La trasparenza dei dati, la libera circolazione delle idee, una proficua collaborazione tra arte, scienza e tecnologia, ma anche tra semplici cittadini ed addetti ai lavori, sembra essere la scommessa di Roger Malina. Recentemente ospite dell’iniziativa Meet The Media Guru a Milano, direttore dell’Osservatorio Astrofisico di Marsiglia, dove è membro dello Observational Cosmology Research Group, Roger Malina è responsabile editoriale della rivista Leonardo del Massachussets Institute of Technology (MIT), e promotore di una serie di progetti di convergenza interdisciplinare, di cui avremo modo di parlare più avanti e, ve lo garantisco, di grande interesse .
Figlio di quel Frank Malina, ingegnere aerospaziale ed artista cinetico che alla fine degli anni sessanta fondò il progetto Leonardo, Roger Malina è impegnato oggi in una campagna di sensibilizzazione e coinvolgimento pubblico per presentare soluzioni e strategie utili ad affrontare le urgenti questioni del nostro tempo. Riscaldamento globale, ricerca di energie alternative, preoccupanti cambiamenti antropogenici, il controllo e la segretezza dei dati da parte degli enti governativi, sono le riflessioni di partenza che portano lo scienziato a sollecitare la nostra attenzione davanti alla necessità di imboccare una nuova via.
Lo sdoganamento degli ambiti disciplinari di competenza, la condivisione pubblica dei dati, l’utilizzo etico ed intelligente dei nuovi dispositivi, ma sopratutto una necessaria collaborazione tra artisti e scienziati, filosofi, musicisti e film maker, sono le indicazioni di percorso essenziali per l’astrofisico franco-americano.
Viste le premesse e il successo del suo speech a Milano, abbiamo deciso di intervistarlo. Attenzione, si tratta sicuramente di un bel viaggio. E per la verità, mai come in questa occasione ho potuto verificare quanto sia realmente possibile creare delle oasi di condivisione, dove il “pensiero laterale” trovasse una così felice applicazione e il rigore della scienza così tanto sostegno dalla capacità immaginifica (immaginifica proprio come visualizzare per immagini) delle arti e delle scienze umane.
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Teresa De Feo: Mr.Malina, lei crede nell’incontro delle due culture, umanistica e scientifica, ed in particolare in una una necessaria collaborazione tra arte, scienza e tecnologia e proprio questa sembra configurarsi nel suo pensiero come una delle soluzioni più fruttuose per attivare un processo di cambiamento. Le parole chiave che lei utilizza e le direzioni da seguire in questo senso sembrerebbero: la pratica di una scienza che lei chiama scienza intima; l’esercizio del dubbio come motore dello sviluppo culturale; il valore della curiosità come fondamento di una nuova etica.
E’ chiaro che molte di queste parole e concetti appartengono al vocabolario e alla pratica artistica, e questo non è un caso. Citando Roy Ascott, lei sottolinea che ciò che è importante oggi “non è chiedere cosa le scienze possono fare per le arti, ma ciò che l’arte può fare per la scienza”. Ecco secondo lei, in sintesi, che cosa le arti, ed in particolare le arti che si avvalgono delle nuove tecnologie, possono fare per la scienza?
Roger Malina: Beh, viviamo in tempi molto difficili, in cui risulta indispensabile “ridisegnare” le nostre culture, ora che l’economia del petrolio sta giungendo alla fine, è necessario trovare soluzioni affinché la grande popolazione umana non comprometta l’ecologia e la rete della vita da cui noi dipendiamo e certamente è necessario mitigare i cambiamenti antropogenici ambientali, compreso il surriscaldamento globale.
Penso tra l’altro che uno dei grandi problemi sia l’impossibilità di percepire molti di questi cambiamenti attraverso i nostri sensi, anche se noi vediamo lo scioglimento dei ghiacciai, lo Co2 non ha sapore, odore e non può essere vista.
Anche se sappiamo che molte specie andranno estinguendosi, è difficile vederne l’impatto sulla rete della vita. Molti dei pericoli, rischi a cui dobbiamo fare fronte, ci vengono presentati attraverso strumentazioni scientifiche, non attraverso i nostri sensi nudi. Cosicché penso che la prima cosa che gli artisti che lavorano con le scienze debbano fare, è contribuire alla nascita di una cultura dove i dati rilevati con le strumentazioni scientifiche entrino a far parte della nostra coscienza, intuizione e modo di percepire il mondo. Noi abbiamo bisogno di una cultura che incorpori la conoscenza scientifica nei suoi modi di conoscere ed essere nel mondo.
