Sentire lo spazio: testa, orecchio o corpo?
Il tema dello spazio è uno dei cardini dell’indagine filosofica che si rivolge al mondo esperito dal soggetto in termini di conoscenza percettiva; la finalità quindi non è mai quella metrologico-scientifica di analisi del mutamento, ma il tentativo di chiarificazione della comune comprensione sensibile dei dati che il mondo esterno offre a chi lo incontra. Detto questo, lo spazio, nelle due forme fondamentali con cui la filosofia lo ha indagato, da un lato lo spatium cartesiano inteso come intervallo dall’altro il topos o luogo aristotelico, non ha mai smesso di essere un tema attuale. Nel dibattito estetico più recente, che si sta muovendo in Germania e in Italia, è emerso nuovamente con forza cercando una nuova via d’indagine che si distacchi dalle due precedenti.
Lo sviluppo della ricerca, teoretica e scientifica, dal Novecento fino agli ultimi anni [1], pone sempre più in luce il soggetto attraverso parametri relazionali e contestuali nei confronti dell’ambiente circostante. L’intreccio relazionale si forma a partire dal venir meno del dualismo: la mancata astrazione di un soggetto, una mente, che si oppone ad un oggetto, fondamentalmente materia, da conoscere e analizzare. Così facendo le percezioni sensoriali si smarcano dalla critica razionalistica che le relegava nell’ambito della clandestinità per conquistare il valore di conoscenza fondata sull’immediatezza e presa di coscienza della presenza soggettiva nell’ambiente.
Lo spazio stesso si sposta dallo spatium cartesiano, intervallo misurabile, a quello della nostra presenza corporea, alla nozione quindi di spazio atmosferico. In questo senso è significativa, sia per il percorso di riabilitazione sensoriale cui si è accennato sia per il fondamento teoretico del discorso di Gernot Böhme sull’atmosfera, l’Estetica di Alexander Gottlieb Baumgarten. Questi svolge un lavoro prima di tutto terminologico, estetica come scienza della percezione sensibile, e poi gnoseologico-ontologico, attribuendo ai sensi una logica e con essa la possibilità di costituirsi come via alla conoscenza: gnoseologia inferior, rispetto alla logica razionale [2].
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Lo stesso approccio “sensibile” caratterizza la recente indagine di Gernot Böhme, filosofo tedesco che proviene da studi di fisica. Nei suoi testi e nelle sue teorie rientrano differenti stimoli appartenenti alla storia della filosofia: Baumgarten e la riabilitazione della sensibilità; la tradizione fenomenologica di derivazione goetheana, che vede in pensatori come Johannes Johann Von Uexküll e il suo concetto di Umwelt un importante punto di vista sul rapporto uomo-natura; il modo Benjaminiano di trattare tutta quella serie di percezioni, tipicamente novecentesche, dove l’oggetto si mostra a distanza; il concetto di affordance Gibsoniana, ovvero la teoria secondo cui la conformazione geometrica dell’oggetto, percepita visivamente, indica i possibili modi di relazionarsi con esso [3].
Da queste battute iniziali penso si possa comprendere come lo spazio non venga visto come un sostrato comune a tutto ciò che ha forma, astraendone la funzione, ma come qualcosa di modellabile, deformabile e modificabile a seconda del punto di vista in cui ci poniamo. Lo spazio è ambiente reale e realmente esperito a livello affettivo, cioè per utilizzare le parole stesse del filosofo: The space of moods is the space which, in a sense, attunes my mood, but at the same time it is the extendedness of my mood itself. The space of actions is the space in which I can act, but also the scope of my possibilities.The space of perceptions is the space in which I perceive something, but also the expansion of my involvement with things [4].
Ecco emergere il tema della relazione con lo spazio attraverso un senso situazionale e comportamentale cui precedentemente si accennava. Da un lato il fatto che gli elementi caratterizzanti un ambiente si trovano a formare un momento figurale complessivo che ha la stessa valenza dei momenti singoli, dall’altro che la percezione del complesso si fonda su reazioni imago-motorie semiconsce nel soggetto che partecipa all’ambiente in modo sinestesico. L’atmosfera dunque, un concetto tanto immediato e allo stesso tempo, proprio per questo, difficile da tematizzare, è uno stato emotivo-affettivo indotto da determinati fattori ambientali dove viene meno la presa oppositiva del soggetto staccato dall’ambiente, per lasciare il posto alla massima continuità fra i due [5].
