Signal è un festival internazionale di musica d’avanguardia, elettronica e sperimentale, che si svolgerà per la terza edizione dal 6 al 14 Novembre prossimi a Cagliari, ideato e prodotto da TiConZero, associazione culturale che da anni si occupa di ricerca in ambito musicale, teatrale e artistico. Gli artisti coinvolti rappresentano le leve emergenti di una ricerca al confine tra la dimensione sonora e quella visiva. L’abbinamento della musica e la video arte è infatti una scelta ispirata dalle commistioni, ormai piuttosto frequenti, tra i vari linguaggi artistici, soprattutto per quel che riguarda le produzioni d’avanguardia e di ricerca, che sono quelle a cui Signal vuole dedicare il suo interesse.

Tra i vari artisti presenti a Signal, ha suscitato il mio interesse la presenza del Teatrino Elettrico Pigreco, in qualità non solo di performer ma anche titolari di un workshop, di un laboratorio cioè di sonorizzazione e studio dell’oggetto. Laboratorio che verrà poi ripetuto e ampliato a Rimini, presso il Velvet Club nell’ambito dell’evento DalVivo che ho curato insieme a Roberto Paci Dalò e Ambra Galassi di Giardini Pensili, in cui verrà posta attenzione vero le possibilità espressive dell’oggetto, la creazione di una drummestic-machine partendo da qualsiasi cosa dotata di un motore elettrico, l’autocostruzione di microfoni a contatto, la manipolazione empirica di segnali video e la creazione di partiture a/v. Live video analogico, loops, televisori sonori, video feedbacks e troglo drum machines; ma anche politiche del riuso e sperimentazione a basso costo, sovversioni estetiche e riflessioni ad alto volume.

Il Teatrino Elettrico Pigreco si è palesato ai miei occhi (in colpevole ritardo lo ammetto, considerando la loro presenza tra gli altri a Flora Live Media Lab di Firenze, e più recentemente a RoBOt02 a Bologna, Deus ex Machina 01 a Roma, al Mapping Festival 09 di Ginevra, al Vison’r Festival 09 di Parigi, Dorkbot di Milano) durante le giornate dell’Hackmeeting di Milano, nello specifico nella prima delle due serate alla Fornace di Rho.

Ciò che mi ha colpito da subito, è stata l’originalità del progetto, la sua messa in scena, la sua coerenza stilistica e la sua potenza espressiva: tutti elementi che ho ritrovato, forse amplificati, nei pensieri, nelle idee e nella progettualità artistica che emerge da questa intervista che ho condotto con Emanuele e Massimiliano.

 

Teatrino Elettrico si dimostra un realtà artistica aliena nel panorama nazionale, di difficile comprensione e accettazione anche dagli stessi addetti ai lavori, siano essi provenienti dagli ambiti del live media che da quelli del teatro sperimentale. Sì perchè Teatrino Elettrico persegue una drammaturgia teatrale molto profonda, che richiede una certa capacità da parte del pubblico di astrarsi passivamente dalla realtà del presente, fatta di elementi meccanici e oggetti di riciclo e di riuso messi in scena come attori di una dramma audiovisivo contemporaneo. Per Teatrino Elettrico il performer è strumento e attivatore della messa in scena meccanica, consapevole della sua presenza ma al contempo elemento invisibile sullo stage, capace di lavorare con circuiti elettrici ed elettronici, coerente nella sua profonda impronta ecologica legata al recupero di materiali e tecnologie all’apparenza naif ma palesemente importanti in un epoca di automatizzazione digitale crescente.

