Troppo tardi per candidarsi alle borse di studio in Estetica Sintetica: la deadline per la presentazione delle domande era fissata per il 31 marzo 2010. Il bando si rivolgeva a 6 artisti/designer e a 6 scienziati/ingegneri disposti a partecipare al progetto di scambio in Biologia Sintetica, design, ed estetica. Il bando è però un’opportunità per approfondire il tema dell’estetica sintetica, un tema direttamente collegato alla biologia sintetica, argomento sul quale Digicult si è già soffermato, brevemente, in passato (http://www.digicult.it/2008/syntheticbiologydebate.asp)
Il progetto di “Syntethic Aesthetics” prevede uno scambio di studio di natura logistica e metodologica: i designer e gli artisti trascorreranno due settimane nei laboratori e sei scienziati e ingegneri passeranno lo stesso periodo in atelier e spazi di creazione artistica; uno scambio degli ambienti di lavoro per nulla scontato, soprattutto quest’ultimo. I risultati potranno essere di diversa natura, nuovi saggi o tipi di scrittura, impianti, protocolli, o batteri e altre forme biologiche.
Il progetto, organizzato dalle University of Edinburgh, Scotland, Stanford e California e finanziato dalla National Science Foundation (USA) e dalla Engineering and Physical Sciences Research Council (UK) si prefigge l’obiettivo di creare le migliori condizioni per far interagire l’arte, il design e la biologia: il fine sarebbe quello di
“ingegnerizzazione” la biologia, in una nuova forma “generally defined as the application of engineering principles to the complexity of biology” (http://syntheticaesthetics.org/).
Ingegnerizzare significa principalmente applicare principi scientifici per progettare e sviluppare strutture confunzioni prestabilite, prevedendone il loro comportamento in condizioni specifiche con obiettivi di massima efficienza sotto diversi punti di vista (fisica, meccanica, economica, ecc.). La biologia sintetica intende offrire nuova materia all’ingegnerizzazione, materia vivente come materiale di studio.
Tra gli esempi di maggiore rilievo si cita spesso la progettazione di circuiti biologici a base di DNA, la creazione dinuovi parti biologiche o la loro “ri-funzionalizzazione”; un esempio più specifico è quello di Jim Haseloff sulla morfologia di crescita delle piante, finalizzato a incorporare i prodotti necessari alla sopravvivenza delle piante nelle piante stesse.
Si vedano a questo proposito le accattivanti illustrazioni di Alexandra Daisy Ginsberg che ha dato forma a questa idea astratta di ingegnerizzazione della natura, nonchè l’intervista realizzata pubblicata il 16 marzo 2010 su Worldchanging.
In tutti i casi citati, l’ingegneria è utilizzata come leva progettuale biologica, secondo processi umani intenzionali che a tratti emulano le pressioni di selezione evolutiva della natura. La biologia sintetica potrebbe in questo modo semplificare la governabilità scientifica della vita, attraverso la comprensione dei suoi meccanismi di sintesi: astrazione, modularità, standardizzazione.
Per questo motivo il campo interdisciplinare della Estetica Sintetica non può che essere affollato, popolato com’è da biologi, informatici, ingegneri, designer, artisti, professionisti, sociologi; tutti impegnati ad esplorare le possibili interazioni tra forme di ingegneria e nuove scuole di arte e design, per favorire una maggiore comprensione delle scienze sociali con le scienze naturali e l’ingegneria, per incentivare le connessioni tra l’impegno sociale e i problemi etici della biologia contemporanea.
L’Estetica Sintetica dimostra come spesso nella società attuale ci troviamo di fronte alla contaminazione tra diversediscipline, in questo caso di secondo grado, perché la biologia sintetica è già di duo una ibridazione tra ingegneria e biologia.
Aumentano esponenzialmente i modi in cui possiamo esplorare ed interrogare la scienza, con la finalità di cardinaremodalità di pensiero gerarchiche e a compartimento stagno per aprire nuove aree di pensiero e di processo.
Queste nuove forme di collaborazione interdisciplinare poggiano su processi associativi di competenze che sono perfettamente in linea con le economie dell’innovazione collettiva, la cosiddetta “collaborative innovation”, sempre più necessaria all’aumentare della complessità sociale per consentire alla creatività delle competenze di diventare più fluida e di trasformarsi in innovazione (Janice Gross Stein, Networks of knowledge: collaborativeinnovation in international learning, 2001 e in ambito italiano Gianmario Verona ed Emanuela Prandelli, Collaborative Innovation. Marketing e organizzazione per i nuovi prodotti, 2006).
E’ questo un altro aspetto della Network Theory che per il suo potente paradigma interpretativo può considerarsi come una condizione epocale che si estende dall’ambito neuorologico del cervello umano alle tecnologie digitali del World Wide Web, ma che ha fatto sentire la sua presenza anche nell’ecologia, e in alcuni studi che utilizzano la teoria della rete per comprendere meglio come sia possibile l’interconnessione delle specie e la promozione della biodiversità ( Karl Zimmer, Network Theory: A Key to Unraveling How Nature Works).
Argomento questo che non mancheremo di prendere in considerazione in futuro.