In nessun posto al mondo realtà e finzione si confondono in tal modo come a Los Angeles. E’ la patria di Hollywood ed il luogo con il numero di chirurghi plastici più alto al mondo. Un luogo dove i ristoranti hanno candele finte di LED e dove la gente si traveste da Obi One Kenobi per andare a fare la spesa. L’altra sera ero in un ristorante vicino Topanga beach; immerso nel bosco, alberi rigogliosi si intravedevano dalle finestre, cinguettii di uccelli tra le foglie. I suoni del bosco si intrecciavano con il chiacchiericcio dei commensali in una situazione alquanto bucolica. All’improvviso, silenzio! Gli uccellini smettono di cantare tutti insieme. Il cameriere corre in cucina, e pochi secondi dopo ecco il cinguettio di nuovo. Si era dimenticato di mettere il cd in loop…
Los Angeles è anche una delle esperienze urbane più hyper-mediatead al mondo, una immensa rete distribuita e decentralizzata dove i cartelloni pubblicitari sono immensi schermi a LED, ogni autobus ha almeno tre televisori che trasmettono il proprio telegiornale e se non hai almeno un iPhone sempre con te sei fregato. E ovviamente il cimitero di Hollywood ha una Cappella equipaggiata per lo streaming live dei funerali.
Anche se i Knifeandfork non sono cresciuti a Los Angeles (Brian House è nato a Denver e al momento è di base a NY, Sue Huang vive a Los Angeles ma e’ nata in Arabia Saudita), il loro lavori non possono essere stati concepiti in nessun altro luogo. Hanno prodotto infatti un’installazione inspirata al film Rashomoon di Akira Kurosawa e basata sull’algoritmo del “Dilemma del prigioniero”, preso dal modello della teoria dei giochi (5 ‘til 12, 2006), trasformato un museo di arte contemporanea in un golf club (Emptiness is Form (golf and donuts) al MOCA, 2009), e organizzato una reiterata messa in scena dell’ (in)famoso (“in-famous” in inglese rende meglio l’idea) goal che Diego Armando Maradona segnò contro l’Inghilterra nella Coppa del Mondo del 1986 (Trying the hands of God, 2009).
Hanno inoltre prodotto diversi progetti di mobile-technology incentrati sulla costruzione di narrative individuali in spazi pubblici (Hunderkopf, 2005) e con “agenti artificiali” (The Wrench, 2008, commissionato da Rhizome per il New Museum of Contemporary Art di New York), per il quale hanno sviluppato un proprio linguaggio open-source, il TXTML.
Ho avuto modo di conoscere e incontrare Brian House e Sue Huang e ho ritenuto il loro lavoro adatto per un articolo su Digimag. La conversazione che ne è scaturita mette in evidenza il metodo di lavoro dei Knifeandfork e la loro modernità nel collocarsi in un territorio intermedio, ed estremamente potenziale, tra software art e design
Mattia Casalegno:Iniziamo a parlare dei vostri ultimi lavori di mobile technology. Nel progetto Hundekopf presentato al Loving Berlin Festival nel 2005 avete usato il Ringbahn,l’anello ferroviario della città di Berlino, letteralmente come un luogo di passaggio per narrative basate su messaggi testuali. Dopo che un partecipante é stato invitato a salire su un treno del Ringbahn, una sorta di messaggeria automatica sviluppata da voi gli mandava un messaggio ad ogni stazione attraversata.
Ogni messaggio era site specific, e l’aspetto più interessante é stata la contaminazione dell’esperienza privata, personale, con quella correlata agli spazi pubblici, come può essere un treno cittadino. Come ha funzionato un progetto del genere nel contesto specifico di una città come Berlino ? Che tipo di contenuti avete usato per i messaggi mandati?
Knifeandfork: Berlino è una città sfaccettata, piena di crepe. Non conosciamo molto bene la sua storia, ma i cambiamenti che ha attraversato si notano subito girando la città. E’ difficile comprenderne la totalità, e la Ringbahnin questo senso aiuta a darne una precisa prospettiva. Ogni città dovrebbe averne una. La prospettiva che ti offre la Ringbahn è unica, e nonostante i luoghi che vedi siano a cielo aperto, ti fanno quasi sentire un osservatore sconsolato, solo, nascosto, su un treno che sembra quasi un Panopticon.
Che succederebbe quindi se questi luoghi mandassero messaggi? Se ogni cambiamento nel tessuto della città fosse espresso da un voce diversa che ti racconta una storia per ogni luogo, anche se fosse una storia completamente inventata? Avevamo in mente questo quando pensammo ai contenuti. Ma se vuoi sapere esattamente che c’era scritto nei messaggi, non te lo diremo. Non hanno più senso se non guardi attraverso il finestrino mentre li leggi.