Teatrino Elettrico ha profondi e chiari rimandi artistici alle avanguardie cinetiche, cibernetiche e robotiche dellà metà del secolo scorso: un detournament di oggetti di uso quotidiano, rielaborati, rivisitati, valorizzati nella loro forma oggettuale archetipica, utilizzati nella loro potenzialità multifunzionale. Ogni oggetti, ogni meccanismo, viene usato al contempo sia come produttore di suono che come collettore di video, con una costante operazione di feedback che rimanda sia alle sperimentazioni dei Vasulka che ai meccanismi cinetici di Pierre Bastien. Una delicata capacità di lavorare con elementi audiovisivi distribuiti su differenti livelli: quelli maggiormente teatrali e scenici, scultorei e steampunk, come nel progetto live visto ad Hackmeeting, e quelli più spostati verso i linguaggi del live media tradizionale (DC12V che verrà presentato a Signal e al Velvet Club) dove comunque è l’oggetto e il suo micromeccanismo interno ad essere inquadrato, vivisezionato dalla telecamera, esploso su una proiezione multischermo.

Marco Mancuso: Innanzitutto vorrei sapere qualcosa di più di voi. Non tutti magari vi conoscono, per cui parlatemi un po’ di voi singolarmente, del vostro background, dei vostri interessi in ambito artistico e di come vi siete incontrati e avete fatto partire il progetto del Teatrino Elettrico

Massimiliano: Il mio percorso parte dalla musica e nonostante realizzi sia progetti video sia installazioni e performance, l’esperienza sonora ha sempre una posizione centrale nei miei lavori. La mia pratica in campo visivo, consiste per lo più nel costruire un nuovo significato operando delle addizioni o delle giustapposizioni tra elementi di per se già aventi un significato proprio, perché comuni e riconoscibili. Gioco ad assemblare dei meccanismi, utilizzando parti o funzionamenti incompleti di altri meccanismi. Lo scopo è solitamente quello di arrivare ad un assemblaggio, che in qualche modo prenda forza dalle storie e dalle energie di ogni elemento ma che le convogli in un grumo che abbia di per se un funzionamento nuovo, una logica interna, una motivazione complessiva.

Emanuele: Io provengo da ricerche e studi in campo teatrale, particolarmente interessato a problematiche e limiti relativi al lavoro dell’attore apprezzo sinceramente soluzioni sceniche che non prevedano la presenza di persone. Mi formo musicalmente suonando in particolare strumenti a doppia corda e lavorando come fonico. Ultimamente mi ritrovo ad approfondire questioni riguardanti la sinestesia audiovisiva con una passione sfrenata per i tubi catodici e per la ripresa live, sia visiva che sonora. La nostra collaborazione artistica è stata varata  durante una residenza a Groznian, in Croazia, nel 2008, durante la quale abbiamo preparato e realizzato la nostra prima perfomance audio-video insieme. Lì abbiamo lavorato per dieci giorni ad un live realizzato sfruttando i funzionamenti di vari oggetti trovati o recuperati sul posto, mixati ad altri oggetti, microfoni ed effetti che ci eravamo portati. Ad esempi,o abbiamo realizzato un passeggino a trazione elettrica, combinandolo con un affettatrice che faceva girare le ruote:  gli abbiamo piazzato un amplificatore sopra e lo abbiamo fatto fischiare in feedback mentre girava su se stesso. Abbiamo microfonato delle stampanti e uno spremiagrumi. Durante la performance manovravamo gli input audio che venivano dagli oggetti, e il tutto era ripreso con una video camera e proiettato sulla parete della galleria. Da lì abbiamo deciso di andare avanti con quel tipo di spettacolo e abbiamo scelto il nome Teatrino Elettrico perché ci dava l’idea di quel raccoglimento che si era creato  durante la performance, ma anche del frastuono gracchiante che ne era uscito.

 

Marco Mancuso: Parlatemi dei progetti che avete in cantiere: mi riferisco al progetto live che ho visto allo scorso Hackmeeting di Rho e il progetto DC12V. Pur avendo elementi comuni, sono al contempo due progetti piuttosto differenti: uno più installativo, scultoreo quasi, ottenuto mediante l’utilizzo di elementi elettronici di recupero, in cui la componente audiovisiva è ottenuta focalizzando l’attenzione sull’oggetto cinetico, l’altro più performativo, con una struttura più da live set, in cui l’oggetto dinamico viene filtrato visivamente da una triplice proiezione più tradizionale.

