Tony Ourslerè uno degli artisti multimediali di maggior fama internazionale, nato nel 1957 a New York, città nella quale vive e lavora. Negli anni Ottanta inizia a realizzare video di breve durata, e in seguito prende a progettare installazioni nelle quali ambienta video e suono. Dagli anni Novanta diventa una caratteristica costante del suo lavoro l’uso di manichini, pupazzi e bambole resi protagonisti delle sue installazioni.

Membro di un gruppo rock, i Poetics, insieme ai colleghi Mike Kelley e John Miller, anch’essi artisti, durante la sua carriera ha collaborato con Constance DeJong, Tony Conrad e con Dan Graham e Sonic Youth. Le opere multimediali che l’hanno reso famoso sono video proiettati in tre dimensioni, spesso su superfici sferiche, che accentuano la carica espressiva del soggetto, un viso nell’atto di parlare, osservare o urlare. Il materiale video utilizzato da Oursler è spesso una sorta di footage di volti umani, con il risultato di far sì che gli oggetti tridimensionali su cui si concentra il fascio di luce sembrino dotati di vita, suscitando nello spettatore un innegabile senso di sorpresa, di fascinazione, e al contempo di timore. Combinando quindi scultura, proiezioni multimediali e registrazioni della voce umana, Oursler ricerca, in tutte le sue opere, l’interazione con il pubblico e l’animazione di concetti psicologici e filosofici all’interno di uno spazio quasi onirico: la cultura giovanile, la relazione tra mass media e la mente umana, i disordini psicologici sono tutti temi trattati ed esplorati negli immaginari surreali di Tony Oursler. Nel 1989 Tony Oursler partecipa alla Biennale del Whitney, nel 1992 a Documenta di Kassel, nel 1993 tiene una personale al Centre d’Art Contemporain di Ginevra. Tra le numerose mostre: la personale alla Lisson Gallery di Londra e alla Metro Pictures di New York nel 1996, la partecipazione alla Biennale di Istanbul del 1999, la mostra alla Lehman Maupin Gallery di New York del 2001.

L’intervista che segue è stata realizzata per il catalogo della mostra Il Canto del Corpo Elettrico all’interno dell’evento Direct Digital, che si è tenuta a Modena (http://www.directdigital.org/) dal 29 Maggio al 28 Giugno scorso, di cui noi di Digicult abbiamo curato i testi. E’ questa la seconda intervista estrapolata dal catalogo e qui pubblicata in forma integrale (dopo quella al musicista e sound artist Agostino di Scipio realizzata da Marco Mancuso per Digimag 45 del Giugno 2009 (http://www.digicult.it/digimag/article.asp?id=1475). L’opera di Tony Oursler esposta a Modena era Round-nosed-whistling-jack-off-dumb-fuck, concessa dalla Galleria Emi Fontana e attorno a quest’opera si è sviluppata l’intervista, come punto di partenza di una riflessione sul lavoro di un artista la cui opera completa è quasi impossibile riassumere in modo completo.

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In Round-nosed-whistling-jack-off-dumb-fuck, l’artista trasforma lo spazio in un astratto “poligono di tiro”, videoproiezioni di esplosioni alle pareti creano lo sfondo per elementi scultorei a forma di pallottole, sui quali appaiono immagini deformate di “teste parlanti”. Immagini e suoni in sincrono creano uno spettacolo audiovisivo di immagini, suoni disturbanti e parole drammatiche. Il riferimento alla tragedia della guerra e all’uso indiscriminato delle armi da fuoco permea l’intera installazione, dove un’apparente dimensione da “parco dei divertimenti” contrasta con le immagini proposte dai media, nei quali la rappresentazione del reale perde ogni potere.

Claudia D’Alonzo: Round-nosed-whistling-jack-off-dumb-fuck è un’opera in cui chi osserva viene immerso in un’atmosfera violenta, quasi apocalittica. Qual è il rapporto tra l’impatto del tuo lavoro sul pubblico e quello dell’eccesso di violenza all’interno delle immagini che provengono mass media?

Tony Oursler: Quando viene mediata, la violenza è complessa. Non si può riprodurre la vera violenza e i suoi effetti sull’individuo o sulla società, si può solo cambiare punto di vista. In altre parole, la classica posizione di chi osserva a lungo, considerata come comune, potrebbe essere interrotta da alcune idee d’installazione. Il partecipante si trova dentro l’evento, ma gli viene dato uno stato di sicurezza all’interno dell’infinita battaglia che è diventata quasi un gioco. Speravo che l’assurdità della personificazione dei proiettili avrebbe introdotto una catena di domande che avrebbero mostrato allo spettatore una nuova prospettiva.

Claudia D’Alonzo: Quale tipo di coinvolgimento hai voluto ottenere in Round-nosed-whistling-jack-off-dumb-fuck, sia sul piano della percezione che dal punto di vista di una riflessione razionale?

