‘Una visione fantascientifica dell’Africa, presenta misteriose previsioni sul futuro. Proiezione continua gratuita’.
Queste sono le parole che accompagnavano Kempinski, il cortometraggio del giovanissimo videomaker, Neil Beloufa, presentato in anteprima lo scorso anno, al 52nd London Film Festival (LFF). Il video era proiettato in loop, all’interno dello Studio del BFI – British Film Institute, il magnifico centro sulla riva del Tamigi, la “Southbank”.
Non sapevo bene cosa aspettarmi da questo cortometraggio, ovviamente mi sono immaginata che avrei assistito ad un filmato surreale, con astronavi volanti ed alieni in Africa. Ero sicura che avrei trovato elementi comuni alla maggior parte dei film di fantascienza e che, a mio avviso, dovevano essere contenuti anche in questo lavoro. Ma Kempinski sorprende, affascina e fa pensare. Infatti, a distanza di quasi un anno, l’opera è ancora nella mia memoria, nelle riflessioni e parole mai scritte, che, sin da allora, non aspettano altro che materializzarsi su carta (virtuale, in questo caso).
Il cortometraggio, girato di notte, in alcune città del Mali, presenta una serie di interviste dove i protagonisti parlano della loro visione del futuro. Ma al tempo presente. Gli intervistati sono colti in un contesto rurale a loro familiare, ripresi frontalmente mentre tengono in mano una luce al neon o parlano illuminati da una luce artificiale, che è lì sia per esigenze di ripresa, quanto diegetiche.
Il nome dei protagonisti non viene divulgato. Uno di loro, in una cornice di enormi foglie di palma e piante, parla del futuro come un posto dove i pensieri sono seguiti dalla materializzazione del pensiero stesso. Dice: “Quando penso a qualcosa, devo solo pensarci intensamente e arriva subito ( ) Tutto avviene velocemente, è come la velocità della luce”. Le parole dell’uomo vengono enfatizzate dai rumori della notte, in cui è profondamente inserito.
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Un altro tra i protagonisti parla sempre di pensieri e di come, non importa dove sei, questi arrivano e ti raggiungono ovunque: è la forza dell’immaginazione. L’uomo è ripreso in primo piano, tenendo una lampada al neon vicino al viso, mentre in secondo piano, in penombra, un altro uomo tiene una capra accanto a sé, che continua a belare per tutto il tempo.
Un altro ancora afferma: “Gli uomini sono cambiati. Gli esseri umani sono fatti per questo oggi. Una volta che pensi a qualcosa, vedi la cosa materializzarsi di fronte a te. Non è una macchina, è il pensiero dell’essere umano. È il flusso della tua immaginazione”. Di seguito assistiamo a scene notturne di uomini in motorino lungo la strada che, pur evocando scene di vita quotidiana, sono accompagnate da un suono acuto, tipico dei film di fantascienza, quando un’astronave atterra o quando stiamo per assistere al verificarsi di un evento eccezionale.
Il giovanissimo regista, Neil Beloufa, algerino nato a Parigi nel 1985, afferma in un’intervista recente, di essere rimasto sorpreso nel constatare come nessuno degli intervistati facesse riferimenti, sebbene li conoscessero, a film di fantascienza come Star Wars o ad oggetti volanti. Le visioni del futuro sono sorprendentemente legate fra loro ed emerge un universo in comune, da villaggio in villaggio. Tutti questi uomini e le loro affermazioni mi fanno pensare ai profeti/narratori che, in piedi di fronte ai loro ascoltatori, raccontano le loro storie ancestrali: ma stavolta sono storie proiettate al futuro. Lo spirito mistico si preserva e traspare dallo schermo. Kempinski, co-prodotto da Mali e Francia, infrange molti dei nostri luoghi comuni ed aspettative sull’Africa, mentre, al contempo, elimina le separazioni di generi, dal documentario etnografico al cinema di finzione e al filmato di fantascienza.
Neil Beloufa ha studiato a Parigi, New York e Valencia. Il suo lavoro è stato presentato con successo a Londra, Mosca, Berlino, Minneapolis, New York, Mali e in festivals e fiere d’arte molto prestigiose, fra cui anche la Prague International Triennial of Contemporary Art e la 12th Biennial of Moving image di Ginevra e al Palais de Tokyo di Parigi.
Kempinski ritorna anche all’interno di uno dei programmi più interessanti del LFF, chiamato Experimenta, insieme ad una selezione di quattro cortometraggi, raccolti sotto il titolo The Word for World is Forest. Ognuno di questi cortometraggi spezza di nuovo le barriere fra l’esperimento antropologico e la finzione narrativa e sono: Small Miracles di Julia Hechtman, Tjúba Tén (The wet season) di Ben Russell e Brigid McCaffrey e Remote Intimacy di Sylvia Schedelbauer.
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Sicuramente la sezione Experimenta, curata da Mark Webber, permette allo spettatore di dare uno sguardo verso le situazioni più al limite ma anche più entusiaste verso un cinema di ricerca e sperimentazione. È l’immagine in movimento e la sua innovazione attraverso il lavoro di nuovi cineasti e della loro creatività.
Kempinski, in particolare, è un atto riflessivo del regista/pensatore/intervistatore, che registra il contrasto fra mondo tecnologico, vita semplice rurale ed una visione del futuro che contiene allusioni al genere fantascientifico. La riflessione avviene parlando di una diversa forma di comunicazione in cui il pensiero sarà seguito dal divenire.
La nostra era tecnologica ha velocizzato il tempo, ha reso la macchina una inseparabile estensione dell’essere umano, ma, per citare quello che dice uno dei protagonisti di Kempinski: “non è una macchina, è il pensiero dell’essere umano. È il flusso della tua immaginazione”. Anche se tutto in futuro avverrà in un lampo di luce (e forse davvero questo futuro è il nostro presente), ci auguriamo che il pensiero, la fantasia, l’immaginazione siano ancora i veri protagonisti delle nostre vite in movimento.