L’ambiente che vuole studiare Böhme è il luogo reale dell’interazione tra i soggetti e gli oggetti che in esso si muovono animandolo e costituendo delle relazioni dirette o indirette: quindi la scelta del punto di vista per la percezione dello spazio non è ottica, ma è sinestetica e ha come elemento essenziale l’aspetto qualitativo legato al “come” ci sentiamo in quel luogo.
Il rapporto d’interazione uomo-ambiente non viene ricercato da Böhme in contesti primari, dove la stratificazione culturale e tecnologica non ha imposto i propri dettami, ma, e questo è il pregio del discorso fatto dal filosofo di Darmstadt, proprio nella capacità applicativa che, concentrandosi su dati percettivi ed emotivi, non si fossilizza nella ricerca di giudizi di valore né sulla legittimità dell’utilizzo della tecnologia. Stare nell’ambiente significa essere percorsi da sensazioni di diverso tipo, che si legano alla memoria come alle nostre proiezioni future e che riempiono di senso il nostro stare.
Quasi una questione acustica. Dove suona l’ambiente?
Muovendo l’asse del discorso sul dato acustico, spero si possa notare chiaramente fin da qui come un’estetica che si qualifica come lo studio dello stare in un ambiente abbia non poche qualità che la rendono materia d’interesse e griglia con cui analizzare il mondo contemporaneo. Sia da un punto di vista più generale delle condizioni di vita dell’individuo sia come metodo di lettura che permette di affrontare le nuove forme d’arte dove la presenza della tecnologia si fa sempre più fondamentale proprio ai fini di una rielaborazione e rimodellamento del rapporto con lo spazio.
Innanzitutto però, rifacendosi alla situazionalità e al modo di rapportarsi con l’ambiente, è utile sottolineare subito che il primo imprinting sonoro-ambientale è quello prenatale ed endouterino che il bambino, nella particolare situazione di assenza di bisogni, ascolta attraverso la vibrazione dei battiti cardiaci, dei rumori intestinali, della voce materna e di cui porterà con sé un legame affettivo unito a quel determinato timbro. Fin dalla fase prenatale lo stare in un ambiente caratterizzato a livello sonoro diviene elemento fondamentale nella determinazione degli stimoli emotivi e conca di risonanza della percezione del nostro stato, positivo o negativo, appagante o di bisogno.
Si cerchi però di andare più a fondo ed esplicitare la capacità di un suono di drammatizzare uno spazio e dell’individuo di reagire differentemente nei confronti dell’ambiente [6].
Poniamo di camminare di notte lungo una strada deserta in due differenti contesti, uno urbano e uno campestre. L’avvicinarsi del rumore di una macchina a tutta velocità smuove una situazione di stasi acustica dove l’emergenza percettiva di quel rumore si presenta tutto sommato con caratteristiche identiche: ciò che colpisce è il rombo del motore che aumenta e che viene verso di noi.
Nel primo caso però la reazione emotiva di preoccupazione veicolata dal nostro stare in quell’ambiente sarà più o meno attenuata dalla coscienza di presenza umana all’interno dei palazzi oppure dalla situazione di una maggiore visibilità grazie all’illuminazione cittadina. Nel secondo invece l’ambiente che non offre ripari, né presenza umana nei paraggi, né illuminazione, insomma decisamente inospitale e anomalo per le passeggiate notturne, porta da subito a caricare affettivamente quel rumore con uno stato di preoccupazione per gli sviluppi possibili di un avvertimento così caotico e sinistro.
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L’atmosfera sonora dunque si colloca in una posizione interstiziale, tra il soggetto e l’oggetto: non è dovuta solo al dato sonoro percepito, il rumore della macchina, né legata solo al gesto dell’immaginazione di un soggetto che attribuisce ad uno stimolo uno stato d’animo. Come dice Böhme, le atmosfere sono “sensazioni quasi oggettive riversate nello spazio” [7], mettendo da un lato in crisi il piano ontologico: sono intersoggettive, ma allo stesso tempo non oggettive perché non risiedono in qualità che l’oggetto ha indipendentemente dal soggetto; dall’altro ponendole come interessante fenomeno che scardina i piani fissi di soggetto e oggetto e di produzione-ricezione.