Mattia Casalegno: L’avvento delle tecnologie di telecomunicazioni mobili, come i telefonini o palmari, sta profondamente rivoluzionando il modo in cui ci relazioniamo tra di noi e con lo spazio in cui agiamo in generale. Qual’è il vostro punto di vista e cosa vi interessa maggiormente di queste trasformazioni techno-culturali?
Knifeandfork: I telefoni cellulari sono un mezzo di comunicazione davvero affascinante col quale lavorare, per via dell ‘intimità che permettono di instaurare con chi li usa. Hai un accesso intimo, come quello di un amico o del tuo partner. E siccome il tipo di comunicazione tra persone mediata dal cellulare (la sua forma, interfaccia, ricezione, larghezza di banda, etc.), é la stessa usata in Hunderkopf, i confini tradizionali tra il lavoro artistico e la vita reale sfumano.
Allo stesso modo cambia il tuo rapporto con un certo luogo fisico: siamo abituati ad avere un luogo per ogni cosa, ma ora ogni cosa é in ogni luogo. Così, la nostra condizione estetica o cognitiva di uno spazio inteso come luogo preposto ad un solo tipo di attività é costantemente manomesso dallo strumento; ciò che ci interessa è vedere che tipo di estetiche possono emergere da tali trasformazioni.
Mattia Casalegno: Spesso vi riferite ai vostri progetti in termini di “pratiche sovversive di racconto mobile”. Cosa vuol dire esattamente?
Knifeandfork: Beh, non é nient’altro che l’SMS. Immagina che stai camminando per la strada e ricevi un SMS con su scritto: “ti sto guardando”. Continui a camminare per la stessa strada, ma tutto a un tratto il senso di ciò che ti circonda é cambiato. Sei molto più cosciente di ciò che hai intorno. Il tuo modo di percepire é stato immediatamente cambiato da quei 160 caratteri di testo che montano sù una storia.Si tratta di orchestrare piccoli interventi affinché la storia si sviluppi da sola con ciò che ti sta intorno, col tuo stato mentale.
Non diversamente ad esempio dai lavori Fluxus di George Brecht e altri che negli anni ’70 scrivevano poesie che non erano belle in se per sé, ma provocative solo nel momento in cui venivano “attivate” dall’esterno da chi assisteva in quel momento. Oggi abbiamo le reti, e possiamo decidere il momento preciso in cui attivare certe istruzioni dinamicamente e al momento giusto, e sottolineare contemporaneamente l’eccessivo potere che questo piccolo strumento si é ritagliato nel nostro quotidiano.
Mattia Casalegno: Cos’é il TXTML (TeXT message Markup Language)?
Knifeandfork: Il nostro progetto The Wrench era basato su idee simili agli altri nostri progetti di telefonia mobile, ma era molto più complesso da realizzare. Esso si basa su una ri-messa in scena di un’opera di Primo Levi (The moneky’s wrench – La chiave a stella, 1978), una serie di novelle divertenti raccontate al narratore da un povero operaio specializzato, Tino Faussone. Nel nostro progetto, l’opera di Levi è trasformata in un sistema di scambio di messaggi via cellulare tra i partecipanti e un Tino Faussone moderno interpretato da una forma di intelligenza artificiale.
In un progetto del genere c’é una relazione particolare tra la struttura narrativa e il mezzo tecnico che la supporta. Ci ha sempre interessato molto la creazione di meta-linguaggi, strumenti abbastanza generali da poter ri-utilizzare in altri lavori ma al tempo stesso specifici, che riflettano il nostro gusto artistico. TXTML é un modo per semplificare le iterazioni complesse e non lineari che occorrono tra un sistema e i suoi partecipanti. E’ come scrivere le tua sceneggiatura per una storia a tua scelta, dove metà del canovaccio è vuoto.
Da un punto di vista tecnico é esattamente come scrivere in HTML per le pagine web. Ma é accompagnato da una piattaforma per mandare e ricevere messaggi, in modo tale da semplificare tutte le complessità che ne derivano. In pratica, scrivi un documento di testo in TXTML, lo carichi in un sistema di messaggeria, e poi ricevi e mandi messaggi al sistema per testare ciò che hai in mente.
Il codice é open-source e abbiamo fatto del nostro meglio per renderlo utilizzabile da altri, sebbene al momento solo metà delle sue funzioni sono documentate e richiede un po’ di esperienza tecnica per farlo girare la meglio (maggiori informazioni le trovi qui: http://txtml.org).
Mattia Casalegno: In uno dei vostri primi progetti per la serie Engagement Party al MOCA (Museo di Arte Contemporanea, Los Angeles), avete ricontestualizzato il popolare gioco del golf proponendolo come evento sociale, dove gli avventori sono incoraggiati ad organizzarsi in squadre e utilizzare palline da golf equipaggiate con RFID tag. La cosa che mi ha intrigato di più é il titolo del progetto: Emptiness is Form (Golf and Donuts) (Il Vuoto é Forma (Golf e Ciambelle). Che vuol suggerire questo titolo?