In secondo luogo, avendo artisti preoccupazioni differenti rispetto agli scienziati ed essendo connessi alla sfera sociale, dobrevvero essere interessati a diversi problemi e priorità. Mi piace chiamare questo atteggiamento “etica della curiosità”, ispirandomi a quanto scrive Sundar Sarukkai, in India. E credo che la scienza abbia bisogno di una nuova etica che sia radicata ai problemi con cui dobbiamo confrontarci. Penso che gli artisti che lavorano con la scienza possaano aiutarci a sviluppare una “etica della curiosità scientifica”.
Infine, la terza riflessione riguarda ciò che viene definito “teoria dell’innovazione”. Quando cioè si lavora a problemi molti difficili, è spesso nelle aeree interdisciplinari che si verificano importanti progressi scientifici, non all’interno delle vecchie discipline. E il caso per esempio delle biotecnologie o delle nano scienze. E questo può anche succedere tra le arti e le scienze.
Mi piace molto il lavoro del sound artist David Dunn e dello scienziato della complessità James Crutchfield, che hanno lavorato in un ambito definito “ecologia acustica”, guidato dall’interesse del musicista al suono che emettono gli alberi durante la loro crescita. Questa collaborazione ha prodotto sia interessanti scoperte scientifiche che una musica fortemente suggestiva.
A Parigi c’è un interessante art&science lab Le laboratoire, istituito dall’ingegnere bio-medico David Edwards. Faccio anche io parte di questo gruppo che ha dato vita all’IMERA – Mediterranean Institute for Advanced Studies (www.imera.fr), che è anche essa una piattaforma che favorisce questo tipo di collaborazione innovativa. Noi abbiamo dato vita a un network che si chiama ArtsActive, che unisce vari gruppi che stanno ospitando artisti in residenza nelle istituzioni scientifiche.
Potrebbe essere interessante anche avere scienziati in residenza nelle istituzioni culturali. In quest’epoca caratterizzata da un rapido cambiamento culturale, e guidata dall’urgenza di una rapida trasformazione planetaria, penso che le arti e le scienze umane debbano essere protagoniste della sfida con la quale le varie crisi ci portano a cimentarci.
Teresa De Feo: Lei sostiene che il 97% della materia dell’universo ci è sconosciuta e non è percepibile né dai nostri sensi né dalle loro estensioni tecnologiche. Chiama questo inconoscibile “dark universe”: la materia oscura che sembrerebbe testimoniata solo dalla presenza di alcuni dati. Secondo lei può l’arte contribuire a rendere conoscibile l’inconoscibile? Portare questi dati ad una decifrazione praticabile?
Roger Malina: Gli astronomi correntemente credono che il 97% del contenuto dell’universo risieda in una forma chiamata “dark matter” (materia oscura) e in una seconda forma chiamata “dark energy” (energia oscura). Gli astronomi non conoscono ciò di cui consiste, ma riescono a rilevarla attraverso la sua forza di gravità. Questo è un bel dilemma per la scienza attuale. Penso, però, che sia improbabile che gli artisti possano aiutare a risolvere specificamente questo problema, sebbene sappiamo che le idee di cui disponiamo sull’universo sono molto radicate nei nostri concetti metafisici ed anche nei nostri sistemi mitologici.
L’artista Donna Cox, recentemente, ha fatto una interessante tesi di PhD in cui vengono esaminati alcuni di questi problemi. Come artista ha collaborato con molti astrofisici ed aiutato a sviluppare nuovi modi per visualizzare e manipolare i dati astronomici e questo ha portato come risultato addirittura il deposito di alcuni brevetti.
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Teresa De Feo: Lei crede molto nella forza dell’esplorazione collaborativa, nella libera circolazione dei dati (sempre più controllati dagli enti governativi, organizzazioni commerciali, e ghetti scientifici), di conseguenza crede in una scienza più calata e vicina al mondo quotidiano. In quanto a ciò ritiene necessario l’istituzione di nuovi diritti e di nuovi doveri, in particolare: il dovere e il diritto di ognuno di contribuire alla costruzione della conoscenza raccogliendo e interpretando i dati relativi al suo mondo. Sono molti i progetti che lei ha attivato e sta seguendo perché ciò avvenga. Open Observatory è uno di questi. Che cosa sono precisamente?
Roger Malina: Sono molto influenzato dal background dell’astronomia. Negli ultimi trent’anni gli astronomi hanno reso pubblici e condiviso tutti i dati raccolti dai loro osservatori. Questi ultimi vengono chiamati “osservatori virtuali“. Questo ha avuto come risultato l’incremento delle scoperte scientifiche che non sarebbero state possibili se molti scienziati avessero mantenuto per sé i dati raccolti dalle loro ricerche, in aggiunta attraverso gruppi come BOINC molte persone possono contribuire alle scoperte scientifiche.