Teatrino Elettrico: Come Teatrino Elettrico abbiamo realizzato performance in diversi format. Di fatto ci muoviamo tra l’installazione, il live-media, il teatro, il video e la musica consci di non appartenere esclusivamente a nessuna di queste discipline. Abbiamo suonato, per così dire, in luoghi molto diversi che vanno dalla galleria, al club house, al festival audio-visual, al centro sociale. Il 2009 per noi è stato l’anno dell’approccio allo spazio teatrale. Nonostante entrambi avessimo avuto altre esperienze in teatro con altre compagnie, portare Teatrino Elettrico è stata una esperienza molto ricca. Abbiamo apprezzato molto la sacralità del luogo, e il raccoglimento, il livello d’attenzione che lì si crea. Con i nostri volumi e il pubblico intrappolato nella griglia della platea.

Il progetto che hai visto ad Hackmeeting a Rho, fa parte di questa attitudine di Teatrino Elettrico a spingersi verso lo spazio teatrale. Lavorando con la produzione di suoni e immagini in tempo reale per mezzo di macchine ed elettrodomestici assemblati, è stato abbastanza naturale allargare il set aggiungendo materia su materia, creando automaticamente uno spazio. Il fatto di lavorare con oggetti appesi a funi, ha facilitato la creazione di ambienti densi e caotici, anche se la nostra estetica sgangherata tradisce una certa attenzione alla forma. All’interno di questo spazio, lo stesso dello spettatore, gli oggetti compiono delle azioni dalle conseguenze audiovisive moltiplicate. L’utilizzo del movimento fisico, sia come produttore di suono che come visual in sè, ancor prima della riproduzione video è una particolarità che sicuramente l’altro live DC12V non comprende. Il fattore spaziale è la prima differenza tra rispetto a DC12V, che è invece un progetto specificatamente pensato per il live audio-video.

Ciò nonostante abbiamo pensato di realizzarlo ugualmente in real time, facendo accadere sul desk quello che si sarebbe visto negli schermi e udito dalle casse. Prima di quello avevamo realizzato altri set da tavolo, usando elettrodomestici interi. Ma poi usando la 12volt abbiamo avuto la possibilità sia di avere oggetti più piccoli, sia di entrare all’interno degli oggetti per estrapolarne parti, piccoli motori, ventole, così da celebrare il minuscolo con proiezioni giganti. In un caso ci troviamo di fronte a delle visuali esclusive imposte dalle proiezioni che generano scenari estranei per chi guarda, nell’altro di fronte ad un complesso di eventi simultanei in cui lo sguardo può girovagare, tra le ripetizioni e i commenti degli schermi televisivi.

 

Marco Mancuso: Uno degli aspetti che stupisce dei vostri progetti è la complessità delle strutture meccaniche autocostruite, funzionale però a una narrativa audiovisiva, a una drammaturgia meccanica ben precisa. Nulla pare gratuito e ogni componente funzionale allo scopo. Mi domando, dove avete acquisito le competenze necessarie e soprattutto come associate la dinamica dei componenti in funzione di un determinata partitura sonora?

Teatrino Elettrico: A volte si parla della particolare fertilità dei limiti. Se non del limite come vero e proprio motore di certa creatività. Un limite che finora ci siamo sempre voluti imporre è la produzione di suoni e immagini esclusivamente in tempo reale. Questo semplice fatto ha comportato come conseguenza diretta molte delle decisioni che abbiamo preso nel tempo. Esattamente come dici tu, niente è gratuito, ma ha una sua precisa funzione. E tutte queste hanno una funzione complessiva. In verità siamo soddisfatti quando un elemento ha più di una sola funzione. É il caso ad esempio degli schermi televisivi, che vengono usati sia dal segnale della camera  in presa diretta, sia come luce, come generatore di feedback, sia come produttore di suoni, o anche come visualizzatore dell’onda sonora.

