esempio. Ho fatto anche alcuni film usando vecchi computers come il Commodore 64, ho usato il tipo di grafica del Commodore. Quindi, in sostanza, continuo a usare cose e materiali del passato in contesti nuovi, moderni e contemporanei.
Silvia Casin : Quello che dici è interessante perchè molto spesso i robots sono associati a materiali e tecnologie innovative, a scenari di tipo futuristico, fanta-scientifico, mentre tu li associ più all’infanzia, alle memorie intime, al gioco. Puoi commentare questo tipo di scelta?
James Johnson-Perkins: Penso che alcune delle cose che stanno succedendo in questi anni, come l’utilizzo di Internet o Skype, siano esperienze molto simili a quelle tipiche degli anni Ottanta. Quando guardi vecchi film di fantascienza, film fatti in passato cioè, il tipo di esperienza che fai è dicotomica: guardi indietro nel futuro, perché in qualche modo il futuro è già passato, è già trascorso. Credo di essere interessato principalmente alla memoria e di usare Venezia come sfondo delle mie memorie cosa ironica, questa, perché uso questo robot collegato a una telecamera in grado di realizzare queste panoramiche pazzesche
Silvia Casini: Intendi la tecnologia Gigapan
James Johnson-Perkins: Si, proprio la tecnologia Gigapan, grazie alla quale realizzo questi collages da foto panoramiche.
Silvia Casini: Quale veduta, quale paesaggio di Venezia hanno riattivato i tuoi ricordi in particolare?
James Johnson-Perkins: Da quando sono arrivato a Venezia ho pensato a uno sfondo rinasciemtnale, al Canaletto, al ponte di Rialto, e poi a immagini video e televisive della mia infanzia, come per esempio le immagini de Il Signore degli Anelli: ci sono i “buoni” da una parte e i “cattivi” dall’altra, e io mescolo immagini provenienti dai media, anche dai media del passato come per esempio Doctor Who avete Doctor Who in Italia?.
Silvia Casini: Non lo so, non credo!
James Johnson-Perkins: Quindi la maggior parte delle cose che utilizzo, delle mie fonti di ispirazione, insomma, provengono da programmi, film, ma la cosa che mi interessa è che quando tu guardi queste immagini come panoramiche, quindi come immagini molto grandi viste da lontano, esse sembrano veramente quadri Rinascimentali, ma quando ti avvicini per guardare con più attenzione, piccole cose, dettagli, saltano all’occhio, emergono dall’immagine, e molte di queste cose hanno un’allure internazionale, come Star Wars. Quindi nel momento in cui tu guardi la superficie di queste immagini, ecco che la memoria è riattivata. In passato ho anche usato giocattoli e cose che sollecitavano i ricordi di altre persone oltre a me stesso.
Silvia Casini: E’ interessante l’associazione che fai tra i concetti di passato/presente da un lato e distanza / prossimità dall’altro nell’approccio al tuo lavoro artistico.
James Johnson-Perkins: Si, penso che tutto ciò abbia a che fare con l’idea che un dipinto del Rinascimento, di cinquecento anni fa, sia al tempo stesso un’immagine contemporanea o moderna.
Silvia Casini: La tecnologia Gigapan è associata soprattutto a Google, a Street View e a nozioni di sorveglianza, quasi di voyeurismo. Invece, tu parli del tuo lavoro usando soprattutto termini e concetti quali memoria, nostalgia, gioco
James Johnson-Perkins: Mi piace usare la tecnologia più all’avanguardia e mi piace presentare le stesse idee in modo diverso. Venire a Venezia mi ha dato la grande opportunità di avere questo sfondo su cui collocare queste idee, credo che Venezia per me sia inesorabilmente legata con la storia dell’arte, ecco, mi piacerebbe svolgere una residenza in un altro paese per vedere dove essa mi porterebbe.
Silvia Casini: Quindi stai pensando di usare la stessa tecnologia, Gigapan, in diversi contesti storico-culturali-geografici?
James Johnson-Perkins: Si, è così. Quindi se andassi a Parigi o in Francia, potrei essere influenzato da alcune idee diciamo così “impressioniste”, potrei essere suggestionato dal paesaggio degli Impressionisti ma, di nuovo, lo collocherei in un contesto iper-moderno.
Silvia Casini: Quali altri luoghi di Venezia hai usato per il tuo lavoro oltre al ponte di Rialto?