Tony Oursler: Non controllo direttamente il partecipante, ed è questa la magia dell’arte, ovvero il risultato sconosciuto: ognuno se ne va con un’esperienza unica, rendendo l’opera qualcosa di personale. In questo progetto ho creato una situazione in cui il partecipante si trova quasi in un’atmosfera da parco a tema, o in una simulazione di una sconvolgente battaglia infuocata. Stavo lavorando con una combinazione di rappresentazioni mediatiche di violenza, simulazioni ed animazioni ad alta risoluzione per fondere insieme gli uomini con i proiettili. Ho dato un linguaggio ai più bassi e primitivi proiettili; di solito il rapporto tra il proiettile e il bersaglio è disconnesso, ma io volevo darli energia. Personalmente voglio ripensare la violenza costantemente, come la vediamo e perchè la produciamo.

 

Claudia D’Alonzo: Come spesso accade nelle tue opere, anche in Round-nosed-whistling-jack-off-dumb-fuck, i diversi personaggi audiovisivi sono legati da un particolare rapporto che non può essere tradotto con una reale comunicazione. Restano slegate in un campo, ovvero il campo dell’opera d’arte. Mi parli di questo aspetto del tuo lavoro e di quali legami ha, se ne ha, con le relazioni ed il concetto di comunicazione nella società contemporanea?

Tony Oursler: Per quasi tutto il tempo noi non comunichiamo in modo diretto e tradizionale. Questo è un territorio immenso e sorprendente da esplorare. Noi siamo in grado di sentire e vedere in modi che non hanno nulla a che fare con la tradizionale grammatica dei meda: i giochi e i film replicano solo una delle modalità di connetterci al nostro universo di suoni e visioni, io sto cercando altri modi per connettere i campi della comunicazione, creando una struttura complessa, fatta di livelli di immagini, suoni, linguaggi e forme. Per me questo è un processo sperimentale che porto avanti nel mio studio e che trova espressione anche in altri progetti.

Claudia D’Alonzo: Come in Round-nosed-whistling-jack-off-dumb-fuck, nella tua ricerca artistica troviamo l’influenza dei mass media sulle sfere psicologiche ed emotive degli individui. Mi parli di questo tema, come lo affronti nelle tue opere?

Tony Oursler: I giochi shooting games stanno generando più scompiglio che i film di Hollywood, e c’è una ragione: sono sessuali, sono maschilisti e sono alla base di una svolta molto profonda. C’è una connessione tra una società originaria e primitiva e il mondo ad alta tecnologia di oggi che volevo monitorare con questa installazione.

Claudia D’Alonzo: Nelle tue opere le tecnologie sono sempre ben visibili, c’è messa in scena ma non illusione, crei una magia nella quale il trucco è sempre ben svelato. Come progetti lo spazio scenico delle tue opere e la presenza dello strumento tecnologico?

Tony Oursler: Gli strumenti fanno parte del processo e sono anche un modo per mantenerci in contatto con il mondo reale, l’evasione dalla realtà è in contrasto con la magia della tecnologia. Voglio che le persone si allontanino dal mondo reale per poi farvi ritorno, spero che l’opera d’arte sia in qualche modo riflessa attraverso i materiali e la produzione dell’opera stessa.

 

Claudia D’Alonzo: Nell’attuale scena dell’audiovisivo digitale si parla sempre più spesso di ambienti, di spazializzazione. Tu sei stato uno dei primi a liberare l’immagine video dal confine dello schermo e a proiettare su superfici altre, ad abbattere i confini tra spazio dell’opera e spazio dello spettatore. Questa relazione tra immagine e spazio, com’è cambiata negli anni e quali differenze pensi ci siano tra il tuo modo di lavorare su questa relazione ed altri artisti che affrontano lo stesso tema?

Tony Oursler: Credo di essere nato in uno strano periodo in cui i media e l’arte erano connessi tra loro ed è stato naturale per me raccogliere gli strumenti necessari. Vivo in un mondo caleidoscopico di vecchie e nuove tecnologie, e mi trovo bene. Ho iniziato come pittore e credo che la storia sia la chiave per muoversi attraverso complesse relazioni visive fatte di spazi ed immagini in movimento. Mi piace molto ciò che gli artisti stanno creando oggigiorno e sono stupito da come l’immagine in movimento sia ormai una forma espressiva degna di rispetto. È stata rinchiusa per molto tempo in una sorta di ghetto e adesso si sta normalizzando – questo è uno dei maggiori cambiamenti culturali, non si può nemmeno immaginare come fosse prima. Non che io ci stia pensando, sono troppo eccitato da ciò che sta accadendo per guardare al passato. Nuove e fantastiche macchine vengono sempre più usate dai ragazzini, e questo proietta l’influenza dei media verso il futuro.


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