Il dogma della multi-funzionalità e della sincronicità viene usato infatti anche nella gestione dei segnali. Un segnale audio può essere utilizzato dal televisore per produrre degli sfarfallii sincronizzati al suono che c’è nell’ambiente; una camera che riprende l’oggetto che sta suonando manda un segnale video che può essere amplificato e mandato alle casse. I segnali video vengono modulati con effetti audio.

La partitura sonora può derivare sia da motivazioni drammaturgiche, nel senso meno narrativo del termine, sia da esigenze tecniche, sia da coerenza visiva con gli elementi utilizzati prima e dopo. Essenzialmente tendiamo ad utilizzare un percorso narrativo che và da un momento di calma, più introspettivo, di rilassamento e di sintonizzazione, che man mano si scalda, e poi si surriscalda, fino ad arrivare ad un punto massimo di tensione che esplode e ritorna al silenzio. Per  la preparazione, la partitura è dettata da un empirismo quasi alchemico. Abbiamo molta fiducia nell’esperimento, nel senso che non diamo troppo credito ad un’idea finché non vediamo quanto e come funziona una volta realizzata. La struttura drammaturgica è spesso decisa a posteriori, una volta che la familiarizzazione con un congegno, ritenuto funzionante, ci aiuta a collocarlo in un dato momento e in un dato spazio. Del resto anche al momento del live lasciamo un coefficiente di improvvisazione e ci muoviamo all’interno di una struttura che abbiamo costruito durante le prove.

 

Marco Mancuso: A Rimini, all’evento Dal Vivo, vi ho invitato a tenere un workshop che, come suggerite voi, si occupa di auto costruzione di microfoni a contatto, sonorizzazione di oggetti, auto costruzione drummestic-machines, etc. Come si svolge il vostro workshop e per quale tipo di pubblico è più adatto?

Teatrino Elettrico: Il workshop si concentra sulle possibilità espressive dell’oggetto; mostrando il Teatrino smembrato avremo modo di esporre le nostre pratiche in ambito di sperimentazione audiovisiva. Mostreremo come auto-costruirsi una drum machine partendo da un elettrodomestico, e come far cantare un televisore. Invitiamo tutti gli interessati a partecipare prendendo parte alla condivisione di politiche del riuso e di sperimentazione a basso costo.

Marco Mancuso: Anche se potrebbero sembrare immediati alcuni riferimenti artistici e teorici ben precisi, dalle orchestre meccaniche Futuriste alle scultore cinetiche, il Teatrino Elettrico sembra dare forma a un percorso piuttosto chiaro che l’arte audiovisiva ha intrapreso nel corso degli ultimi anni: quello cioè di abbandonare le divisioni di generi, siano esse legate alle tradizioni della video arte, dell’elettroacustica, della robotica cinetica, delle installazioni video, per cercare un territorio di dialogo nuovo ed esteticamente più ricco e dinamico, anche rispetto alla fascinazione digitale legata alla produzione di software realtime sempre più potenti ma anche sempre più uniformanti. Quale è il vostro pensiero su questa riflessione?

Teatrino Elettrico: Portando in giro il Teatrino abbiamo sempre avuto la sensazione di provenire da un luogo altro; abbiamo suonato in posti dei più vari, e in ogni contesto ci siamo sentiti fuori fuoco. La trasversalità del progetto sta nell’utilizzo dei materiali delle varie arti, che pur orchestrati rimangono indipendenti, una sovrapposizione di tecniche che forziamo prepotentemente e portiamo alla deflagrazione. La critica più decisa che ci è stata fatta in seguito a una delle nostre incursioni in teatro è a proposito della vanificazione dello sguardo dello spettatore, intrappolato in un sedilino a subire, senza poter contemplare o interpretare. Il netto rifiuto dell’uso di un tono medio in ciò che esponiamo si configura effettivamente come un’imposizione formale, noi per primi siamo di fronte ad un evento che inneschiamo unendo i vari componenti e che avviamo fornendo l’energia di iniezione; il resto è concatenazione di accidenti incanalati.