James Johnson-Perkins: Ho usato la Scala del Bovolo, anche se si è trattato di una collaborazione perchè ho lavorato con un’artista inglese che si chiama Rachael Allen e che fa cose in miniatura: è lei che ha fatto la sedia a rotelle in miniatura. Quindi, direi che l’idea che stava dietro a quel progetto aveva a che fare con i rapporti di grandezza, di scala: in una immagine ampia, una sorta di campo lungo, noti un particolare in un angolo, questa minuscola sedia a rotelle.
Ora ho iniziato a usare anche le persone, per esempio personaggi che stanno su un ponte: uno scrittore che è anche un mio amico, con indosso una maschera Veneziana, se ne sta su di un ponte vicino alla zona del ghetto. Ho fatto un altro lavoro con alcuni miei amici che danzano sul ciglio di un pontile, l’immagine si chiama The Dancers ed è anch’essa ambientata nel ghetto ebraico: nell’angolo, che guardano altrove, ci sono queste due figure e sullo sfondo si intravede la zona industriale. Ecco, ho iniziato a pensare di utilizzare persone che compiono azioni.
Silvia Casini: Quindi c’è un elemento di performance che ritorna, lo stesso elemento che è così presente nei tuoi lavori precedenti
James Johnson-Perkins: Si, a volte ho usato anche me stesso. Comunque l’elemento principale è la dinamica dei rapporti di grandezza perchè si tratta di immagini di dimensioni notevoli in cui inserisco qualche particolare veramente piccolo, magari l’immagine di una persona o di un oggetto che è o meno collegato all’immagine grande, ma che, in ogni caso, suscita una sensazione, un’idea, come nel caso dell’immagine del ponte di Rialto. Ho usato anche Piazza S. Marco e posters di Barman, quindi, di nuovo, uso immagini Pop come icone in luoghi diversi.
Silvia Casini: Mi pare valga la pena sottolineare come lo spettatore non abbia bisogno di muoversi con il proprio corpo per avvicinarsi all’immagine e riuscire a vederne i particolari: lo spettatore, infatti, può semplicemente “zoomare” con il supporto tecnologico. Quando parli di prossimità e distanza penso al lavoro di Chuck Close, letteralmente sulla superficie della tela, penso alla possibilità di riconoscere un volto quando si è a una certa distanza dalla tela.
James Johnson-Perkins: Si, penso che funzioni grossomodo così. Questi per esempio sono danzatori minuscoli e tu puoi zoomare. Si tratta di immagini ancora non finite, devo lavorarci su. Comunque mi piace l’idea che queste immagini siano anche una specie di gioco, è un po’ come usare Whears Wally, questo piccolo personaggio che uno deve trovare nel groviglio di accadimenti.
Silvia Casini: Ho notato che tendi a usare colori primari, forti, per i dettagli, i piccoli oggetti e i personaggi che inserisci nell’immagine.
James Johnson-Perkins: Quasi sempre colori primari, lo steso vale per le mie performance, mi piace l’idea di personaggi che indossino colori forti, audaci. Questo dipende naturalmente dalla mia sensibilità Pop: mi piace che le cose siano brillanti e audaci ma, e in questo sta l’ironia, quando queste stesse cose sono viste da una certa distanza, esse non appaiono sicuramente così.
Silvia Casini: Queste immagini chiedono allo spettatore di essere guardate con estrema attenzione, non soltanto di essere viste, fino al punto in cui uno si rende conto che vi è qualcosa di nascosto in esse.
James Johnson-Perkins: Anche perché devo valutare se presentare queste immagini in maniera, diciamo così “virtuale” oppure come installazioni nello spazio fisico. In questo secondo caso la sensazione di fronte all’immagine sarebbe quella di dire: “ecco qui una graziosa immagine di Venezia” oppure “ah, questo sembra un dipinto classicheggiante”, ma poi, quando ti avvicini, capisci che sta accadendo qualcosa, che c’è quest’uomo, in piedi sul ponte, con indosso una maschera, oppure i due danzatori, o la piccola sedia a rotelle, che ci fanno lì? O ancora questi personaggi che si sporgono da balconi e finestre e riattivano memorie e pensieri
Silvia Casini: E lo spettatore è libero di creare i propri fili narrativi, le proprie associazioni di idee e concetti
James Johnson-Perkins: In un certo senso si, ma questo è il primo lavoro fotografico virtuale su cui sto lavorando per cui non lo so, ho iniziato a usare dei titoli per condurre lo spettatore all’interno dell’opera, per esempio l’immagine del ponte di Rialto credo la chiamerò “La battaglia tra Bene e Male”, in modo che quando uno guarda ai personaggi che compaiono è costretto anche a pensare alle relazioni tra essi. Nel caso della scala del Bovolo l’ho chiamata La Lumaca perché è così che viene nominata comunemente, quindi in qualche modo uso riferimenti paretici come un mezzo per pensare alle immagini che creo.