Knifeandfork: Emptiness is Form é una semplice equazione Buddista che cerca di spiegare la plasticità del concetto che ogni idea che abbiamo di qualcosa non é assoluta. Il golf e le ciambelle hanno in comune il fatto di creare e distruggere buchi: quando giochi al golf stai in effetti riempiendo un vuoto, cioè distruggendo un buco. Quando fai una ciambella è lo stesso: fai un buco. Ma poi te la mangi e distruggi il buco. Nel nostro gioco accade esattamente questo, ottieni un buco con la ciambella intorno quando segni una buca con la pallina.
Se ci pensi, nel golf gli spazi negativi – la lontananza – sono quelli da conquistare e gli spazi positivi – gli ostacoli – sono da evitare. In un museo, dove in genere una persona fissa i muri bianchi o gli oggetti in giro, ti devi far spazio attraverso spazi vuoti. Nello stesso modo il nostro percorso invitava i giocatori ad esplorare spazi dimenticati, stanzini e scale di servizio del museo, dando più importanza a questi luoghi che alle gallerie bianche del museo. Si tratta di capire e cambiare i modi in cui abitiamo lo spazio.
E le persone la presero in un modo molto naturale e giocoso: sentire come le persone si arrabbiavano con gli amici quando non rispettavano le regole mentre svolazzavano mazze da golf tra i capolavori dello scorso secolo. Non c’è niente di meglio!
Mattia Casalegno: Nel progettoTrying the Hands of God, ricontestualizzate una narrativa mediata a livello mondiale in una esperienza personale e soggettiva, ripetuta per ogni partecipante, con una strategia quasi da “Web 2.0”, in cui l’esperienza è altamente personalizzata. Sembra quasi che abbiate voluto “ridistribuire” un evento cosi mass-mediato, come il fallo di mano di Maradona contro l’Inghilterra nei quarti di finale del Campionato Mondiale di calcio del 1986 in Messico, fino ad un livello individuale. Perché avete scelto proprio questo gesto cosi popolare?
Knifeandfork: L’idea avrebbe potuto funzionare con ogni altro evento della stessa portata; volevamo un evento storico, vissuto da tutti, e ripetuto all’infinito dalla TV e Internet. Il gesto di Maradona aveva un sacco di particolari interessanti: ruppe le regole del gioco, fu un gesto astuto, politico in un certo senso, di portata internazionale e quasi religioso (nell’uso della parola “Dio” da parte di Maradona).
E’ stato un gesto bellissimo, lo ritrovi dovunque su Youtube. Gli angelini (abitanti di Los Angeles, ndt.) sono internazionali e amano il calcio, ed era anche un bel gioco di parole: volevamo qualcosa in relazione ai concetti di fortuna e bravura, e la frase “the hand of god” sintetizza bene questi concetti.
Mattia Casalegno: In che modo un contesto come quello del MOCA ha influenzato il progetto?
Knifeandfork: Beh, lavorare al MOCA ha significato avere una scultura gigantesca di Nancy Rubins a centro campo! Abbiamo dovuto far fronte ad alcuni compromessi, ma una volta che la nostra audience ha iniziato a crederci, ci siamo resi conto che la trasformazione dello spazio aggiungeva un altro livello (un tema di tutti i nostri lavori presentati al MOCA) dimostrando la permeabilità del rituale che avevamo messo in piedi. Anche solo visualmente era un mix interessante tra lo Stadio Azteca di Città del Messico e il MOCA stesso.
Saltarono fuori cose interessanti quando dovemmo ad esempio decidere dove mettere le porta…e non c’era assolutamente posto per la rete. Decidemmo di delineare l’area della porta con del nastro adesivo bianco e pensammo che forse la gente non avrebbe capito. Invece andò tutto liscio. Un cosa davvero bella successe il giorno prima dell’evento, appena dopo aver finito di mettere il prato sintetico: una scolaresca di scuole medie passò nelle vicinanze e per sfortuna della maestra, per sbaglio, il pallone fini tra i piedi di un ragazzino.
Immediatamente fu un tutti-contro-tutti. Un gruppo di ragazzini stava davanti al trompe d’oeil della porta e gli altri tiravano pallonate a non finire. Esattamente come dovrebbe essere una gita ad un museo!
Mattia Casalegno: Piani per il futuro? A cosa state lavorando al momento?
Knifeandfork: Abbiamo appena curato una serie di piccoli eventi con una band di Brooklyn, i Live Footage: durante i loro concerti proiettiamo varie riprese dal vivo della band e del pubblico su piccoli schermi disposti sul palco, aggiungendo filtri video e cercando di creare feedback visivi tra la band stessa e l’audience. Inoltre, a breve faremo un libro, un po’ di rumore e magari un viaggio da qualche parte.