Ciò che proponiamo alle varie arti non è propriamente un dialogo, forse più una sorta di ring dove possono permettersi di esprimersi liberamente; ciò che ne esce è un equilibrio totalmente instabile, una discussione parecchio animata. Il rifiuto dell’uso di tecnologie digitali non è altro che la possibilità di immergersi in un esperienza materica sempre più preziosa per l’epoca in cui viviamo. L’approccio è tipicamente artigianale, il segreto sta nella nella consuetudine e nella ripetizione del gesto, esattamente ciò che fanno i nostri congegni; più difficile sAREBBE pensare di tener il passo del calcolo di un processore.

 

Marco Mancuso: Dove risiede per voi il fascino dell’oggetto, del meccanismo, del suo funzionamento cinetico? Sia nel live dell’HackmeetinG, che ancora di più in DC12V, il singolo meccanismo diventa archetipo di un epoca che sta irrimediabilmente volgendo al termine sotto la spinta immateriale del digitale, di conoscenze che si stanno perdendo, di necessità di comprensione e controllo del funzionamento intimo dello strumento…

Teatrino Elettrico: Ogni oggetto di uso quotidiano concepito per altro scopo e riutilizzato, è da ritenersi materiale radioattivo, particolarmente efficace. Modificati uso e fine diviene un simbolo dallo straordinario potenziale evocativo, assume la forma di un ideogramma di qualcosa, un segno che si interpreta tra le maglie della sua stratificazione di significati sia soggettivi che oggettivi, rappresentante la sua categoria diventa argomentazione. In quanto oggetto rimane essenzialmente oscuro, così come la fascinazione per la sua impersonalità. Il movimento, aggiunto al suono da esso prodotto, è ciò che dona una scintilla di vitalità. Per questo cerchiamo sempre di mascherare la nostra presenza durante i live, mettendoci in disparte o in penombra o totalmente nascosti. Vogliamo che protagonista sia l’oggetto, che sia autonomo rispetto alla nostra presenza di macchinisti.

Teatrino Elettrico utilizza quasi esclusivamente oggetti di recupero e questo ha varie motivazioni. Innanzitutto un oggetto vecchio porta su di sè i segni del suo prolungato contatto col mondo, graffi, ruggine ecc. Troviamo che questo sia un corretto corrispettivo della nostra pratica del tempo reale. Quei segni sono la prova che quell’oggetto ha trascorso del tempo e con questo delle situazioni, e delle azioni gli si sono svolte attorno. Di conseguenza è anche la prova che quell’aspirapolvere non è uno qualsiasi, ma è proprio quello e non un altro. Ogni oggetto porta così su di se la propria storia e mostrandosi aggiunge il proprio racconto al fruscio degli altri racconti.

Pensando in digitale questo non avrebbe senso e magari tutto assomiglierebbe un po’ di più ad una vetrina di un negozio, che non consideriamo un luogo dove si svolge la vita reale. Oltre a ciò ovviamente troviamo bene intonata questa estetica al tipo di suono che produciamo. Ma c’è anche un altro motivo: l’oggetto di recupero ha un valore economico bassissimo e questo permette un’ atteggiamento nei suoi confronti totalmente ludico. Un oggetto che forse era stato comprato anche a costo di sacrifici diventa un giocattolone il cui peggiore rischio è di tornare di nuovo al cassonetto cui era stato destinato. Questo meccanismo ricorda un po’ il detournament della sua funzione che già avviene nel momento in cui abbandona la sua operazione usuale per diventare un produttore di suoni.

 

Marco Mancuso: Quali sono artisti o progetti di riferimento a livello nazionale e internazionale?

Teatrino Elettrico: Dal punto di vista dei riferimenti o delle possibili derivazioni, ci vengono in mente alcuni nomi che potrebbero apparire più distanti dal nostro Teatrino ma che stimiamo molto e crediamo comunque sorgente per il nostro lavoro. Innanzitutto pensiamo ad alcuni suoni degli Einstürzende Neubauten ma anche agli impianti scenici della Societas Raffaello Sanzio, alle sculture semoventi di Tinguely, al noise di Olivetty e infine alla musica techno di Raumschmiere.


http://www.myspace.com/teatrinoelettrico