Silvia Casini: Abbiamo iniziato a parlare di fruizione del tuo lavoro e delle modalità espositive che stai considerando. Pensi di esporre le tue immagini usando schermi, computers o preferisci che le tue immagini vengano fruite come materiali installati in uno spazio fisico? Insomma, vuoi dare consistenza materiale alle tue immagini?
James Johnson-Perkins: Penso che mi piacerebbe poter utilizzare entrambe le modalità espositive, prima di tutto devo ritoccare le immagini, non più di otto o dieci. All’inizio vorrei sistemarle in una sorta di galleria virtuale, poi, in un secondo momento, mi piacerebbe collocare questa galleria virtuale in uno spazio fisico: ecco, penso a una serie di postazioni computer accessibili a tutti, grazie a cui poter esplorare le immagini, magari proiettandole anche su uno schermo gigante. In tal modo, nonostante la dimensione virtuale, le persone potrebbero navigare nell’immagine e proiettarla sulla parete.
Poi mi piacerebbe anche presentare queste immagini come fotografie formato grande. La cosa bella è che entrambe le modalità funzionano, e poi uno può vedere queste immagini anche al di fuori del contesto della galleria d’arte, quindi come immagini virtuali, e questo è bello.
Silvia Casini: Potrebbero essere anche proiettate sugli edifici reali nei luoghi fisici così il lavoro diventerebbe un intervento performativo sugli spazi urbani, à la Felice Varini per intenderci
James Johnson-Perkins: Bella idea, non ci avevo ancora pensato
Silvia Casini: Lavori molto con oggetti che provengono dalla vita quotidiana e dal mondo dei giochi: quail criteri ti guidano nella scelta di questi oggetti?
James Johnson-Perkins: Mi piacciono gli oggetti che sono strambi o mi fanno ridere o che sono visivamente d’impatto, oppure cose che sono legate alla mia vita, ai miei ricordi. Quando inizio a lavorare su qualcosa è perché voglio creare qualcosa che possa risultare divertente, qualcosa che abbia uno spirito Pop, non si tratta di lavoro serio, non faccio fotografie serie, intendo dire che il criterio che mi guida è soltanto l’accessibilità al pubblico.
Silvia Casini: Hai considerato la possibilità di fare il procedimento inverso? Cioè di usare paesaggi, scenari che sono stati importanti nella tua vita, paesaggi carichi di ricordi personali e di allestirli con oggetti scelti in modo del tutto casuale?
James Johnson-Perkins: Strano, l’altro giorno stavo parlando con un mio amica artista che sta anche lui facendo una residenza qui a Venezia, abbiamo parlato di Giorgione, delle tre età dell’uomo che il Giorgione ha rappresentato: c’è il bambino, l’adulto e il vecchio. Penso che a questo punto della mia vita sto ancora guardando al bambino, a un certo punto immagino che inizierò a guardare all’adulto e vedremo dove questo mi porterà!
Una delle cose che mi intriga è di iniziare a utilizzare cose leggermente più oscure, diciamo così, più al limite, proprio perché il mio lavoro invece è sempre stato molto incentrato sul divertimento e sull’essere un po’ fuori fase per così dire, e forse a quel punto raggiungerò lo stadio adulto credo in effetti che il mio lavoro stia diventando un po’ più serio, che abbia a che fare meno con l’infanzia e di più con il semplice guardare le cose così come sono.
Silvia Casini: In effetti le tue immagini suscitano sensazioni di leggero disagio, anche quando usi cartoni
James Johnson-Perkins: Credi? Mi fa piacere che lo dici, perchè sì, vorrei iniziare a fare cose un po’ più al limite, un po’ meno in controllo rispetto al mio poterle ricondurre o meno a un momento della mia infanzia, alle mie memorie.