Infatti rapportate al tema del paesaggio sonoro, sia reale che virtuale, si può osservare con chiarezza come la loro percezione e produzione, non riguardino mai la specifica ontologia oggettuale, cioè le caratteristiche oggettive dell’oggetto che ne permettono la conoscenza, ma la sua emanazione, cioè delle qualità mediante cui si diffonde o irradia nello spazio [8].
Proprio grazie a quest’orientamento estatico emerge la loro importanza per la sperimentazione artistica contemporanea, non solo per l’utilizzo delle molteplici possibilità di diffusione spaziale, ma soprattutto per la volontà di scontornare un suono o un paesaggio sonoro e vederne la sua presenza scenica e la reazione dell’ascoltatore, portandolo verso una successione di atmosfere contrastive, oppure guidandolo verso una percezione ingressiva.
Rispetto infatti alle teorie associative che hanno caratterizzato il rapporto tra musica ed emotività, la teoria delle atmosfere parte da un assunto di relazione corpo-suono che è tanto basilare quanto essenziale: il suono è la modificazione dello spazio esperito con il corpo, cioè un suono è in grado di plasmare la posizione emotiva dell’ascoltare nell’ambiente. In questo caso allora è significativa l’esperienza di molta musica contemporanea, non solo concretista, che parte da registrazioni di ambienti reali non tanto per dimostrare che ad ognuno di essi corrisponde un suono, ma che il suono descrive uno spazio “di vita” compreso in modo immediato dagli abitanti e condensato e ricomposto per chi a quelle sonorità non è abituato [9].
Non solo, si affaccia alla discussione anche la tendenza contemporanea della sperimentazione tecnologica e musicale ad escludere il ruolo della partitura come il modo migliore per comprendere la musica, riabilitando invece l’immersione diretta e sensoriale con i dati sonori. Il tratto innovativo, infatti, dell’approccio estetico di Gernot Böhme consiste nel provare ad intrecciare attraverso uno stato primario di ordine contesto-situazionale la possibilità che il soggetto ha di percepire il luogo come un’interazione mediata dalla spazialità stessa dei suoni che lo percorrono e lo caratterizzano [10].
In questo modo viene meno la necessità della musica di essere fatta dall’uomo, quindi tutte le discussioni sulla tecnica e l’artificialità delle tecnologie, e in secondo luogo si ridefinisce il significato di musica come esperienza che pone al centro l’ascolto di una determinata atmosfera acustica.
Proprio su questo punto si intreccia la relazione tra un nuovo statuto della musica o delle esperienze d’ascolto e il nuovo statuto della sensibilità ed emotività che il filosofo rintraccia nella percezione spaziale. Lo sviluppo della tecnologia e la sua applicazione ha portato sempre più verso la creazione di forme d’arte esplicitamente dialoganti tra loro e volontariamente instabili. Un felice esempio di questo è il connubio tra lo spazio architettonico e i suoni: agli albori della digitalizzazione si può vedere nel Prometeo di Luigi Nono la volontà di non cedere mai alla stabilità di questo rapporto, ma di usare sempre un tono emotivo di trasmettere la totalità dell’ambiente e veicolarla attraverso gli stimoli percettivi di differenti qualità sonore .
Occorre precisare la posizione ancora di Böhme su un ultimo punto che oltre a chiudere la sua disamina sull’atmosfera acustica è allo stesso tempo il più complesso. All’interno del normale ascolto, i segnali sonori contribuiscono a farci conoscere lo spazio attorno a noi, e attraverso le loro caratteristiche diffusive e vibratorie ci informano riguardo l’oggetto che li ha emessi. La corrispondenza tra la spazialità del corpo risonante e quella del suono prodotto, sorretta fenomenologicamente da una struttura logica, costituisce la fonte del riconoscimento [11].
Il punto però, secondo il filosofo, è piuttosto che i suoni e il loro carattere diffusivo si staccano dall’oggetto che li ha prodotti e dalla sua specifica spazialità per acquisirne una propria. L’elettronica in questo è stata significativa nel rendere conto del fatto che gli spazi acustici esistono in quanto tali e non per forza in relazione alla spazialità reale.
L’ascolto impone un’apertura dove possano introdursi eventi acustici, o meglio un’estensione: la domanda di Cartesio su dove avvenisse la percezione di un sasso toccato col bastone, trova risposta, attraverso Böhme, nello stare fuori del soggetto e nella capacità corporea di estendere il proprio spazio percettivo. L’insieme dei suoni reali che caratterizza il paesaggio sonoro entra in risonanza con il nostro spazio corporeo contribuendo a modificarlo e modellarlo [12].