Penso che sia possibile estendere questa idea anche ad altre discipline. Una delle cose che ha aiutato è che le agenzie che finanziano l’astronomia hanno insistito che gli astronomi pagati dal governo dovessero rendere pubblici i lori dati.
Nel mio Manifesto Open Observatory estendo questa idea dicendo che tutti i dati di ogni tipo, ottenuti col finanziamento pubblico, attraverso le tasse dei contribuenti, debbano essere resi pubblici e, se contrariamente il governo intende secretarli, deve dimostrare che i pericoli del pubblico accesso sono maggiori rispetto al pericolo della segretezza e la protezione dei dati. In seconda istanza credo che noi possediamo nuovi modi di collezionare dati scientifici ed è possibile, oggi, per milioni di persone aiutare la raccolta dei dati, specialmente rispetto alla comprensione del nostro impatto sull’ambiente.
L’artista Andrea Polli ha proposto che ogni scuola d’arte sul pianeta sia dotata di una stazione meteorologica in modo da diventare il punto di riferimento locale per il rilevamento dei cambiamenti climatici del pianeta. Il telefono cellulare potrebbe essere utilizzato come un interessante dispositivo di rilevazione di dati, per esempio consentendo a molte persone la misurazione di diversi parametri corporei che potrebbero così essere condivisi e portati a conoscenza del proprio medico.
Questi sono alcuni punti essenziali del manifesto del mio Open Observatory: 1 – ognuno di noi ha diritto ai dati che sono stati raccolti su noi stessi e sull’ambiente in cui viviamo.
2 – ognuno di noi deve contribuire alla costruzione di conoscenza raccogliendo e interpretando i dati relativi al nostro mondo.
Teresa De Feo: Durante l’incontro al Meet The Media Guru, ha parlato anche dell’IMERA di cui ha accennato poco fa. Vuole dirci qualcosa in più su questo osservatorio delle arti del Mediterraneo?
Roger Malina: L’IMERA è un nuovo programma di residenza istituito da tre università e il CNRS di Marsiglia. La condizione primaria di accesso al programma di residenza e ciò che lo caratterizza è che ognuno lavori con altri al di fuori del proprio ambito disciplinare, per esempio un artista con uno scienziato, un sociologo con un fisico.
Col sociologo Samuel Bordreuil abbiamo istituito l’ASIL-Art Science Instrumentation Language per promuovere programmi di residenza tra arte e scienza. Per esempio il film maker Harold Vasselin sta lavorando con climatologi, neuroscienziati, e nano scienziati, così come Jim Gimzewski sta lavorando sia con artisti che filosofi.
Teresa De Feo: Mister Malina lei crede in un “rinascimento trasformazionale“ e sostiene che oggi esso è possibile. Sinteticamente, secondo lei, qual è il compito di ciascuno di noi per cotribuire a un reale e proficuo cambiamento?
Roger Malina: L’ho accennato prima. I cambiamenti che noi vediamo susseguirsi nella nostra cultura e società sono molto rapidi: abbiamo meno di 50 o 100 anni ancora per trovare energie alternative al petrolio, per assicurarci che le emissioni di carbonio non causino cambiamenti climatici, per garantirci che l’acqua potabile sia sufficiente. Questi cambiamenti sono molto rapidi, come ho detto.
Noi non abbiamo mai dovuto ridisegnare la nostra società prima di adesso, cultura e società si sono sempre evolute nel corso delle varie generazioni per rispondere ai relativi cambiamenti, ora noi dobbiamo invece prontamente ridisegnare la nostra cultura così da renderla sostenibile. Chiamo questo problema “hard humanities” e dal momento che è un cambiamento culturale, coinvolge tutti.
Teresa De Feo: L’ultima domanda. Domanda in epoca di crisi. Mister Malina, ce la faremo?
Roger Malina: Come scienziato sono ottimista per definizione. Penso che il mondo sia conoscibile utilizzando il metodo scientifico. Il problema però è convertire la conoscenza in cambiamento, ed in particolare del nostro modo di essere al mondo. Questo non è un problema solo degli scienziati come esperti, ma anche un problema degli esperti nelle arti e nelle scienze umane.
Io sono incoraggiato dal modo in cui molti artisti e studenti di scienze umane sono profondamente impegnati oggi nella risoluzione di questi problemi difficilissimi. Penso che siano loro i nuovi Leonardos, molti lavorano in gruppo, altri individualmente, sono di tutte le età e generazioni. Se noi siamo in grado di accostare l’esperienza della gente over 70 a quella degli over 30, ho ragione di essere ottimista.
http://www.leoalmanac.org/index.php/browse/C41
http://www.leoalmanac.org/index.php/lea/entry/an_open_observatory_manifesto/