Silvia Casini: Queste piccole figure, questi personaggi e oggetti in miniatura che scappano via
James Johnson-Perkins: Mah, si inizia con l’artista che fa qualcosa, poi lo spettatore ci vede dentro qualcos’altro e il critico qualcos’altro ancora; e uno alla fine non sa mai bene cosa pensare
Silvia Casini: Beh, anche questo è Pop!
James Johnson-Perkins: Sì, e poi l’arte Pop non è sempre spensierata non credi? Penso a Warhol, alla sedia elettrica. Un mio amico artista, ti dicevo prima, ha svolto alcune ricerche su Giorgione e Aldo Minuzio e così gli è venuta l’idea che questi due personaggi si siano incontrati. Mi è piaciuta quest’idea, perciò ho usato maschere e costumi per rappresentare queste due persone e quest’incontro, mi è parso interessante l’idea del travestimento che è anche collegata ad altri lavori che ho fatto in precedenza.
Silvia Casini: Fai ricerche e consulti archivi quando stai costruendo storie, narrazioni possibili?
James Johnson-Perkins: No, non accade quasi mai, anche perché lavoro sempre in modo molto intuitivo. Però per alcuni oggetti penso a una loro collocazione: per esempio, se vado a Roma mi piacerebbe l’idea di una panoramica Gigapan del Colosseo con i miei soldatini, così uno ha i soldati moderni e i soldati del passato, e si stabiliscono connessioni. Ma comunque lavoro in modo intuitivo, penso senz’altro alla storia del luogo che utilizzo come scenario ma non inizio dalla teoria per costruire un’immagine, inizio a pensare soprattutto quando sono già nel luogo e allora mi dico “questo dove potrebbe andare, quest’altro dove posso inserirlo, e così via”.
Silvia Casini: E la scelta dei materiali di cui sono fatti questi oggetti è importante o no? Oppure l’oggetto ti interessa soltanto per la sua valenza metaforica, per le storie che esso può racchiudere in sé e poi raccontare?
James Johnson-Perkins: Non puoi evitare le metafore se fai arte, e nel mio caso i materiali non sono importanti. Curioso che tu menzioni questa cosa, ora che ci penso, mi rendo conto di utilizzare materiali un po’ particolari, non stereotipaci, probabilmente anche la tipologia di materiali è importante nella misura in cui permette di riattivare sensazioni e memorie. Molti di questi oggetti provengono dalla mia storia personale: per esempio, mio padre era nell’esercito, era un soldato, quindi queste cose hanno un impatto emotivo molto forse su di me.
Silvia Casini: Alcuni di questi oggetti implicano una relazione stretta con il corpo. Ora che guardo a qualche esempio della tua selezione/collezione di oggetti (sei un artista-collezionista!), si tratta quasi sempre di cose che si indossano (la maschera), o che si portano addosso (il ciuccio) o che devono essere manipolati (I soldatini) e mangiati (l’arancia). Insomma, lavori anche con il corpo ed ecco che torna l’elemento di performance. La mia ultima domanda riguarda la residenza a Venezia come artista. Naturalmente, si è trattato per te di una grossa opportunità, ma che cosa rimane a Venezia del tuo periodo trascorso qui?
James Johnson-Perkins: Mi piacerebbe esporre questi miei lavori, ma dal momento che la Fondazione Emily Harvey ha una sede a Venezia ma non una galleria (a New York invece ha anche una galleria) non lo faccio. Però, al tempo stesso sono sollevato di avere più tempo a disposizione per lavorare sulle immagini che ho creato, per renderle nel modo migliore. Vorrei ritornare qui ed esporre queste immagini possibilmente confrontandole con altri lavori fatti.
Silvia Casini: Quali sono i tuoi progetti dopo Venezia?
James Johnson-Perkins: Probabilmente a settembre andrò a Barcellona dove mi hanno invitato e poi andrò a fare un’altra residenza in Slovacchia. Mi interessa pensare al conflitto tra Est e Ovest: lì si che dovrò fare qualche ricerca, perché si tratta di un paese ex-comunista e c’è un ponte che è stato completamente distrutto. La mia “artist in residence” è strettamente legata a questo ponte distrutto due volte. Non so dove questo mi porterà, ma penso in un luogo interessante: ho questi flash sui campi di concentramento, che sono una parte così importante della storia di quel luogo
Stai proprio diventando serio insomma
James Johnson-Perkins: Si! Probabilmente si! Prima o poi bisogna diventarlo, no?!