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Note:
[1] – A questo proposito è interessante vedere nello studio delle neuroscienze come il gesto, il tono di voce, la musica, lo schioccare delle dita e l’ambiente circostante diventino la palestra dove avviene l’apprendimento. Si veda Rizzolatti-Sinigaglia, So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio, Cortina, Milano 2006 e per gli aspetti più musicali, Bencivelli, Perché ci piace la musica. Orecchio, emozione, evoluzione, Sironi, Milano 2007.
[2] – Per una conoscenza primaria di questi temi si vedano: Ophälders, Filosofia arte estetica, Mimesis, Milano 2008 e Tedesco, “Ästhetische Arbeit. L’estetica atmosferica di Gernot Böhme e l’attualità della retorica”, in Messori, Dire l’esperienza estetica, Aesthetica Praeprint, http://www.unipa.it/~estetica/download/Messori.pdf
[3] – Avendolo citato, si veda a questo proposito la critica basata sulla comprensione d’atto e funzione dell’oggetto che portano a questa teoria Rizzolatti-Sinigaglia, So quel che fai, op. cit., p. 38.
[4] Böhme, – The Space of Bodily Presence and Space as a Medium of Representation, http://www.ifs.tu-darmstadt.de/fileadmin/gradkoll/Publikationen/space-folder/pdf/Boehme.pdf, p.5.
[5] – Su questo modo di percepire l’ambiente e le situazioni il Novecento è colmo di esempi, basti pensare a Proust. Ma fondamentale a mio parere è la lettura di uno dei testi più intimi e legati ai luoghi di Benjamin, Infanzia berlinese. Intorno al millenovecento, Einaudi, Torino 2007.
[6] – Ricordando sempre però che la familiarità con l’ambiente gioca un ruolo primario nello stimolo emotivo.
[7] – Böhme, “Atmosfere acustiche. Un contributo all’estetica ecologica”, in Colimberti, Ecologia della musica, a cura di, Donzelli, Roma 2004, p. 105, di cui il testo in inglese è scaricabile http://interact.uoregon.edu/MediaLit/WFAE/journal/scape_1.pdf e Böhme, “L’atmosfera come concetto fondamentale di una nuova estetica”, in Rivista di estetica, a cura di Griffero-Somaini, No. 33. (3/2006), anno XLVI, pp. 5-24.
[8] – Fondamentale esempio di ciò si trova in Benjamin non solo nel famoso testo e i passi dedicati all’aura come guaina dell’oggetto, ma all’interno di Infanzia berlinese il capitolo specifico dedicato al “Kaiserpanorama”, pp. 9-10. Sarebbe inoltre interessante a questo proposito cercare un confronto sulla relazione dell’oggetto con lo spazio anche all’interno di discipline differenti ad esempio problematizzando il testo e il neologismo di Rampichini, Acusmetria. Il suono visibile, Franco Angeli, Milano 2004.
[9] – Il riferimento è rivolto agli esperimenti e ai molti scritti che si possono trovare sul World Soundscape Project di M. Shafer.
[10] – Non si vuole qui richiamare un tipo di mappatura spaziale e stimoli acustici che potrebbero essere ritrovati in alcuni esperimenti della Societas Rafaello Sanzio, ma piuttosto la possibilità di modificare lo spazio circostante l’ascoltatore, non per forza privandosi della percezione visiva. La modellazione di cui si parla è più facilmente relazionabile ad un utilizzo qualitativo degli elementi spaziali nella produzione e trattamento del suono che forse ha nel Physical computing e utilizzo dei sensori l’avvicinamento più consono.
[11] – Sulla fenomenologia della musica si veda Piana, Filosofia della musica, Guerrini e Associati, Milano 1991 e Serra, Musica corpo espressione, Quodlibet, Macerata 2008.
[12] – Oltre a Prometeo, esemplare ma datato, si consiglia la lettura del libro di David Toop, Hounted Weather. Music, silence and memory, Serpent’s Tail, London 2004, in particolare il cap. 2 “Space and Memory” pp. 40-109, dove l’autore on grande finezza e ricchezza di riferimenti rapporta il tema delle atmosfere ai lavori di Lucier, Ikeda e altri.